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Grano, farina, pane

Grano

Il territorio di Sassari, coltivato per la maggior parte a vigne e ad oliveti, produce poco grano. In quantità ne produce la vicina Nurra; ma la quantità più rilevante proviene dai vicini villaggi, e specialmente dall’Anglona. L’Angius dice, che ve ne ha una qualità, superiore ai grani di Tangarok. Valéry asserisce, che il grano sardo è il migliore di Europa (!).

Fin dai tempi antichissimi la città di Sassari ha esercitato una speciale ingerenza nella vendita e compra del grano; e possiamo affermare, senza esagerazione, che la maggior parte delle deliberazioni del Consiglio Maggiore e dei Colloqui riguardano l’incetta dei grani per il sostentamento della popolazione: cura suprema dei magnifici padri della patria.

Negli statuti del 1294 è detto, che il grano, l’orzo, ed altri legumi, non potevano vendersi che nella piazza del comune, dove era la Carra – cioè la misura fissa, di pietra, che ha dato il battesimo alla stessa piazza. E il Municipio, fin d’allora, stipendiava il misuratore della carra.

Deposito di grani

L’obbligo di molte ville di vendere una certa quantità di grano a Sassari risaliva al 1362, quando il re di Aragona, per assicurarsi la possessione della città, la fortificava coi danari ricevuti da Berengario Carroz, in prezzo di alcuni feudi vendutigli; e perché non mancasse mai di vettovaglie, comandava che tutti gli anni si portasse dentro la città una certa quantità di grano.

Il privilegio del re don Pedro del 13 Gennaio 1362 prescriveva, che ciascun anno, in Settembre, fosse depositata nei magazzini della città la quantità di 6.000 rasieri di grano nuovo, e nel Castello 400. Questi magazzini, muniti di doppia chiave, dovevano essere sotto la custodia di due buone persone, una delle quali scelta dal Governatore, e l’altra dai probiuomini della terra di Sassari.

A provvedere i 6.000 rasieri di grano concorrevano nel suddetto anno, il Comune ed i Probiviri per 4.000 rasieri; e per il rimanente, in proporzione, i Regi ufficiali ed i feudatari. Fra gli altri vengono indicati: il Governatore, che doveva provvederne per 200 rasieri; il Veguer della Città per 100; il Doganiere di Sassari per 50; Catone Doria feudatario della Nurra (Donno Cathò Doria per la heretat que ha en Nurra) per 50; Bastiano Doria per la villa di Sennori rasieri 100; l’amministratore della Real Corte (Cort nuestra) per 750 rasieri. I 400 rasieri di grano da depositarsi nel Castello di Sassari venivano forniti dai probiuomini di Romangia, cioè dalle viles de Geridi, Tanega, Sennori.

Anche donna Giovanna e Carlo V, con privilegio del 1518 avevano concesso alla città di Sassari di poter immagazzinare 400 rasieri di grano (horreos tritici, sive magatzenum ad opus provisionis dicte universitatis et habitantium in eadem civitate). Di questa quantità di 400 rasieri dovevano fornire la quarta parte il Governatore e gli altri Regi ufficiali di Sassari; due quarti il Comune e i Consiglieri; ed un quarto gli hereditarij, sive feudatarij del capo di Logudoro.

Il privilegio di Don Pedro del 1356 era la ratifica di altro rilasciato l’anno precedente (23 Dicembre 1355) in cui leggesi: «né il Governatore, né altro Real Ministro, se atreve entremeterse en la frumentaria de la Ciudad, so pena de mil libras».

Frumentaria

Questo deposito di grano per la provvista della popolazione si mantenne per lunghissimo tempo. Sulle prime i magazzini, muniti di doppia chiave, erano custoditi da due buone persone elette dal Governatore e dai probiuomini del Comune; in seguito, a cominciare dal 1594, il Municipio cambiò sistema, e stipendiò un cassiere apposito, designato col titolo di Clavario della Frumentaria.

Nei primi tempi i locali si prendevano in affitto; in seguito, per risparmio di spesa, la Città volle un locale proprio, come altrove abbiamo detto.

La quantità di grano da incettarsi era di 1.500 rasieri. Nel 1595 si stabilì che il capitale fosse portato al completo, ed i guadagni servivano per le paghe ordinarie del Municipio di Sassari. Il Clavario rendeva conto della crescimonia in ragione del 2 per cento, e teneva a proprio vantaggio l’eccedenza.

Tra le frodi che si lamentavano, la principale era questa: i clavari di malafede ritiravano il grano dai villici con una misura più grande, e lo vendevano al pubblico colla misura comune. Ond’è che i Consoli, nel 1601, decretarono di valersi di una misura unica. Ma l’abuso continuò ancora, e ne trovo menzione nel 1679… ed anche più tardi.

Nei magazzini della Frumentaria, si teneva in riserva una certa quantità di grano la quale, negli anni di penuria, veniva macinata – o per ridurla in pane, o per vendere la farina a modico prezzo.

Il grano si comprava da certi villaggi (specialmente Nulvi, Osilo e Florinas) i quali erano obbligati a venderlo alla Città. Se il Municipio non aveva bisogno di distribuirlo, lo rivendeva ai proprietari, oppure lo imbarcava, allo scopo di fare una provvista di grano nuovo. Questa incetta dicevasi inserru, e in spagnuolo encierro.

Notizie a spizzico

Darò per schiarimento alcune brevi notizie sulla Frumentaria e sul grano.

1557. – Crida, con la quale si ordina di non vendersi altro grano fuorché quello della Città.

1621 (26 Aprile). – Lettera del re Filippo III al Viceré d’Eril, lamentando l’abuso invalso negli agricoltori sardi di barattare grano per merci. Gli dà ordini che vi ripari col concorso della Reale Udienza – Nel Giugno 1629 esistevano nei magazzini della Città 1.566 rasieri di grano.

1678. – Nel parlamento di quest’anno i sassaresi chiedevano di poter costrurre magazzini in Portotorres per conservarvi grano.

1691 (23 Gennaio). – «Giacché il grano del villano (sic) va sempre aumen-tando di prezzo, si venda al pubblico quello della Frumentaria al prezzo di L. 6, obbligando i mugnai ad acquistarlo».

1698 (17 Giugno). – I Consiglieri di Sassari deliberano d’inviare alla vila de Ocier il segretario civico per acquistare una partita di grano dal canonico Taris.

1705 (29 Maggio). – Si delibera che, per qualunque urgenza, non si compri, né si mandi a comprare grano in Cagliari.

1823 (Ottobre). – L’azienda civica era in credito dalle R. Finanze di Ls. 37.778,13,6 per le somministranze di grano fatte alla Regia Munizione.

Grano e palmicci

Nel 1764, anno di sterilità e di penuria, il Municipio ricorse al Continente per la provvista di grano. Il P. Napoli (che in detto anno stanziava nel Collegio delle scuole pie di Sassari) scrive, che il popolo sassarese, non avendo pane, si nutriva dei palmicci, che venivano provveduti da Sorso e da Sennori; ed era tanta la quantità di essi, che tutte le vie della città, per l’altezza di un palmo, erano coperte delle spoglie del bulbo mangereccio. Afferma inoltre lo stesso frate, di aver appreso da persone addette al municipio, che sebbene i palmicci si vendessero a vil prezzo, pure la somma spesa per acquistarli salì a più di 2.000 scudi. Ond’è che il frate calcolò, essersi mangiati dai sassaresi non meno di 600.000 palmicci.

Il padre Napoli avrà certamente fatto in Sassari lo stesso calcolo da lui fatto in Cagliari nel 1793, per i 30.000 colpi di cannone tirati dai francesi, compreso un migliaio di bombe. Altra sua bomba era quella dei palmicci di Sorso e di Sennori!

Ancora a spizzico

Nel 1779, anno di carestia, il Re mandò dal Piemonte 4.000 sacchi di grano. Altri 2.800 rasieri ne fece spedire da Nizza; ed i Consiglieri ringraziarono, dicendoli pervenuti dalle paterne viscere di Sua Eccellenza!

1781. – Il Municipio deliberò di stipendiare il Clavario della Frumentaria con 250 scudi, invece di concedergli la crescimonia, la quale fu lasciata a benefizio dell’azienda.

1826. – La Frumentaria, che da parecchi anni più non funzionava, risorse quest’anno con fondi a prestito; ma, poco dopo, il grano fu venduto per far fronte alle spese della restaurazione della Beccheria.

1837 (Maggio). – Si delibera di contrarre un prestito per ripristinare la cessata Frumentaria.

1839. – La Frumentaria cessò di funzionare. Nei casi di urgenza il Municipio provvedeva i grani alla popolazione, facendo gli acquisti coi fondi propri.

Offerta all’annona

In ogni tempo i cittadini fecero a gara per soccorrere la Civica annona, ora generosamente, ed ora col proposito d’impiegare a frutto i propri capitali. Citerò alcune offerte fatte.

1609. – La Frumentaria fu soccorsa con Ls. 22.000, che il Municipio aveva preso a censo; ma nel 1613, per cattiva amministrazione, i fondi erano già ridotti a sole L. 13.000.

1777 (Settembre). – Progetto sul grano acquistato dalla Città con gli 8.000 scudi prestati dal Canonico Manca.

1779. – Il dottor collegiato Pasquale Crispo offre alla Città, senza interesse, 4.000 scudi da convertirsi in acquisto di grano per la popolazione. Il Re, in ricompensa, lo nominò Clavario di quell’azienda; ma sette anni dopo, per un aumento di fondi, fu rimosso dall’impiego.

1781. – Il Canonico Bachisio Manca offre alla Frumentaria 12.000 scudi, a titolo di censo, redimibili in tre rate uguali, mediante l’interesse del 5 per cento, e ipoteche sulle rendite pubbliche (prudenza encomiabile!).

1785 (6 Ottobre). – Sette cittadini offrono spontaneamente senza interesse, 8.550 scudi al Municipio per impiegarsi in acquisto di grano, da restituirsi non appena esso grano si sarebbe venduto.

1795 (30 Agosto). – Per la provvista di grani di quest’anno si ebbero generose offerte dai seguenti: – Duca dell’Asinara 8.000 scudi; la giovane Marchesa della Planargia 6.000; il Marchese di Busachi 1.500; il Capitano del Porto 500; l’Arcivescovo 500; il Conte di S. Elia 30. – Con tal somma venne completato il fondo necessario per l’acquisto dei grani.

1811. – Il notaio sassarese Giuseppe Delogu, volendo consolare gli abitanti (sic) presta senza interesse 300 scudi al Municipio per acquisto di grano all’estero. – Il Municipio fu così riconoscente verso di lui, che nel 1826 (tredici anni dopo!) non gli aveva ancora restituita la somma.

1831 (Luglio). – Il Municipio invita tutti i negozianti della piazza a provvedere grano. I negozianti si rifiutano; ed allora il Delegato viceregio (uomo ricchissimo) offrì del proprio da 15 a 30 mila lire sarde. In quella circostanza si distinse il Marchese di S. Sebastiano; il quale fornì i fondi, ed ebbe gli elogi della popolazione… ed un sonetto stampato!

1840 (4 Luglio). – Si rimborsano Ls. 1.424 al negoziante Andrea Tavolara per la perdita subita nell’incetta di grano da lui fatta per conto del Municipio.

Mercati di grano

Alla fine del secolo XIII, al tempo della Repubblica, il grano si vendeva nella piazza della Carra, dov’era la misura di questo nome, ed il misuratore stipendiato dal Municipio. Questa misurazione durò per lungo tempo. Nel 1545 era misurador de la Carra mastro Berlandino Araolla; nel 1589 Giuseppe Bagella; nel 1596 Baingio Farina – tutti con Ls. 15 all’anno.

Il diritto della Carra si appaltava: ed erano persone distinte quelle a cui veniva concesso. Il 1° Novembre 1422 l’appalto venne dato al gentiluomo Gonnario Gambella; nel 30 Ottobre 1432 al notaio Giovanni Amoros.

Un pregone del Settembre 1601 ordinava, che il grano si vendesse nella piazza della Carra a Ls. 8 e 7 soldi il rasiere.

Nel 1700 (4 Settembre) si ordina di pubblicare pregoni perché il villano (sic) non potesse vendere grano agli agabelladores, o privati, né in cammino, né in Scala de Ciogga – ma unicamente nella Carra, dove si doveva controllare.

Verso la metà del secolo XVIII il Municipio cambiò d’avviso. Un capitolo della Castalderia del 1789-90 ordinava ai villici (a sos de sas biddas) di vendere il grano in su pianu de Casteddu.

In una disposizione municipale del 13 Settembre 1808 leggesi: « – Nessuno, né padrone, né fariniera, potrà recarsi in Piazza Castello per comprare grano od orzo; ma dovrà aspettare che il villano passi nella sua via. Il commerciante non potrà farne acquisto che alle tre di sera».

La piazza Castello continuò ad essere destinata alla vendita del grano fin quasi al tempo della demolizione dell’edifizio; e non è che da pochi anni che i villici, coi propri cavalli carichi di sacchi di grano, aspettano pazientemente i compratori nella piazza dell’Ospedale Civile.

Più volte si determinò di costrurre un apposito mercato per i grani, ma non si riuscì mai nell’intento.

Prezzi del grano

Era la Città che imponeva il prezzo dei grani e degli altri legumi, mediante Ordinanze e Pregoni. Ecco alcune notiziette a spizzico:

1517. – II grano si pagava a 38 soldi (L. 3,80) il rasiere.

1545. – In un’ordinanza di quest’anno, i Consiglieri, seguende sa laudabile consuetudine, fissano il prezzo di tutti i legumi da vendere. Il grano venne tassato a soldi 11 e 3 danari la corbula.

1557. – Si nomina la Commissione per dare la solita meta; ed il grano è tassato a lire 6 e 8 soldi il rasiere.

Nel 1601 si comprò il grano di Tissi ed Usini a Ls. 5 il rasiere, posto nei magazzini della Frumentaria; e si vendette poi a Ls. 6,17.

Nel 1711 mancò il pane, e si vendette il grano della Frumentaria a L. 11 il rasiere; nell’Aprile del 1714 salì a L. 14.

1780 (27 Aprile). – In questo tempo il prezzo più basso del grano era di 11 scudi e mezzo ogni rasiere. Il negoziante francese Andrea Fallifiè, domiciliato a Sassari, animato dall’interesse patrizio (!), lo offrì a soli 9 scudi, purché il Municipio si caricasse le spese di trasporto da Portotorres, dove lo aveva in deposito.

Molini

I molini, ai tempi della Repubblica, erano sacri; e guai a coloro che facevano deviare le acque che davano moto alle macine! Essi talvolta venivano concessi a persone distinte.

Nel 1338 il re Don Pedro concesse a favore del cittadino sassarese Pietro Egidio e compagni di poter erigere molini per frumento, col diritto di derivare acque, pagando un canone annuo di un fiorino d’oro, oltre la indennità ai proprietari danneggiati.

Nel 1520 si concede a Virgilio Ruiz, per un bicchier d’acqua e due galline, il terreno incolto della vallata di Rosello, sotto la Vergine di Valverde (i Cappuccini) per farvi un molino d’acqua.

1557. – (Bando) «Chi possiede molas deve denunciarle entro otto giorni all’Arrendadore, pena 5 lire. I possessori di mole non possono macinare per conto d’altri, ma per conto proprio».

1660. – Altro bando perché vengano registrate tutte le mole sardesche nei molini.

1691 (Maggio). – «Quando nei mesi passati le galeras di Spagna erano nel porto di Alghero, per il mantenimento dell’equipaggio si macinarono nei molini di Sassari più di 450 rasieri di grano – con tanta fretta, che non si accudiva a macinare il grano dei sassaresi. Avendo risentito un grave danno, si supplica per ottenere un sussidio».

1834. – Stante la scarsezza delle acque nella primavera, il Municipio nel Giugno domanda al Governatore il permesso di vendere ai privati i 24 molini a mano di sua proprietà, che si trovano depositati nei magazzini della Frumentaria.

Scrive l’Angius, che nel 1848 esistevano nel territorio di Sassari una sessantina di molini lungo i corsi d’acqua.

Quando la maggior parte di questi molini erano insufficienti per la macinazione, il Municipio faceva lavorare i molini della vallata di San Lorenzo (verso Osilo) i quali erano soggetti a servitù, non so per qual diritto e privilegio.

Verso il 1840 Giuseppe Zichina costrusse un molino a vento al sud della città; ma esso non funzionò regolarmente. Nell’Agosto del 1842 il Viceré, per mezzo del Governatore, eccitò il Zichina ad attivare il suo molino per la macinazione del grano; ma egli rispose che, dopo aver fatto venire da Marsiglia abili mastri costruttori, spendendo circa L. 10.000, si trovava col molino inservibile per errata costruzione. Soggiunse di aver aperto due molini idraulici in Scala di Giocca. Il molino a vento è oggi scomparso, ma è rimasto il suo nome al luogo dove fu innalzato sessant’anni fa!

I mugnai

Erano incaricati della macinazione del grano per conto dei proprietari dei molini, e trasportavano fuori di città i sacchi del frumento, per poi restituirli pieni di farina.

I mugnai davano un diritto in natura al proprietario del molino; ma il loro maggior guadagno consisteva nelle frodi continue, per le quali si resero celebri in ogni tempo.

L’articolo 71 degli Statuti del 1295 infliggeva pene rigorose contro i mugnai. Nessuno di essi, per la macinazione, poteva pretendere più della 14a parte di un rasiere. Quando ogni anno entrava in carica il nuovo Podestà, tutti i mugnai, le loro mogli, e quanti stavano con essi nel molino (purché non minori di 14 anni) dovevano presentarsi a lui per giurare di esercitare il mestiere senza frode. Ciò dimostra quanto fossero ritenuti di buona fede!

1561 (27 Luglio). – Leggo in un’ordinanza: «Che nessun mugnaio possa macinar grano ad alcun forestiero, se prima non soddisfa quelli del paese, sotto pena di L. 25; e, se non paga entro quindici giorni, siat azotadu (staffilato) pubblicamente. Che nessuno pretenda di compenso più della decima; e che nel suo molino non accolga alcuna persona estranea per passarvi la notte».

1598 (Maggio). – Bando: che nessuno possa portar grano a macinare, né entrare farina in città, né prima dell’Ave Maria del mattino, né dopo quella della sera.

1660 (Giugno). – Bando: che nessun mugnaio possa tenere nei molini sacchi di grano dei panattari oltre le 24 ore – pena L. 5 ogni volta. – Questa prescrizione trovasi pure nel 1500.

1789. – Fra i capitoli di Castalderia trovo i seguenti: – «E’ proibito ai mugnai di entrare in città con la farina, o uscire col grano, prima di far giorno, o dopo fatto notte. Essi devono fermarsi dinanzi al Peso, finché arrivi il Pesatore. Devono portare le somme del grano (sacchi) direttamente ai padroni, senza fermarsi in altre case, per sottrarre la farina, come da molti si suol fare».

1821 (1° Aprile). – Tutti i mugnai dei molini siti nelle vallate di San Lorenzo, di Chighizzu e Crabola, erano sottoposti per antichissimo privilegio all’obbligo di venire a Sassari due volte la settimana, onde estrarre un rasiere di grano per la macina, sempre quando il bisogno lo richiedeva.

1834 (Dicembre). – Si lamenta una scandalosa mancanza di peso nella farina riportata dai mugnai. Vennero tutti multati; ed allora essi fecero sciopero, e si rifugiarono nel convento dei Cappuccini.

Casa del peso

Nel 1295 si nominarono dodici buoni uomini perché eleggessero due esperti pesatori, incaricati di stare alla stadera comunale per verifica dei commestibili, assistiti da due legali scrivani, i quali giuravano di registrare esattamente e senza frode il risultato. La stadera era prima scandagliata dal Podestà e dagli anziani.

Il peso principale del grano e della farina, da tempi antichi, era fuori di Porta S. Antonio. Un bando del 1557 ordinava ai mugnai di non far uscir grano se non dalla suddetta Porta, pena 5 lire e la perdita del sacco e della bestia. Altro simile bando fu fatto nel 1594.

Nella seconda metà del secolo XVII l’antico peso di Porta S. Antonio venne traslocato fuori di Porta Macello; ed infatti il Consiglio Maggiore, in seduta del 12 Luglio 1677, deliberò di fabbricare la casa a cantoni, con un arco in mezzo.

La vecchia casa del peso di Porta Sant’Antonio venne sempre restaurata dal Municipio, forse per affittarla a privati. Nell’Agosto del 1695 si ordina di accomodare la casa del peso viejo che la Città tiene en porta S. Antoni; e così pure nel 1700. Nel Novembre del 1710 vi si fanno altre riparazioni a richiesta dell’inquilino, a cui la Città l’aveva affittata.

In un capitolo di Castalderia del 1789 leggesi: «I mugnai sono obbligati di spazzare la casa del peso ogni giorno festivo – tanto nell’interno quanto nella strada che loro spetta, sì dalla parte della Dogana, come in quella del Macello». In altro capitolo si ordina, che su pesu e medida (misura) siano giusti, conforme agli ordini regii (e qui si citano gli articoli 80, 109 e 129 degli Statuti di Sassari del 1295).

Alla nuova casa del peso si fecero molte riparazioni dal 1805 al 1828. Nel 1811 si spendono Ls. 18 per fattura di un peso grande, e L. 100 nel 1842 per lo stesso oggetto.

1833 (14 Aprile). – La Città intende di vendere al sarto Alonso Bini il magazzino dell’antico peso di Porta Rosello, situato dirimpetto (?) alla civica Frumentaria.

Gabelle su grano e farina

Il grano forniva all’Azienda Civica una delle principali risorse, poiché veniva tassato tre volte: quando entrava in città da Porta Castello sui cavalli dei villici per essere venduto al pubblico; quando usciva da Porta Rosello per essere portato ai molini; e infine quando dalla stessa porta rientrava macinato, ridotto in farina.

Il sindaco di Sassari, nel Parlamento del 1574 fa notare: che prima del 1534 la Città esigeva diciotto danari per ogni rasiere di grano che si estraeva, mentre in seguito la tassa fu elevata del doppio (a danari 36) per pagare il donativo offerto in quel tempo a Sua Maestà.

Anche due secoli e mezzo dopo (il 15 Marzo 1824) l’Intendente Pes riferiva, che la Gabella del peso comprendeva tre distinti diritti: quello del grano, della farina e del soldo, imposti con superiore approvazione per il contributo da offrirsi a S. M. la regina Maria Teresa!

Il 5 Ottobre 1849 si fa notare, che il Dazio sulle farine (che formava la principale entrata) poteva ascendere a 85 rasieri al giorno – quindi un totale di Ls. 31.025, pari a lire odierne 59.568.

Franchigie

In origine i Sovrani ordinarono, che le tasse fossero pagate da tutti indistintamente; ma in seguito cominciarono i favoritismi… e pagarono ben pochi!

Il 25 Agosto 1428 i Generosos, o cavalieri di Sassari, si rivolgono al Governatore, protestando contro il Municipio, il quale non li esonerava dalle gabelas, come il Re aveva ordinato. E siccome il Municipio fece il sordo, essi ricorsero direttamente a Sua Maestà.

Nel contratto d’appalto del 28 Aprile 1564 (scritto in sardo) trovo indicati gli individui che dovevano goder la franchigia. I francos dalle gabelle erano i seguenti: « – Sua Maestà il Re, e i suoi soldati quando alloggeranno in Sassari; il Viceré del regno con tutti i magnificos et egregios doctores de sa Rotta; il Governatore di Sassari e Logudoro; l’Arcivescovo turritano e tutti gli ecclesiastici; gli Inquisitori e tutti i loro ufficiali, compresi il medico e il farmacista; i magnifici Consiglieri e gli Eletti, più il Cassiere e il Segretario, il Revisore dei Conti e i due Mazzieri della Casa di Città; il Sindaco, i Reverendi padri religiosi, le monache, gli ospedali di Santa Croce e dei Lebbrosi coi relativi procuratori e cassieri; il Sindaco del convento di S. Pietro, il procuratore del monastero di S. Chiara»; – e più tardi, verso il 1800, trovo pur compresi fra gli esenti dal pagamento: « – il Reggente la Real Cancelleria ed i Giudici della Reale Udienza; gli Assessori della Governazione e il Regio Patrimonio, i Giudici di giurisdizione, il Delegato della Nurra, l’Amostasen, il Capitano del Porto, il Veguere reale, il Sindaco dei Padri Cappuccini e dei Minori Osservanti, i Prefetti dei Collegi della facoltà, i Professori secolari, il Censore, l’Assessore; il Segretario, il Tesoriere e bidello dell’Università; il magazziniere maggiore; il Tenente del Mastro Razionale, il Mastro di Campo della città, l’orologiaio civico, il Pesatore del grano e della farina, i segretari, civile e criminale della Governazione, i due Sergenti maggiori delle Milizie, tutti i Patentati regi, e tutti quelli che hanno dodici figli…».

E questo valga per tutti i dazi, gabelle, diritti ecc. ecc. pagati dai soli poveri, fin quasi all’anno 1848!

Ben a ragione i Consiglieri di Sassari con lettera del 23 Novembre 1823, esponevano all’Intendente: «… Fin dal 1549 e 1627 la città godeva la franchigia del grano e farina concessa dal Re, a condizione che nessuno ne andasse esente; ma in seguito il Municipio, accordando ai benemeriti cittadini le franchigie del diritto, a misura della floridezza del paese (!), il numero eccessivo degli esenti assorbì il terzo del prodotto dei dazi; in modo che l’appalto, che avrebbe dovuto salire a Ls. 43.000 per un triennio, non dava che un prodotto di sole Ls. 14.333…».

Pane e panattari

Le famiglie più agiate di Sassari facevano ogni anno le provviste di grano, e lo consegnavano ogni tanto alle panattare, pagando un diritto per la macina e per la manipolazione. Una gran parte delle famiglie preferiva farlo macinare, obbligando le persone di servizio a manipolarlo in casa – e ciò per schifiltezza, più che per economia. Diverse altre compravano il pane dai villici, e specialmente dalle panattare di Sorso, il cui pane era ritenuto il migliore.

La maggior parte degli abitanti facevano ogni settimana la così detta cotta, secondo le antiche consuetudini – cioè a dire, si manipolava tanto pane che bastasse alla famiglia per otto giorni.

Al popolo pensava il Municipio. Il 23 Settembre 1593 si deliberò di dare ai panattari (a sos panateris) 200 rasieri di grano pro faguer pane pro provisione dessu pobulu dessa cittade – da pagarsi in ragione di lire 9 e mezza per ogni rasiere di grano.

Il Municipio ebbe sempre i suoi panattieri, o meglio le sue panattare, poiché il pane non si lavorava che dalle sole feminas.

Anticamente la Città soleva tassare il prezzo del pane, vietando la vendita a tutti quelli che non erano suoi panattieri; e questo, perché dal pane ritraeva un cospicuo guadagno, col quale faceva fronte alle spese straordinarie, come trovasi notato in una scrittura del 1599. Nel 3 Novembre 1634 i Consiglieri proibirono per tre settimane l’entrata in città di pane forestiero.

Nel 1300 il pane (come gli altri commestibili) poteva vendersi in qualunque punto della città, meno nella via maestra, dov’era proibito di costrurre forni.

Nel 1530, all’incontro, trovo un’ordinanza in cui è detto: «Il pane bianco si venda en la plassa». Si fa pur menzione nella stessa ordinanza di pane giufargio (di ultima qualità).

Per lungo tempo (fin quasi al 1825) la panatteria era sotto le Loggie del vecchio Palazzo di Città; e, dopo costrutto il nuovo, le panattare continuarono a collocarsi nello stesso sito per oltre un quarto di secolo.

Il 23 Marzo 1857 il Municipio deliberò di fondare una Panatteria Comunale sociale per mezzo di azioni, e sotto la sua sorveglianza; ma il progetto non attecchì allora, né attecchì mai in Sassari!

Paste e fidellai

In tempi antichi le minestre, come il pane, si lavoravano in casa dalle donne di servizio, o si acquistavano dalle fariniere, che le manipolavano grossolanamente. I fidellai cominciarono a prender voga nel principio del secolo XVIII, ed erano quasi tutti genovesi, od allievi dei genovesi. Ed anche contro costoro si sfogò il dispetto e l’ira del Municipio.

1770 (15 Maggio). – Pregone, perché tutti los fideleros non vendessero i fideos gruesser, los maccarones, ecc. più di 7 callaresos la libbra, pena 4 scudi.

Nel Febbraio del 1779 i fidellai Gavino Passio, Francesco Grana, Tomaso Trincheri, Bartolomeo Bò, Michele Achenza, ed altri, supplicarono il Civico Magistrato perché volesse considerare la grave perdita che subivano per il troppo vil prezzo con cui si vendevano li fideli (sic) – cioè a 8 cagliaresi la libbra, mentre il grano si comprava a Ls. 7 il rasiere. Dimostrarono che sottostavano ad una perdita di uno scudo per rasiere, oltre la fatica.

Non so le provvidenze prese dal Municipio ma so che nell’Agosto del 1808 le paste si vendevano a 10 cagliaresi la libbra, e quelle fatte a mano a 8 cagliaresi. Non si potevano vendere a maggior prezzo pena due scudi.

Nel Febbraio del 1816 il Municipio ordinava ai fidellai di tenere la provvista di paste per il pubblico, e di acquistare il grano dalla Frumentaria, non da altro luogo. Era chiaro che si voleva smaltire il grano vecchio, a benefizio del Comune… e del suo Clavario!

Il 19 Luglio 1836 il Municipio ricorre al Governatore contro i fidellai, i quali lasciavano mancare le paste al pubblico, indispettiti per il prezzo imposto di un soldo per libbra. «Si tentò persino la minaccia del Cruttone (dice la lettera), ma né pene pecuniarie, né pochi giorni di carcere valgono a smuoverli dal loro proposito».

E così continuarono a ribellarsi; ed infatti, durante gli anni 1838 e 1839, io trovo numerosi arresti di fidellai, tutti riottosi agli ordini delle Guardie civiche.