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Sotto i Pisani (dal 1276 al 1294)

Sotto i Genovesi?

Non è improbabile che fin dal tempo di Comita II e di Mariano (e forse anche dopo il matrimonio della figlia di Barisone II con Andrea Doria nel 1180) la città di Sassari, sebbene non autonoma, godesse di una certa libertà ed indipendenza sotto la protezione dei genovesi; i quali erano spalleggiati dalla potente famiglia dei Doria, possessori di terre e castella nella Nurra, nella Romangia, ed anche in Sassari. Il Besta crede che intorno al 1175 anche in Torres prevalesse Genova.

Abbiamo veduto Comita, verso il 1200, giurare fedeltà ai pisani, e rendersi vassallo del Comune e dell’arcivescovo di Pisa – mentre 10 anni dopo sottoscrisse la convenzione con Genova, in odio ai pisani. La influenza dei genovesi (che dal partito imperiale erano passati a quello papale) era sotterrata alla preponderanza pisana. Verso quell’anno il Logudoro era aperto ai genovesi ed ai pisani, ma a questi ultimi devesi la venuta delle maestranze che costrussero la basilica di Torres (Besta).

Anche il figlio Mariano aveva fatto lega coi genovesi, per mezzo della convenzione del 1224, in cui si parla dei Consoli, nominati per definire le cause e le liti inter januenses et sardos. E qui il Tola nota, che nel declinare del secolo XII (dunque verso il 1180) il comune di Genova aveva i propri Consoli negli stati collegati ed amici, onde far amministrare la giustizia a quei genovesi che, per ragioni di commercio, od altro, si trovassero in paesi stranieri. Non sappiamo se furono genovesi o pisani i due Majores de portu che troviamo a Torres nel 1082, sotto il giudice Mariano. E tre Consoli pisani abbiamo verso il 1230 (come rileva il Solmi); e non è meraviglia che si fossero messi d’accordo per mungere e spogliare i sardi! Così pure nel 1253, si ha menzione di un tal Compagno console per il comune di Pisa, il quale stanziava sotto il portico del Palazzo Reale di Enzo, in Sassari.

Tornando alla libertà dei sassaresi sotto Genova (libertà un po’ singolare, se vogliamo!) essa dovette certamente suscitare attriti, rappresaglie e contestazioni continue per opera dei pisani (forse allora più deboli e meno ricchi), della cui prevalenza non è a dubitare, poiché a Sassari avevano dato la lingua, il regime libero di governo, e le costumanze importate dalla loro patria d’origine.

Certamente di due specie erano i pisani e i genovesi di Sassari: quelli cioè venuti direttamente da fuori per arricchirsi col commercio; e quelli che da tempo vi risiedevano, e si erano naturalizzati per mezzo dei matrimoni e della figliuolanza. Non deve dunque recar stupore, se spesso gli uni erano contro gli altri. – Molti dei Doria erano nati a Sassari, e ne abbiamo prova in nomi di battesimo, come per esempio in quel Gavinus Aurie che troviamo teste in un atto del 1234. In Sassari avevano beni; e trovo nel comune menzione di un atto di vendita di case, fatto da un Mauro Doria nel 1410; ed una procura generale rilasciata da un Antonio Doria nel 1428. – E così devesi dire dei pisani, mercanti e possidenti, che troviamo a Sassari nella metà del secolo XIII, quali Alberto de Massa, Gualtiero de Volterra, Arrighetto del Mare, Gantine Aliprando, e diversi altri.

È fuori di dubbio che in origine i sassaresi erano sotto la protezione dei pisani, loro padri: indi, per un breve periodo, sotto quella dei genovesi; ed in seguito di nuovo sotto i signori di Pisa, per tornar poi sotto Genova. E una prova se ne ha nel Breve pisano del 1286, in cui s’impose agli abitanti di Sassari di cacciare dalla loro città tutti i genovesi – il che significa che in precedenza i genovesi vi dominavano.

Di questa prima indipendenza sotto Genova la storia non parla, ma non dobbiamo perciò respingere la probabilità.

Benedetto Baudi di Vesme rileva i diversi periodi dell’influenza politica e commerciale nel Logudoro delle due rivali Genova e Pisa. Dal 1180 al 1192, egli dice, prevalevano i genovesi; dal 1192 al 1195 il Logudoro era piuttosto favorevole ai pisani; nel 1196 piuttosto favorevole ai genovesi; dal 1198 al 1200 prevalenza di Genova: dal 1200 al 1202 prevalenza di Pisa; dal 1202 al 1203 di nuovo con Genova, intento a scuotere il giogo di Pisa. Vedete, dunque, quale altalena, e che incostanza! Bisogna però notare che il vento spirava secondo gli umori e gli interessi dei Giudici, e che le popolazioni si dividevano in partiti, per far loro piacere. Quanto ai sassaresi, erano pisani nell’anima, e genovesi nel commercio e negli affari.

Libertà sotto Pisa

Non si accordano gli storici sul tempo in cui Sassari riuscì a sottrarsi al Giudicato turritano. Diverse sono le opinioni, ed io ne indicherò le principali.

Lo storico Vico (al quale si presta così poca fede) fu il primo che scrisse fin dal 1639, che la libertà di Sassari ebbe principio dall’assassinio di Barisone; il quale era avversato da alcuni pisani per l’amicizia da lui stretta coi Consoli di Genova, rinnovando la convenzione del nonno e del babbo. Questa opinione, per quanto troppo combattuta, è quella che oggi in massima prevale, in seguito a nuovi studi fatti.

Lo stesso storico afferma, che dopo la morte di Ubaldo (il primo marito di Adelasia) avvenuta nel 1238, non vi furono più Giudici nel Giudicato turritano; ma pretesero di dominarlo e se lo disputarono diversi signori, fra i quali Branca Doria e i Malaspina. Ma Sassari (conchiude Vico), prevalse, e rimase di sé padrona.

Giustamente il Satta Branca osserva, che Vico intese dire, che con la morte di Ubaldo il Giudicato turritano, fra le gare dei signori e i parteggiamenti dei cittadini, si disgregò, e fra le lotte nacque la libertà di Sassari.

La cronaca antica sarda a noi dice, che Ubaldo, nella sua signoria, trovò sul principio oppositori, e che potè imporsi espugnando il castello di Goceano, tenuto allora da un Pietro Pinna. A questo proposito il Besta osserva, che la leggenda non deve accogliersi con troppi dubbi, poiché il Ferretto ci ha fatto sapere che fra i sassaresi ribelli, di cui era capo Michele Zanche, eravi un Gantine Pinna, forse della stessa famiglia di Pietro.

Tola a noi dice, che la indipendenza di Sassari (sempre osteggiata) era dovuta all’autorità della protezione pontificia; e si affermò più esplicitamente dopo l’assassinio di Michele Zanche nel 1275, appena liberatasi dai genovesi che volevano assoggettarla.

Anche il Ferretto segue il Tola, asserendo che dopo l’assassinio di Zanche (ultimo regolo di Torres) i genovesi fecero ogni sforzo per assoggettare i sassaresi; ma questi respinsero gli assalti dei Doria e dei Malaspina, e si ressero a comune libero nel 1276. – Branca Doria (scrive il Ferretto) aspirava alla successione nel Giudicato turritano, rimasto vacante dopo l’assassinio di Zanche, in concorrenza coi marchesi Di Gavi che gli contrastavano quel dominio.

Secondo l’Angius, Sassari potè sottrarsi all’autorità di Zanche nel 1267, dopo che il famoso Conte Ugolino, per speciale mandato di Pisa, invase il Giudicato, e si spinse fino a Sassari, accompagnato da Tuscio Ruffo; e da quel giorno i sassaresi si ressero a libero comune.

Il Satta Branca nota, che alcuni storici parlano di un Vernagallo di Pisa, Giudice di Sassari – così nominato dopo la ribellione dei Giudici sardi alla signoria pisana – ribellione che cessò nel 1250. Il Besta scrive che la notizia non merita fede, poiché Pisa non aveva mai esercitato sul Logudoro l’effettivo dominio. Durante la signoria di Zanche, nel 1263, Guelfo di Ugolino si attribuiva anch’esso il titolo di Giudice di Sassari – ma l’uno e l’altro lo tennero forse più di nome che di fatto… se pur lo tennero! Sassari nel 1260, separata dal Giudicato, non era soggetta ad alcuna signoria pisana o forastiera; infatti, poco dopo, trovasi memoria di un Arrigo da Caprona, novello podestà, venuto a Sassari da Pisa nel 1272 – prova questa che il Comune esisteva prima d’allora.

Nell’Aprile del 1283 salpò dalla foce dell’Arno un grosso naviglio di 16 galee e sbarcò nel Logudoro con armi e truppe. Centocinquanta militi furono destinati a Sassari, dove il podestà Tano Badia de’ Sismondi, succeduto nel 1282 a Goffredo Sampante, assumeva il titolo significativo di Generale del Borgo e delle terre de foris. Contro questo naviglio Genova spedì un’armata di 35 legni, al comando di Tomaso Spinola. Altri 54 legni pisani mossero verso Alghero, e lo Spinola capitolò. Appena seppesi la disfatta, accorse da Genova Corrado Doria con altre 50 galee, ed impegnò un combattimento, riportando vittoria. Tra i 1.000 e più prigionieri eravi il podestà di Sassari, comandante del secondo naviglio; e morì pochi giorni dopo, per una ferita riportata alla testa da un quadrello (Besta).

Il Satta Branca pubblicò una sentenza di questo podestà, pronunciata a Sassari nell’Ottobre del 1283. Da essa egli rileva, che il podestà esercitava sui borghi e distretto di Sassari la medesima autorità che il podestà e Capitano di Pisa esercitava nelle capitanerie soggette. Aggiunse il Satta: «Basta leggere, nel Breve comunis pisani del 1286, il ricordo dei patti inter comune pisanorum et comuni de Sassari, per convincersi che Pisa considerava Sassari come un comune libero». E si noti che il Breve suddetto è una riforma dei Brevi precedenti, e che in frammento di quello del 1275 trovasi menzione del Podestà di Sassari, il quale giurava di serbare incolumi i diritti che l’opera di Santa Maria di Pisa godeva nel nostro comune. Da questo si può desumere quanto numerosi furono i terreni del Logudoro, donati dai Giudici turritani alla chiesa, Capitolo e monasteri di Pisa!

Certo è, che sotto Pisa la città di Sassari ebbe i suoi Statuti. Scrisse il Manno, che Sassari passò dalla soggezione alla libertà con la Convenzione del 1294; l’Angius è invece di opinione, che la forma del suo reggimento era già costituita sin dal tempo che il Conte Ugolino aveva invaso il Logudoro, perché allora si formò, o meglio si riformò, lo statuto politico, compilando il Codice.

I genovesi tentarono conquistare la supremazia in Sassari, ma non lo poterono prima del 1284, anno in cui sconfissero i pisani alla Meloria. Allora si ruppero i patti tra Sassari e Pisa, e questa con stipulazione del 1288 fece cessione a Genova di tutti i suoi diritti sulla città di Sassari per il prezzo di 137.000 lire di Genova.

Varianti diverse

Il più volte citato Casini ricostruisce diversamente questo periodo. Egli dice, che, morta Adelasia nel 1262, Michele Zanche tentò di impadronirsi di Sassari; ma vennero fuori diversi altri pretendenti, fra i quali il Conte Ugolino e il figlio di Guelfo. Egli non ammette che il comune di Sassari siasi affermato per effetto della caduta del Giudice turritano, per-ché Sassari godeva da tempo la sua libertà. L’assassinio del Zanche (dice lui) non avvenne nel 1275, come gli storici vogliono, ma molto tempo dopo, probabilmente verso il 1294, in conseguenza forse dei patti del 1288, tra Pisa e Genova. Furono i Doria (continua il Casini) che, aiutati dalla Repubblica di Genova, favorirono in Sassari la preponderanza del partito genovese; ed infatti un commentatore di Dante disse, che Branca Doria assassinò Zanche, essendo Podestà di Sassari.

L’uccisione di Zanche segnerebbe dunque la preponderanza genovese in Sardegna, e lungi dall’essere l’origine della libertà sassarese, aprì la via alla sua fine, poiché tra il 1287 e il 1294 avvenne l’assassinio, e Sassari passò schiava, più che alleata di Genova.

Ho detto altra volta, che il Casini dà troppo deboli ragioni per stabilire la morte di Zanche nel 1294, anziché nel 1275, come gli storici giustamente vogliono. Io credo più esatta quest’ultima data; e noto in proposito, che nello stesso anno della tregua (1278) l’arcivescovo di Sassari aveva diviso la città in cinque parrocchie, ed aveva costrutto l’episcopio per stabilirvi la residenza. Michele Zanche se n’era andato all’inferno, e l’arcivescovo e i canonici potevano soggiornare a Sassari senza molestie.

Nel mio libro Adelasia ho dimostrato essere inverosimile che il ventenne Branca Doria avesse pugnalato il suocero Michele Zanche, già vecchio di 83 anni, e che lo stesso Branca avesse vissuto fino al 1325, per farsi decapitare, oltre novantenne, dai sassaresi.

A distanza di sei anni dallo studio del Casini, a noi dice il Bonazzi (1901), che appare incerta la condotta del comune di Sassari nel tempo in cui fu combinato il matrimonio di Adelasia col re Enzo; ma se i suoi precedenti ce lo presentano come alleato naturale dell’impero, dovette in prima linea mettere i suoi interessi e il riconoscimento delle proprie franchigie. Dopo le notizie sull’origine di Sassari, forniteci dai regesti di Gregorio IX (egli soggiunge), noi non troviamo accenno di questo municipio fino al 1275, in cui i genovesi, assediati a S. Igia dai pisani, ottengono di riparare in Sassari, luogo sicuro. Dunque il comune di Sassari aveva conservate intatte le sue libertà, estendendo nel Giudicato la sua giurisdizione.

«In siffatta condizione appunto ce lo presenta nel 1263 una lettera di Urbano IV; il quale raccomandasi all’arcivescovo di Oristano perché predichi nell’Isola la croce a favore del Giudice di Arborea, che si accingeva a strappare il Giudicato turritano dalle mani di Manfredi (cosi il Petz). Non consta però, che l’occupazione di Manfredi sia avvenuta per forza d’armi; forse per mezzo de’ suoi ufficiali avrà stabilita l’autorità regia sul comune di Sassari e sugli altri vassalli del Logudoro.

«Dal 1263 al 1267 (prosegue il Bonazzi) notasi un grande movimento nella politica del comune di Sassari: l’avvicinamento alla Corte di Roma. Avvenuta nel 1266 la morte di Manfredi, la repubblica di Pisa mandò in Sardegna il Conte Ugolino con Tuscio Ruffo e loro masnade; i quali s’impadronirono di Sassari e di altre terre del Giudicato. Clemente IV ingiunse ai pisani di richiamare il Conte Ugolino, di cessare le molestie contro i sassaresi, e di risarcirli dei danni. Ma Clemente IV non riuscì a nulla, poiché sei anni dopo Gregorio X replicava le ingiunzioni. I pisani si riconciliarono col papa nel 1272».

Il Ferretto segue, in massima parte, la versione del Tola, che trova logica. Dopo l’assassinio di Michele Zanche (egli scrive) i genovesi usarono ogni sforzo per assoggettare i sassaresi al loro dominio; ma questi, ribelli ad ogni schiavitù, respinsero gli assalti dei Doria, dei Malaspina, e dello stesso comune di Genova; e si ressero a libera istituzione dal 1276 al 1294, seguendo la parte guelfa, ma disdegnando l’amicizia dei pisani. Il partito ghibellino, autore d’una concordia con Genova, prevaleva nel 1294 nei Consigli della repubblica sassarese – ond’è che si spiega il bando dato ai pisani.

Anche Arrigo Solmi, il dotto studioso di cose sarde, nel suo scritto Costituzione sociale della Sardegna (1904) e in altro articolo bibliografico inserito nell’Archivio storico sardo (1905) dà alcuni cenni sul comune di Sassari. Spigolo i tratti più salienti:

«Il comune di Sassari è, come ogni altro di Sardegna, il prodotto di una rivoluzione contro il potere indigeno dei Giudici. Sassari, che nel secolo XII era ancora una villa retta dal suo proprio Maiore, diventò in breve la città più popolosa e importante del Giudicato turritano. Sul principio del secolo XIII era assurta al grado di Curatoria, avendo assoggettato le ville e terre circostanti.

«Nel 1230 era curatore di Sassari (ossia rappresentante del Giudice) un tal Michini, che a nome del Giudice turritano invase nello stesso anno una proprietà di S. Maria di Pisa. Altro curatore, nel 1232, era quel Belardo Carbone che figura poi come Vicario a reggere la corona in due atti del Condaghe di Silki – lo stesso che abbiamo trovato nel 1234 tra i complici di Michele Zanche in un documento del Ferretto. E questo esclude che Sassari in quei tempi fosse comune libero.

«I pisani, soprattutto, erano in Sassari numerosi, favoriti anche da larghi possessi che vi teneva l’opera di S. Maria di Pisa; e vi costituivano una rappresentanza, istituendovi i Consoli a nome di Pisa e dei mercanti pisani.

«Intanto nella città i nuovi elementi tumultuavano, anelanti a liberarsi dagli impacci delle vecchie istituzioni e dagli antichi sovrani, ossia Giudici.

«Nel 1236 i sassaresi si ribellarono, trucidarono Barisone, e proclamarono il Comune; ed è notevole che la ribellione fu principalmente fomentata dai pisani ivi residenti, forse favoriti da Pisa.

«Il comune si mise subito in lotta con Ubaldo, successore di Barisone per Adelasia sua moglie; e l’anno seguente (1237) vennero stabilite le condizioni della pace per l’autonomia… Per quanto il moto fosse preparato da qualche tempo, il comune non affermò la sua libertà che nel 1236, dopo la rivolta contro Barisone. D’allora in poi non si hanno traccia di Curatori (o rappresentanti del Giudice) ed in Sassari è costituito il Comune.

«Anche in questa sua autonoma costituzione, e nella sua fisonomia ghibellina, l’elemento pisano ebbe la prevalenza in Sassari.

«Seguono lunghi eventi guerreschi fra il 1263 e il 1272, i quali condussero parimenti alla predominanza pisana.

«Negli accordi del 1272, ed in quelli del 1294, s’invertirono le parti. Prima la espulsione dei genovesi dalla città, e l’invio del podestà da Pisa; indi si svolse l’autonomia – ma sempre con leggi inspirate al modello pisano.

«Nel 1294, fiaccata la potenza pisana, si passò sotto il dominio genovese, ma nulla sostanzialmente venne sancito nelle sue istituzioni; e nemmeno per la espulsione dei pisani ebbero a soffrirne gli interessi dei mercanti di Pisa».

Chiacchierata dell’autore

Certamente non posso dividere il parere del Dessì sull’autonomia del Comune di Sassari, ch’egli vorrebbe iniziata nella seconda metà del secolo XII. Io, piuttosto, sono disposto ad ammettere nell’antica popolazione sassarese una certa indipendenza, o meglio uno spirito di libertà, che risaliva anche al di là del 1180, e forse anche al di là del 1131 – anno in cui, fra la cinquantina di servi che lavoravano come schiavi nella Corte di Bosove (attuale Latte Dolce), non si notava che un solo servo sassarese: Iorgi de Sassaro.

Le libere istituzioni in vigore nella patria d’origine degli abitanti di Sassari – mantenute vive coi frequenti viaggi commerciali – accendevano i petti dei vecchi e nuovi coloni, provenienti da Pisa e da Genova, a vantaggio specialmente del commercio che esercitavano, a cui dovevano la ricchezza, la indipendenza e la forza. E questo spirito di libertà era comune ai pisani e ai genovesi, anche quando i Giudici s’imparentarono coi Doria. Io suppongo che la villa di Sassari fosse considerata allora come un centro a sé, un centro quasi straniero in seno al Giudicato; poiché in esso si parlava una lingua diversa da quella parlata dai sardi indigeni; era abitata da una gente di costumi e tendenze diverse, relativamente più civile, la quale aveva affinità con quella della Gallura e dell’Anglona, oriunda anch’essa o incrociata coi pisani. Da ciò qualche concessione, un po’ di tolleranza, o qualche riguardo da parte dei Curatori e Giudici – un po’ per simpatia, un po’ per interesse, un po’ per paura, ed anche per necessità politica; poiché tra il Giudicato di Logudoro e quello di Gallura ci fu sempre un certo antagonismo, appunto per l’origine diversa delle due popolazioni, l’una sarda, l’altra pisana.

E in siffatta condizione speciale Sassari continuò a mantenersi per lungo tempo, anche sotto la supposta autonomia, la quale veramente (secondo me) non si effettuò che molto tardi: – non nella seconda metà del secolo XII, dietro la parentela dei Giudici coi Doria e l’alleanza con Genova (come vorrebbe il Dessì); – non nel 1236 dopo l’assassinio di Barisone (come vorrebbero Vico e Solmi); – non nel 1260, anno in cui Sassari vuolsi già separata dal Giudicato (come crede Satta Branca) – non nel 1267 con la venuta del Conte Ugolino (come vorrebbe l’Angius); – e non nel 1276, dopo la uccisione di Michele Zanche (come vorrebbero Tola e Ferretto), ma si effettuò probabilmente nel 1270, cinque anni prima dell’assassinio del suocero di Branca Doria – proprio nell’anno in cui il clero ed i magnati di Sassari, uniti ai vescovi della provincia, tutti stanchi di tanti deboli e ridicoli signorotti, deliberarono di eleggere a Re di Sardegna il figlio di Carlo d’Angiò. E questa supposizione si avvalora col podestà Arrigo da Caprona, che la repubblica di Pisa mandò a Sassari nel 1272 – chiamato nuovo podestà, perché forse era il secondo inviato e con ciò si spiega la menzione che si fa dei podestà di Sassari nei frammenti del Breve pisano del 1275, citati dal Satta Branca.

Quanto alla parentela coi Doria del 1180 e le successive convenzioni stipulate con Genova, e confermate da Costantino, Comita, Mariano e Barisone, anziché una preparazione alla libertà (come suppone il Dessì) parmi segnassero quasi una discordia, o la disgregazione della libertà stessa, goduta fino allora dai figli ed oriundi delle due repubbliche pisana e genovese. L’elemento pisano era prevalente in Sassari (forse perché spalleggiato dai monaci e dai popoli dell’Anglona e di Gallura); ed è chiaro che i Giudici cercassero d’imparentarsi coi Doria ed allearsi con Genova, per diminuire la influenza e la burbanza dei pisani, d’indole assai superba, violenta e ribelle. Bisogna tener presente che fra i patti delle convenzioni primeggiava quello di non far pace coi pisani senza il consenso dei genovesi. Qual benefizio al comune di Sassari dai privilegi concessi e poi revocati da Barisone? Come mai i sassaresi, di prevalenza pisana, potevano alzarsi a tumulto, quando Barisone, revocando la convenzione, aveva pur revocato la persecuzione in odio ai pisani? Certamente fu questo ragionamento che indusse il Besta e il Bonazzi ad ammettere, che l’assassinio del giovane principe si doveva all’istigazione dei Doria e dei genovesi, anziché dei pisani, come io ammisi nel 1898, e come ammise il Solmi ed altri.

Vedete bene che le tenebre perdurano sul misterioso assassinio, e sulle cause vere della rivolta!

D’altra parte ci è noto, che i Giudici dell’Isola, quando si sentivano deboli, o chiedevano aiuto ai genovesi per combattere i pisani, o chiedevano aiuto ai pisani per combattere i genovesi. Entro le mura di Sassari, e fra i sassaresi, accadeva la stessa cosa: e da ciò i dissidi, gli attriti, le lotte intestine, e le violente rivolte, continuate nei secoli XIII e XIV, quasi senza interruzione.

Come altrove notai, la famosa lotta del 1236 non s’impegnò certamente fra pisani e genovesi. I due partiti avversi erano composti di elementi misti da una parte e dall’altra. L’incrociamento aveva neutralizzato i più – i meno componevano quella classe dirigente, intenta solo a sfruttare il paese, a mungere le borse, e a dissanguare il popolo dei lavoratori – ora a vantaggio dell’opera di S. Maria di Pisa, ora a vantaggio dell’opera di S. Lorenzo di Genova. Ricordiamoci che Adelasia, nella lettera al papa del 1236, parla di genovesi e pisani che si erano uniti alle popolazioni ed ai Nobili della provincia per inveire contro il fratello Barisone, loro Signore, a cui prima avevano giurato fedeltà. La moglie del pisano Ubaldo pare volesse fare distinzione tra logudoresi e sassaresi, tra genovesi e pisani – forse per confondere la mente agli storici dell’avvenire!

La libertà dei sassaresi – diciamolo pure! – non era in fondo che una libertà schiava: schiava or dei pisani, ed or dei genovesi, a seconda dei tempi, delle circostanze e degli interessi degli uni o degli altri. La vera libertà era nello spirito dei sassaresi incrociati; i figli diretti di Pisa o di Genova non vagheggiavano che la sola libertà del commercio; essi si sentivano felici quando esercitavano l’usura entro i fondaci (o donnicalie), ai quali accorrevano anche i Giudici e loro congiunti (compresi i bastardi) per chiedere denaro a prestito al tasso del cento per cento. E forse da ciò i riguardi e l’amicizia!

E’ probabile che l’autonomia del Comune di Sassari si affermasse più seriamente nel 1236, dopo la morte di Barisone (come il Vico e il Solmi affermano); ma non è ardita l’ipotesi, che fin dallo scorcio del secolo precedente la popolazione sassarese si reggesse con leggi consuetudinali speciali, come con probabilità si reggeva nel 1236, e con certezza dopo il 1270.

La prova più convincente che la origine della libertà sassarese risaliva a tempo antico, parmi di trovarla nella convenzione con Genova e negli Statuti del 1294. In essi si citano le antiquas consuetudines et constitutiones. Ora, questo attributo di antiquas non può riferirsi ad una sola ventina d’anni (alla morte di Zanche), ma deve riportarsi almeno a un mezzo secolo addietro (alla morte di Barisone) e non sarebbe uno sproposito farla rimontare al 1180, dopo gli sponsali di Andrea Doria con la figlia del Giudice.

Mentre i Doria, imparentati coi Giudici, dominavano nel Logudoro ed in Sassari (dove avevano molti possedimenti e molta influenza), i pisani, alla loro volta e nello stesso tempo, stabilivano in Sassari, a nome del comune e dei mercanti di Pisa, i Consoli della mercatura. E qui parmi risulti ben chiaro, che i due popoli commercianti e rivali erano i così detti Ladri di Pisa: la mattina litigavano, e la sera andavano a rubare insieme. I derubati, ben inteso, erano i sardi indigeni!

In una carta della biblioteca Baille, del 1253, (citata dal Solmi) si parla del Console Compagno, il quale aveva la dimora sotto il portico del Regio palazzo di Enzo, (in villa Sassari, et sub portica domus regis Henthi, ubi moratur Compagnus consulum pisanum mercatorem de Sassari).

Questa notizietta, in apparenza così insignificante, parmi abbia un grande valore storico, e ci porta a congetture nuove.

Perché quel titolo di Reale palazzo? Dunque Sassari non era del tutto libera ed autonoma nel 1253, ed i Giudici vi avevano dominato, e vi dominavano ancora per mezzo dei Vicari.

Perché Palazzo di Enzio? Dunque questo principe (prigioniero a Bologna in quell’anno 1253) era stato riconosciuto dai sassaresi, ed aveva abitato quel palazzo in compagnia della moglie Adelasia alla fine del 1238, o al principio del 1239. E se Enzo non vi ebbe stanza, lo occupò forse Adelasia dopo la partenza di lui; e, se non lei, di certo il Vicario di suo marito, sia Michele Zanche, sia Corrado Trinchis, sia Belardo Carbone. Notiamo che Zanche (secondo un documento del Ferretto) appunto in quell’anno 1253 si trovava a Genova per lo sposalizio di sua figlia Catterina con Branca Doria; ma io credo che il matrimonio siasi effettuato in Sassari.

Che Enzio vantasse dei dirítti sulla città è cosa certa; poiché la storia ci parla del suo diritto sul Castello di Sassari: diritto venduto più tardi al Conte Ugolino, amministratore dei beni dei nipoti del principe.

Sassari, dunque, nel 1253 era sotto il governo del Vicario di Enzio, e ciò darebbe ragione all’ Angius, al Tola e al Ferretto; il primo dei quali fa risalire l’autonomia di Sassari al 1267 con la venuta del Conte Ugolino e gli altri due al 1276 con la morte di Michele Zanche. E più ragione darebbe alla leggenda, la quale vuole che Zanche s’impossessasse del Gíudicato, appena morto Enzo nelle carceri di Bologna nel 1272. – Un altro rilievo: la sentenza del podestà pisano Tano Badia fu redatta sub loggia del Comune di Sassari, ante curiam regni, nell’Ottobre del 1283. A che allude quel regni, sotto la repubblica sassarese?

Ma di qual natura era questa libertà autonoma dei sassaresi durante i tre quarti del secolo XIII? Sassari è supposta villa quasi indipendente nel 1113, e noi vi abbiamo veduto il Giudice Costantino tener corona nella chiesa di San Nicola. Era città libera dal 1210 al 1233, e vi abbiamo trovato i Curatori rappresentanti di Comita e di Mariano. Era città libera nel 1234,e noi abbiamo udito Adelasia lamentarsi dei sassaresi che si erano ribellati al loro Signore, a cui prima avevano giurato fedeltà. Erasi costituita in comune libero ed autonomo con la rivolta del 1236, e noi, quindici anni dopo, vi troviamo il Regio Palazzo di Enzo, dove a lungo ebbe stanza il Vicario del Giudice. Quando Enzo venne in Sardegna, da due anni era avvenuta la proclamazione del Comune, voluta dal Solmi.

Per provare che Sassari era comune libero nel 1236, lo stesso Solmi ci disse, che dopo quel tempo non si ha più traccia in Sassari di Curatori, o rappresentanti del Giudice; ma io osservo, che, se i Curatori mancarono, era soltanto perché nella città (divenuta centro popoloso ed importante) avevano fissato il loro domicilio (alternato con Ardara) gli stessi Giudici in persona, i pretendenti a Giudici, od i Vicari dei Giudici.

Vedete quanti altri imbrogli e pasticci difficili a spiegare!

L’autore continua

Tornando alla rivolta ed alla morte di Barisone nel 1236, a me pare che questo periodo oscuro si rischiari alquanto, se per poco vogliamo ammettere che nell’assassinio del giovane principe intingesse Ubaldo Visconti per ambizione di un doppio regno.

Quanto alla sommossa popolare di Sassari e della provincia, io mi associo volentieri al Solmi, che la ritiene come un prodotto di ribellione contro il potere indigeno dei Giudici – e ne dirò le ragioni.

Abbiamo veduto fra i diciotto individui che nel 1234 mandarono un’ambasciata a Barisone (per implorare la pace e per farsi restituire i beni e le merci sequestrate) quel tale Belardo Carbone, che due anni prima era stato Curatore di Sassari, e poi designato come Vicario del Giudice in due corone. Abbiamo pur veduto fra essi quel Michele Zanche, che sei anni dopo vuolsi nominato Vicario del Giudice, o re Enzo. Orbene, in me nasce il sospetto che parecchi di quei diciotto soci avevano coperto o coprivano la carica di Curatori in diverse ville di Romangia, della Nurra, e della Fluminargia – come, per esempio. Giacomo Remanato, Gantino Pinna, e quel Gantine de Sen che io credo il Gantine d’Ena, che troviamo menzionato nel Condaghe come Curatore di Fiulinas ed anche di Gisarclu. E curatore di Sassari (chi lo sa?) era forse stato in precedenza lo stesso Michele Zanche. Se ciò fosse vero, risulterebbe che realmente trattavasi di una ribellione politica della città di Sassari e di alcune curatorie, macchinata contro i Giudici; ed a questa ribellione allude certamente Adelasia, quando nell’Ottobre 1236 si lamenta col papa della perfidia di coloro che avevano perseguitato il loro Signore, dopo avergli giurato fedeltà. E, a questa mia conghiettura, io credo non facciano ostacolo le merci sequestrate, poiché sappiamo che in quel tempo erano tutti mercanti, compreso Zanche, Carbone… ed anche Branca Doria. I nobili avevano botteghe di merci, ed i principali mercanti ottennero più tardi diplomi di nobiltà.

Il documento del Ferretto, d’altronde, non parla delle sole merci, ma anche dei beni confiscati ai rivoltosi. Ed ancora non sappiamo, se qualcuno dei diciotto congiurati appartenessero al numero dei nobili della provincia, menzionati nella suddetta lettera di Adelasia di Torres.

Ed in questo caso, il barbaro assassinio di Barisone dovette avere due causali e due scopi, che a vicenda si mantellarono: l’emancipazione dal Giudicato per parte del popolo – e la usurpazione dello stesso Giudicato per parte di chi aspirava a impugnarne lo scettro!

Ed ora mi tuffo in altro imbroglio, giacché fra gli imbrogli nuotiamo. Ci è noto oramai, che Michele Zanche non era nativo di Pisa, come volle Gazano ed altri; non era sardo logudorese, come alcuni affermarono; ma era proprio de Sassaro.

Qual contegno, dunque, egli tenne nella sua libera Sassari? Egli, che pur governava l’intiero Giudicato come Vicario di Enzio? Enzio nel 1253, era già da quattro anni prigioniero in Bologna, e Zanche forse già trescava con la legittima signora del Logudoro.

Questa critica posizione di Zanche arruffa di nuovo la nostra matassa.

Michele Zanche, secondo me, si sarà tolto d’impaccio ricorrendo alla solita baratteria. Favorendo la libertà della sua patria, egli avrà aiutato i sassaresi a scuotere il giogo dei Giudici oppressori; e allo stesso tempo, fedele alla sua Signora ed al di lei assente marito, avrà spinto i sudditi del Giudicato a congiurare contro i sassaresi – col solo scopo di sfruttare gli uni e gli altri a proprio vantaggio.

In poche parole: Michele Zanche faceva il repubblicano nel Regio palazzo di Sassari – e faceva il monarchico nella Reggia di Ardara. Cose che capitano anche ai giorni nostri!

Non è neppure improbabile che Zanche abbia apertamente tradito la libertà della sua città natale; e forse da questo fatto proviene l’ingiurioso soprannome d’impicca babbi, dato più tardi ai sassaresi – e lo sdegno del fiero Ghibellino che ha cacciato nel suo Inferno quel barattiere della patria.

Più singolare sarà stato il contegno in Sassari della Regina Adelasia, ganza allora, e più tardi moglie di Michele Zanche. Legata a lui da una colpa, quell’infelice avrà secondato il drudo ed il marito in quel duplice sistema di governo.

Il Vicario di Enzo barattava a suo talento la cosa pubblica, ed era avversato dalla fazione dei genovesi – forse perché vedevano in lui un fortunato concorrente nei loschi affari. Lo strozzino sassarese, volendo forse cattivarsi l’amicizia di quei mercanti liguri, aveva concesso la mano della sua figliuola Caterina a Branca Doria; ma questo matrimonio, anziché vantaggio, gli apportò rovina, poiché fornì ai nemici la occasione per sbarazzarsi facilmente di lui. L’ambizioso genero, per usurpargli il potere e le ricchezze, lo pugnalò vigliaccamente a mensa.

E così – lo ripeto – il Giudicato si estinse per un parricidio -come per un fratricidio era forse passato nelle mani di Ubaldo Visconti. Questa volta la colpa aveva vendicato la colpa!

L’autore conchiude

Conchiude per modo di dire, poiché l’adito rimane aperto a tutti gli storici dell’avvenire, e Dio sa per quanto tempo!

In mezzo a tanti pareri discordi, a tanti controsensi e contradizioni, si è quasi tentati ad accogliere l’opinione del Vico – lo storico che ha la disgrazia di non essere creduto, anche quando dice la verità. Egli scrisse fin dal 1639, che, dopo la morte di Ubaldo Visconti nel 1238, non vi furono più Giudici nel Logudoro.

Io andrei anche più su. Forse di nome, e non di fatto, regnarono o governarono tutti quelli che, dopo la morte del Giudice Mariano, pretesero il comando del Logudoro, a cominciare dal 1233.

E così: non regnò di fatto Itocorre De Serra, fratello bastardo di Mariano, per il minorenne Barisone affidato alla sua tutela; – non regnò veramente Ubaldo Visconti per la consorte Adelasia; – non regnarono per Adelasia il bastardo, né la concubina di Federico II; – non governò per Enzo Donno Michele Zanche, né Messer Corrado Trinchis; – non governò l’annunziato Messer Vernagallo, né l’infelice Conte Ugolino; – non governò Guelfo, né quanti assunsero il titolo di Giudici di Sassari (compresi i Doria ed i Malaspina); tutti reggitori nominativi – corvi voraci ed affamati, che spiccarono il volo da ogni parte d’Italia, unicamente per ridurre in brani il cadavere del Giudicato logudorese. Lo spirito dei popoli sardi era depresso ed avvilito dal dissidio e dalla miseria ed i mercanti stranieri, ambiziosi o strozzini, ne approfittavano!

Dal mio canto persisto nella mia opinione. Non solo dopo lo studio accurato del Bonazzi, ma anche dopo quello più documentato del Ferretto e del Besta, a me pare che le tenebre siansi maggiormente addensate su quel periodo storico. La troppa luce ci ha forse acciecati!

La storia sassarese del secolo XIII non si è ancora affermata. Essa vagola nel vuoto. È una donnetta allegra che dà retta a tutti, ed a tutti dà ragione; è un caleidoscopio che cangia le combinazioni di linea e di colore, ad ogni scossa che riceve da un nuovo documento. C’è quasi da dar ragione allo scettico Voltaire, il quale, col suo solito cinismo, definì la Storia una esposizione di avvenimenti dati per veri.

Un solo fatto, ben curioso e degno di nota, io debbo far rilevare. Mentre ci gettiamo a capo fitto nel mare magnum di tanti nuovi documenti, sperando di pescarvi la narrazione veridica da trasmettere ai nostri posteri, questi stessi documenti non fanno che lumeggiare, di tanto in tanto, qualche antica leggenda, o qualche vecchia tradizione, già da noi ripudiate perché ritenute fole.

E ciò significa, che al popolo piace alterare ed esagerare i fatti, ma esso non inventa mai. Un fondo di vero vi ha sempre in queste fantastiche narrazioni popolari, che vengono trasmesse da padre in figlio e da generazione in generazione – un fondo più veridico di quello che a noi rivelano certe pergamene, le quali ben sovente non ebbero che la missione di nascondere la verità agli onesti che la cercano.

La vera storia degli uomini e delle nazioni giace silenziosa nelle tenebre del sepolcro!

Podestà pisani a Sassari

Nelle alterne vicende politiche sotto la repubblica di Pisa, ben pochi nomi di Podestà ci ha tramandato la storia. Noteremo i soli tre che si conoscono: Arrigo da Caprona, Goffredo Sampante e Tano Badia de’ Sismondi.

Arrigo da Caprona è citato al 1272 negli Annali pisani dello storico Tronci, come novello podestà inviato da Pisa a Sassari; e ciò dimostra che altri prima di lui ne vennero mandati, di cui non conosciamo i nomi. Certo è da supporre, che il governo di Sassari fosse in quei tempi alternato fra pisani, genovesi, e forse per breve tempo da qualche cittadino sassarese.

Goffredo…, nel 1281 è citato dal Bonazzi, il quale dice di averlo rinvenuto in un documento da lui esaminato. Il Casini mi disse di aver trovato quel nome in un manoscritto di Casa Roncioni, con la qualifica di Podestà di Sassari per il Comune di Pisa nel 1282. Il Besta ci dà il suo cognome di Sampante, e aggiunge che a lui succedette Tano Badia nel 1282.

Tano Badia de’ Sismondi è menzionato dal Bonazzi all’anno 1282. Il Satta Branca, fin dal 1885, riportò una sua sentenza in data del 30 Ottobre 1283, pronunciata in Sassari, per una lite riguardante la chiesa di San Leonardo di Bosove (odierno Latte dolce).

Da un documento esaminato dal Bonazzi risulta, che Tano Badia fece una triste fine, ritornando da Sassari, dove esercitava la carica di Podestà per incarico del comune di Pisa. Fu fatto prigioniero, né tardò poi a morire, colpito alla testa da un quadrello, o freccia, che gli penetrò nel cervello, (percussus enim erat mortaliter de uno quarello in cerebro). Il Besta aggiunge, che comandava un naviglio, e fu ferito nei mari di Alghero per mano dei soldati di Corrado Doria.

Altri podestà pisani non conosciamo, e specialmente anteriori al 1294; e ciò farebbe credere che la città di Sassari siasi retta con qualche podestà sassarese, seppure Branca Doria non abbia coperta tale carica prima della convenzione del suddetto anno: ció che spiegherebbe l’esistenza del suo sigillo con la torre, arma della città di Sassari, e la qualifica di podestà che gli diede un commentatore di Dante.

Nella convenzione con Genova del 1294 è detto, che i podestà genovesi dovevano occupare il palazzo grande di Sassari, nel quale già solevano abitare i podestà che per alcun tempo vi stanziarono. Le parole per alcun tempo ci spiegano, che furono pochi i podestà inviati a Sassari da Pisa. Ma la serie di essi quando venne interrotta? Lo ignoriamo.

È dunque probabile, che in un certo periodo d’anni (e forse dal 1288 al 1294| la città di Sassari siasi retta a comune libero sotto quattro cittadini eletti a Capitani, senza ingerenza alcuna di pisani e di genovesi. Lo desumo dal capitolo 86 degli Statuti del 1294, in cui sembrano ben distinti i tre periodi. Nel detto capitolo si ordina di non pagare i debiti contratti anteriormente al 1294, cioè: ad tempus dessos Capitanos (governo indipendente); nen entiamdeo innanti (sotto i pisani); et fina assa prima potestate de Janua (sotto i genovesi). A meno che non si voglia far risalire il periodo d’indipendenza a tempo più antico – dopo il 1236. Fatto è, che fin da quest’anno esistevano leggi consuetudinarie o scritte, come altrove notai.