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Sotto i Piemontesi (dal 1720 al 1848)

Il nuovo governo

Abbiamo già detto che col trattato di Londra e di Parigi del 1718 l’isola di Sardegna venne destinata alla Casa di Savoia, ed i sassaresi, anch’essi, divennero piemontesi nel 1720. Inutile soggiungere, che continuarono ad essere spagnuoli per un altro mezzo secolo… e forse più!

Riassumerò le notizie e gli avvenimenti di questo nuovo dominio, dividendoli per ogni singolo regnante.

Vittorio Amedeo II (1720-1730)

Questo re (già ultimo Duca di Savoia) era stato eletto re di Sicilia fin dal 1714 e dopo avervi regnato per sei anni (la maggior parte lontano dai suoi sudditi) gli fu data in cambio la Sardegna.

Siccome l’isola sarda era sempre divisa in due partiti (Carlisti e Filippe-schi) così il nuovo monarca credette prudenza lasciar le cose come si trovavano, per non inasprire alcuno. Egli ordinò che si mantenessero gli usi ed i cerimoniali spagnuoli, e che a nessuno si imponesse di parlare in italiano. Non volendo atteggiarsi a correttore, il re raccomandava la tolleranza: freno largo, vista lunga, orecchie chiuse… almeno per il momento.

Stanco, annoiato e risentito per la perdita della Sicilia che aveva maggior importanza della Sardegna, il re Vittorio lasciò fare agli altri, e non fece nulla: e nulla gli altri fecero, tanto per imitarlo.

I dieci anni del suo regno passarono lisci ed i sassaresi, come tutti i sardi, continuarono a mettere la parrucca, ed a spagnolizzare in tutte le fasi della vita casalinga, civile e politica.

La moralità dei nobili e dei Consiglieri Comunali era di manica larga; la prepotenza degli ecclesiastici senza limiti. Comandavano i preti ed i frati e gli arcivescovi ordinavano arresti a loro talento, proteggendo qualche volta anche i bricconi, i ladri e gli assassini.

Processioni e feste, puntigli e pettegolezzi, suscettibilità nelle preminenze dei posti: – ecco la vita d’allora, durante i dieci anni di regno di Vittorio Amedeo II – del re annoiato, il quale finì per mandare al diavolo i sudditi, abdicando in favore di Carlo Emanuele, l’ultimo dei suoi sei figli.

Carlo Emanuele III (1730-1773)

Sotto questo monarca – che regnò oltre quarant’anni – i sardi ottennero grandi benefizi e radicali riforme.

Si colonizzò l’isoletta di San Pietro con 400 coloni trasportati dall’Africa; si impiantarono gli Archivi; s’istituirono le corrispondenze col mezzo dei corrieri per comodità del commercio; vennero abolite le usanze del vestire spagnuolo per seguire la moda italiana; si coltivò con maggior cura il tabacco; si fondarono i Monti frumentari a benefizio dell’agricoltura; si pensò alla riforma delle scuole ed alla migliore amministrazione della giustizia. Insomma, un vero risveglio agricolo, commerciale, giudiziario e civile, senza esempio nel passato, e forse senza esempio negli anni posteriori.

Siffatto risveglio ed attività si verificarono principalmente dopo che il Re, nel 1759, nominò ministro per gli affari di Sardegna il Conte Bogino, il quale può chiamarsi il benefattore dell’Isola.

Il regno di Carlo Emanuele fu il più provvido e benefico per la Sardegna, forse perché questo monarca esplicò la sua azione in un periodo di tranquillità e di pace. I suoi successori, all’incontro (fino a Carlo Alberto) vennero distratti dai molteplici ostacoli creati dai torbidi e dalle vicende politiche, che turbarono il paese nello scorcio di quel secolo e nei primi lustri del susseguente.

Per la città di Sassari, sotto il regno di Carlo Emanuele III, segnalerò le note seguenti:

Nel 1730 i Consiglieri si rivolsero al re per la sistemazione del porto di Torres che si trovava in deplorevoli condizioni.

A cominciare dal 1750 il distinto archeologo e cronista Antonio Sisco si rese benemerito della cittadinanza, raccogliendo numerose memorie storiche sulla città nativa e sulla Sardegna, contenute in una cinquantina di manoscritti, in gran parte andati dispersi.

Altro cittadino benemerito fu Don Ignazio Paliaccio Marchese della Planargia, Reggente la Governazione di Sassari nel 1767. Invitato dal Viceré egli scrisse una dotta relazione sulle condizioni dell’agricoltura sarda e sui mezzi di migliorarla e forse cooperò con essa alla compilazione del primo Pregone del 7 Settembre 1767 sui Monti Frumentari.

Ma fra tutti i benefizi, apportati alla Sardegna dal ministro Bogino, primeggiò la restaurazione delle due Università di Cagliari e di Sassari, verso il 1764.

A Sassari, in quell’occasione, vennero inviati dal Piemonte insegnanti valorosi, come il Berlendis, il Cetti, il Mazari ed il Gemelli: tutti e quattro autori di libri d’importanza o geniali, come la Storia naturale della Sardegna e il Rifiorimento dell’agricoltura sarda.

Fin dai primi anni della restaurazione dell’Università, possiamo dire che la città di Sassari entrò in una nuova fase, poiché la istruzione impartita ai suoi studenti era molto più seria che nel passato. I cittadini schiusero la mente a più vasti orizzonti, e sentirono più forte lo spirito patriottico e di libertà. Le libere idee che in Francia cominciavano a farsi strada per gli scritti d’insigni filosofi, quali Rousseau e Voltaire, rifecero (dirò così) gli uomini. Si apprese, in meno di venti anni, quanto in tre secoli non si era appreso.

Fra i giovani valorosi, usciti dall’Ateneo sassarese, due principalmente si distinsero: Domenico Alberto Azuni di Sassari, che doveva salire in gran fama per i suoi studi sul diritto marittimo – e Giovanni Maria Angioi di Bono, che doveva legare il suo nome ai moti liberali degli ultimi anni di quel secolo.

Vittorio Amedeo III (1773-1796)

Il regno di questo sovrano (a cominciare dal 1780) venne turbato dai tumulti e dalle ribellioni più gravi, ch’ebbero luogo a Cagliari, a Sassari, e in molte altre parti dell’Isola.

I ministri che succedettero al Conte Bogino non furono solerti, né punto teneri delle cose sarde; ond’è che venne inaugurata un’amministrazione stazionaria. Il re non fece che allargar la mano nella concessione di quei titoli nobiliari, che il suo predecessore aveva tenuto in freno.

Nel 1773 fu soppressa la Compagnia di Gesù – soppressione che fu appresa dai sardi con dispiacere – nota il Manno, e scrisse il vero. Il numero dei Gesuiti in Sardegna, alla fine del detto anno, era di 270, i quali vi possedevano beni per circa due milioni e mezzo di lire.

Sette anni dopo, la città di Sassari fu conturbata da un grave fatto. Nel 1780, per la ingordigia e baratteria del Governatore livornese Maccarani (che volle fare l’incettatore di grani) il popolo sassarese tumultuò, e commise eccessi d’ogni sorta. Corse furente alla Casa Comunale, ruppe porte e finestre, portò via sedie ed altri mobili e finalmente si sfogò sull’archivio, gettando dalla finestra e bruciando in piazza molte carte preziose, di cui la storia lamenta tuttora la perdita.

La punizione non si fece aspettare. Vennero ordinati moltissimi arresti, istruiti i processi, ed accordati due soli giorni agli imputati per le loro difese.

Otto dei principali autori della sommossa vennero impiccati dinanzi alla casa comunale, uno condannato alla galera a vita e non so quanti alla galera a tempo, ed alla prigionia per uno o più anni. Agli otto impiccati furono recise le teste dal carnefice, le quali vennero prima portate in carcere, e quindi conficcate nel patibolo permanente di Pozzo di rena. Uno spettacolo orroroso e ributtante, minutamente descritto dal cronista Sisco.

Nel 1789 fu creato Ministro per gli affari sardi il Conte Granieri, la cui moglie Anna Maria Manca era una sassarese che lo menava per il naso. Questa donna aveva indotto il marito a proteggere la città di Sassari, né fu estranea agli attriti ed alle contese fra le due primarie città sarde, che provocarono gran parte dei disordini avvenuti nello scorcio di quel secolo.

La rivoluzione scoppiata nello stesso anno in Francia aveva riscaldato gli animi ed esaltato tutte le menti. L’isola sarda risentì l’effetto del contraccolpo, come una gran parte degli Stati di Europa. Sassari era in fermento, e due partiti cominciarono a delinearsi nettamente: i conservatori o moderati, ed i seguaci delle nuove idee, a cui fu dato il nome di esaltati, e più tardi quello di giacobini. Il fuoco, però, si mantenne sotto cenere, in attesa dell’occasione per farlo divampare.

Nel 1793 la Francia tentò d’impadronirsi della Sardegna: una parte della sua flotta bombardò Cagliari, l’altra parte l’isoletta della Maddalena; ma i francesi vennero energicamente respinti dall’una e dall’altra spiaggia.

Fin dal Novembre dell’anno precedente, dietro l’annunzio della invasione, la città di Sassari erasi preparata alla difesa. Si era passata in rassegna la cavalleria di Osilo, composta di 600 paesani a cavallo e così la fanteria miliziana sassarese. Leggo in una relazione ufficiale, che, per animare la popolazione, erano comparsi in armi molti cavalieri, avvocati, impiegati, e quasi tutte le persone civili di Sassari, con soddisfazione del Governatore e allo stesso tempo si fecero tridui e novene nelle chiese della città, perché Dio rinforzasse il braccio di coloro che sarebbero usciti in campo per respingere il nemico.

Il re Vittorio Amedeo, soddisfatto per la vittoria ottenuta, si rivolse ai sardi, dichiarando che voleva ricompensarli, ed i sardi formularono cinque domande, fra le quali quella che gli impieghi venissero largamente distribuiti ai sardi. Ma il Re fece il sordo col tirarsi indietro, fra il  ed il no.

Nel 1794, intanto, i sardi cacciarono dall’Isola i piemontesi: a Cagliari con più energia – a Sassari con più dolcezza.

L’anno seguente in Cagliari il popolo si alzò a tumulto, ed assassinò barbaramente l’Intendente Generale cav. Pitzolo e il Generale delle armi Marchese della Planargia. Fu sparsa ad arte la voce, che gli istigatori dell’orrendo misfatto fossero Don Giommaria Angioi ed i suoi seguaci, non escluso Vincenzo Sulis che aveva cooperato alla cacciata dei francesi nel 1793.

La questione parve un po’ complicata, ed il Re ritenne i fatti… come non avvenuti.

In Sassari i feudatari si coalizzarono contro i liberali. Il partito di Angioi iniziò la reazione. La città di Sassari tentò di separarsi da Cagliari col pretesto degli eccessi colà avvenuti, ed il governo quasi vi acconsentì.

Il Viceré inviò da Cagliari tre Commissari, i quali, aizzando i vassalli contro i baroni, suscitarono scompigli e ribellioni da per tutto. A capo di migliaia di popolani dei villaggi, essi marciarono verso Sassari, come a città nemica di ogni libertà. Sostarono nella chiesa di S. Agostino, designata a quartiere generale

La mattina del 28 Dicembre 1795 fu dato il primo attacco in Porta Nuova. Da una parte e dall’altra si scambiarono fucilate; gli assalitori perdettero diciotto individui – gli assaliti ebbero due morti e parecchi feriti.

Finalmente la città dichiara di capitolare; il Governatore sassarese Santuccio si presenta al campo nemico, e si stabiliscono i patti. La mattina del 29 si effettua il ritiro dei prigionieri e la resa della piazza.

La città è occupata, e si dà il cambio all’autorità Municipale. I tre Commissari ritornarono a Cagliari, recando seco prigionieri il Governatore Santuccio e l’arcivescovo Della Torre. Fra i tre commissari era il cagliaritano notaio Cilocco, uomo energico e caldo fautore della causa angioina.

A Cagliari intanto si ondeggia; i numerosi partigiani di Angioi si raffreddano. e si schierano nel campo degli avversari moderati. Volendo tirar nella rete l’Angioi, questi viene mandato a Sassari come Alternos del Viceré per aggiustare le cose. La popolazione lo acclama con entusiasmo, e i canonici lo benedicono nel Duomo il 28 Febbraio 1796, giorno del suo arrivo. Da lungo tempo Angioi aveva deliberato di far guerra al feudalismo, e fra i suoi più ardenti cooperatori era il teologo Muroni, parroco di Semestene – nome glorioso e quasi dimenticato dalla storia.

Gli eventi prendono un altro indirizzo. I nobili, inaspriti, cominciano con spargere la voce che Angioi tentasse d’impadronirsi della rocca di Alghero con uno stratagemma, tradendo il sovrano. Gli stamenti e il Viceré alimentano sottomano la diceria. Il 12 di Giugno (non il 29 Maggio, come gli storici asseriscono) Angioi abbandona la città di Sassari; l’8 di Giugno corre ad Oristano, duce di molti logudoresi, che chiedevano un freno alle tiranniche pretese dei baroni e di là scrive risolutamente una lettera al Viceré, il quale in Cagliari prende rigorose misure contro l’Alternos e i suoi seguaci.

Due pregoni Viceregi impressionarono tutta l’Isola: con uno il Viceré deponeva Angioi dalla carica di Alternos; con l’altro metteva a prezzo la sua testa. Allo stesso tempo il Viceré aveva fatto partire da Cagliari un forte nerbo di armati alla volta di Oristano per combattere il presunto rivoluzionario.

Avvertito in tempo, il 12 Giugno Angioi si dà alla fuga; la sera del 16 arriva a Sassari, e l’indomani, accompagnato da alcuni fedeli sassaresi fino a Portotorres, salpa di là diretto a Livorno. Da Livorno si reca a Torino, e da Torino a Parigi, dove sosta per molti anni sino al 22 Marzo 1808.

Lo scompiglio in Sassari è indescrivibile. I nobili perseguitarono Angioi ed i suoi seguaci, rappresentandoli come antimonarchici – e riuscirono a disperderli con le macchinazioni e le basse calunnie. Molti angioini vengono arrestati: l’avvocato Fadda, il dottor Sini, Antonio Maria Carta e Antonio Vincenzo Petretto salgono al patibolo; molti altri sono condannati alla galera ed alla prigione; i più si salvarono con la fuga all’estero. Il prete Muroni, tormentato in modo barbaro, muore miseramente in carcere, dopo circa 20 anni di detenzione.

Il popolo era inorridito. I nobili e i cavalieri di Sassari (che avevano da tempo abbandonato la città) vi rientrarono soddisfatti della rivincita.

Al re Vittorio Amedeo non pervenne forse la notizia della vendetta fatta. perché il 13 Aprile dello stesso anno 1796 mori per colpo apoplettico.

Carlo Emanuele IV (1796-1802)

Sotto questo regnante continuò lo strascico della rivoluzione angioina. Nel 1797 si rizzarono nuove forche, e si mandarono in galera, o nelle carceri, nuovi imputati di idee repubblicane.

Abbattuto il trono sabaudo dalla Repubblica Francese, il re Carlo Emanuele con la famiglia, nel 1799, scappò da Torino per riparare in Cagliari, dove arrivò nel 3 di Marzo. La popolazione lo accolse con entusiasmo senza esempio. Basti dire che una schiera di pescatori e marinai si sostituirono ai cavalli per tirare il cocchio in cui sedevano il re e la regina. Ed anche il tribuno cagliaritano Vincenzo Sulis fu uno di quelli che tirò la carrozza reale, come rilevo dalla sua autobiografia manoscritta, finora inedita. E qual ricompensa ei ne ebbe!

Uno dei fratelli del re, il Duca di Monferrato, ebbe la nomina di Governatore del Capo di Sassari, e i sassaresi lo accolsero con feste il 19 Aprile 1799. Partito il 18 Agosto alla volta di Alghero per visitare lo zio, vi morì il 2 Settembre, colto da un’insolazione.

A Cagliari, malgrado l’entusiasmo, sempre congiure, vere o immagina-rie; sempre vili denunzie per mezzo dei confessionali; sempre fustigazioni per un semplice sospetto; sempre scritti incendiari, o satire per le vie – come quella raccolta nel Diario di Lavagna (manoscritto inedito che io citerò più volte). In una via della Marina, la mattina del 31 Ottobre 1801, fu trovata una carta in cui era scritto: Calaris aflicta, sine Rege, sine lege, sine duce, sine cruce: a De Quesada libera nos Domine! (E forse alludeva al Cav. De Quesada, Segretario di Stato, che nel 1806 era venuto con la famiglia a Sassari, destinato dal Re a suo Mastro presso la Santa Sede).

Non mancavano i manifesti dell’altro partito. In uno di questi (come rilevo dallo stesso Diario) si parlava del Re tradito, del paese spiantato, della nobiltà derisa e presa di mira. Si vociferava a Cagliari che la Sardegna sarebbe passata alla Francia, e che l’Angioi sarebbe venuto da Parigi in occasione delle nozze di una sua figlia col capitano Camillo Novaro.

Nel 1802 gli angioini emigrati, volendo vendicarsi della disfatta subita nel 1796, facevano pratiche per ottenere l’aiuto della Francia. Essi tentarono un’insurrezione, coll’iniziativa del sacerdote Sanna Corda e del notaio Cilocco, che si dicevano mandati dal rivoluzionario di Bono.

Venuti in Gallura cercarono di far propaganda in nome di Angioi, e gettarono un po’ di panico nella nobiltà e nel partito moderato di Sassari.

Mentre in Gallura ardeva il fuoco della rivolta, il re Carlo Emanuele, che trovavasi a Roma, abdicò, lasciando la corona a suo fratello Vittorio Emanuele.

Vittorio Emanuele I (1802-1821)

Questo re accettò la corona lascia-tagli dal fratello, ma non si mosse da Roma, dove erasi recato con la speranza di ricuperare il Piemonte che la Francia gli aveva tolto. Approvò i provvedi-menti presi dai fratelli sui moti di Gallura, e secondò Carlo Felice, da lai confermato nella carica di Viceré.

Intanto nel Giugno del 1802 si diè principio in Gallura alla temeraria impresa degli angioini, che tornò loro fatale. In uno scontro con le regie truppe il prete Sanna Corda venne ucciso sul campo di battaglia; altri tre suoi compagni furono fatti prigionieri, ed impiccati in Sassari ed in Gallura. Il notaio Cilocco nativo di Cagliari, uno dei più animosi angioini, riuscì a sottrarsi agli avversari dandosi alla campagna: ma tradito in seguito da un perfido, che finse di dargli ospitalità egli cadde in trappola, e fu tradotto nelle carceri di Sassari.

Il tormento dato a questo infelice notaio fu dei più efferati. Ecco quanto scrive il Lavagna nel citato suo Diario: «Si è saputo, che il 3 di Agosto (1802) è stato fustigato barbaramente in Sassari Francesco Cilocco, essendo stato pagato il boia dal Duca dell’Asinara per batterlo assai; che la Nobiltà sassarese ha esultato per questa fustigazione; che la frusta era di doppia suola intessuta di piombo, che una ciurma di ragazzi prezzolati andavano fischiando e gridando: Viva il Generale Cagliaritano!; e che dopo la fustigazione gli è sopraggiunta una febbre acutissima, essendo rimasto tutto lacerato ed in istato da non poter rimanere in piedi né coricato, ma carpone; in sostanza una fustigazione così barbara, che mai si vide in Sassari la simile». Il Cilocco fu trascinato semivivo al patibolo il giorno 11 di Agosto.

I nobili e cavalieri sassaresi (ritornati in patria) sfogarono barbaramente tutto il loro odio e la vendetta sul povero Cilocco, memori che costui li aveva fatti scappare da Sassari nel Dicembre del 1795.

11 28 Agosto (diciassette giorni dopo il supplizio di Cilocco) moriva improvvisamente in Sassari il Conte di Moriana, altro fratello del Re e del Duca di Monferrato, a cui era succeduto nella carica di Governatore. Circolò la voce che morisse di veleno, propinatogli in un bicchier d’acqua. Una lettera ufficiale diretta da Sassari a Don Carlo Cugia in Alghero, dà per calunniose simili ciarle. Fattasi l’autopsia del cadavere 38 ore dopo il decesso, tutti i medici e due chirurghi riconobbero sanissime le viscere: «Grazie a Dio non siamo fra i Tartari (dice la lettera di Gaspare Richelmì, gentiluomo di Corte del principe defunto); e a nessuno può venire in mente un delitto sì enorme».

Dopo la morte del Moriana il governo di Sassari venne affidato al feroce Valentino (il persecutore degli angioini) ed a Vincenzo Amat di San Filippo.

Il re Vittorio Emanuele era sempre a Roma, in attesa della liberazione del Piemonte, mentre il governo di Cagliari temeva sempre qualche segreto accordo fra i sassaresi angioini e la repubblica di Francia.

I delitti aumentavano. Il Lavagna ci dice, che il giudice Nieddu aveva registrato oltre 1170 omicidi, commessi nell’Isola dall’Agosto del 1804 al Luglio del 1805.

Il 17 Febbraio 1806 fece ritorno a Cagliari il re Vittorio Emanuele I, insieme alla moglie ed alle sue tre figliuole.

La regina Maria Teresa menava il marito per il naso. La gelosia fra le Corti dei due fratelli (il re ed il cessato Viceré) aveva creato il dissidio, l’intrigo, ed il favoritismo. I cortigiani ne approfittavano per volgere le cose a loro talento Nella capitale erano tumulti e disordini; nel mezzogiorno dell’Isola cortigiani, lusso smodato, protezioni sfacciate; nel settentrione ire, fazioni, delitti.

La Sardegna era in mano della superba regina tedesca, la quale non faceva che imprecate a Napoleone I, intenta a farsi ubbidire da tutti, cominciando dal proprio marito. I sardi non l’amavano, ma la riverivano; e gli Stamenti votarono a suo favore 25 mila scudi a titolo di spillatico.

Nello stesso anno 1806 il re prometteva la Nobiltà progressiva a chi piantasse 4.000 olivi – sfruttando con molto buon senso l’altrui vanità a beneficio della sarda agricoltura. – La città di Sassari, il 22 di Aprile, ebbe la visita di questo buon Sovrano, che ospitò nell’Episcopio.

Nel 22 Marzo 1808 morì in Parigi Gio. Maria Angioi, ed invano gli storici Azuni e Botta gridarono che fu vittima della calunnia; alcuni degli storici moderni tentarono di denigrarne la memoria, ma la verità non tardò a farsi strada.

Nel 1811 la Gallura era lacerata da due fazioni furibonde che rubavano ed assassinavano, avide di rapina e di vendetta.

In quest’anno il tribuno Vincenzo Sulis (arrestato a Cagliari fin dal Settembre 1799) venne tradotto dalla torre di Alghero alle carceri di Sassari,  avendo ingannato anche i medici, fingendosi colto da una paralisi. Nella sua Autobiografia (tuttora inedita) egli parla di una Donna Marianna Serra e della sua domestica Lucia Cresura, le quali lo visitarono più volte in carcere, promettendogli di salvarlo per mezzo del governatore Conte de Revell. Aggiunge pure, che gli si volevano carpire 1.500 scudi, come altri 500 scudi gli avea carpito l’abate Trincheri, zio del Revell.

Finalmente riuscì ad evadere dal carcere vestito da prete, e si nascose in campagna per molti giorni. Avendo però saputo ch’erano stati arrestati numerosi individui appartenenti a una ventina di famiglie, perché ritenuti complici della sua fuga, il Sulis si decise a costituirsi alla giustizia per salvare tanti innocenti. Il prigioniero fu ricondotto alla torre di Alghero, dove rimase fino al 24 Luglio 1821, anno in cui fu graziato dal re Vittorio Emanuele, per mandarlo in esilio all’isola della Maddalena. Cosi scrisse Vincenzo Sulis di suo proprio pugno, ma io credo molto esagerato questo suo racconto, come molti altri fatti contenuti nella sua Autobiografia.

Durante questo tempo vengono denunziate diverse segrete congiure con-tro il Governo, tanto a Cagliari quanto a Sassari. Si ordinarono arresti, si fecero inchieste, ma di nulla si venne a capo, oppure tutto si seppellì nel silenzio. Circolò insistentemente la voce che si tentava di togliere la corona al re Vittorio Emanuele I per darla al fratello Carlo Felice. Le dissensioni erano nelle due Corti, e la regina Maria Teresa vi prese larga parte.

Nel 1814, caduta Parigi sotto le potenze confederate, il re Vittorio Emanuele I si recò a Torino, lasciando come Reggente in Sardegna la moglie.

Nel Giugno del 1816 anche Carlo Felice partì per Napoli, recando seco  come suo segretario privato l’algherese Giuseppe Manno, il futuro storico della Sardegna.

Fu a cominciare da questo anno che venne stabilita fra Genova e Cagliari la corsa periodica della Regia Goletta, nave poco comoda e poco corriera.

Il 1821 è memorabile per la rivoluzione del Piemonte. Nello stesso anno avvennero i deplorevoli tumulti di Alghero, per la mancanza di frumento. Un’orda di popolani aveva assalito la casa del negoziante Gaetano Rosai, uccidendogli una figlia. Seguirono gli arresti di 75 imputati, tutti tradotti alle carceri di Sassari. Trentasei vennero condannati alla morte, diciotto alla galera a vita.

Il regno di Vittorio Emanuele I ebbe termine con l’editto del 2 Febbraio 1821, il quale aboliva la tortura, sostituendola col dado armato di punte che stringevano in modo barbaro i polsi dei condannati.

Carlo Felice (1821-1831)

Pochi mesi dopo l’assunzione al trono di questo monarca, vennero impiccati dodici dei principali autori dei gravi disordini avvenuti in Alghero: sei dei quali in Sassari. Il nuovo Re volle però essere clemente, facendo grazia a molti, ed a molti commutando la pena. Era già qualche cosa, se consideriamo che la forca funzionava sempre, aprendo o chiudendo il regno di ciascun monarca!

Il re Carlo Felice, che Brofferio chiamò feroce, fu invece benefico per la Sardegna, un vero protettore delle lettere e delle arti. Fu lui che istituì una Cassa di Soccorso per gli artisti e i letterati, fra i quali citerò il pittore Marghinotti e lo storico Martini, di Cagliari – e gli scultori sassaresi Antonio Cano e Andrea Galassi, che ebbero tutti una sovvenzione annuale.

Per la R. Carta del 22 Gennaio 1822, i Gesuiti tornarono in Sardegna, ma con rendite molto diminuite. La dote in Sassari era di lire 9.600 annue.

Alla munificenza di Carlo Felice deve Sassari la ricostruzione della Casa Comunale e del Teatro Civico, ottenuta per la intercessione del benemerito sassarese Don Vittorio Pilo Boyl, marchese di Putifigari.

Fu nel 1826 che s’iniziarono le pratiche per la illuminazione della città di Sassari con fanali ad olio.

L’anno seguente fu del tutto soppressa la tortura, compreso cioè il famoso dado armato di punte. Si mantenne unicamente la berlina, tortura normale meno penosa per i malfattori.

La gioia dei sassaresi, per la ricostruzione della nuova Casa e Teatro Comunale, fu amareggiata dalla soppressione e trasloco a Cagliari della fabbrica dei tabacchi – decretata nel 1828, e tradotta in atto più tardi.

Nel Maggio del 1829 Sassari ebbe la visita di Carlo Alberto, allora principe di Carignano, ed i sassaresi lo accolsero con festini ed applausi.

Sotto il regno di Carlo Felice Sassari vide rifiorire il suo commercio, ingentiliti i costumi e l’edilizia, ed iniziato il buon gusto nelle lettere e nelle arti. La Storia di Sardegna, pubblicata dal Manno nel 1826, aveva in tutti destato lo spirito patriottico, aprendo il campo a nuove ricerche e a studi nuovi.

Carlo Alberto (1831-1849)

Morto Carlo Felice il 27 Aprile 1831, salì  al trono Carlo Alberto, principe di Carignano. Erano momenti difficili, ed egli si trovò di fronte a serii ostacoli per la reazione delle Potenze Europee e specialmente della Francia che si era atteggiata a correttrice di tutto il mondo: orgoglio in parte giustificato dalle rivoluzioni del 1789 e 1793, le quali avevano schiuso un’era novella alla civiltà, dando all’uomo la coscienza dei propri diritti.

Il governo di Carlo Alberto fu in un tempo riparazione del passato e preparazione dell’avvenire: ponte gettato fra il vecchio ed il nuovo – come giustamente notò lo storico Siotto Pintor.

Sotto il regno di questo Monarca, Sassari ebbe nel 1832 l’impianto dell’Orfanotrofio femminile, per la munificenza del Marchese Boyl, ch’erasi ritirato nella sua città nativa. Altri concittadini benefici avevano seguito il suo esempio per ampliarlo e dotarlo con somme cospicue.

Dolorosa per Sassari fu nel 1833 la notizia della fucilazione di Efisio Tola in Chambery – reo solamente di aver letto, e dato a leggere ai compagni, la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.

I mercanti genovesi, che fin dai primi del secolo si erano stabiliti a Sassari, diedero molto incremento al commercio dell’olio e del vino, con malumore e dispetto dei cittadini, angariati dal monopolio. I compatriotti degli antichi Doria (signori e mercanti del Logudoro nel secolo XIII) si erano di nuovo impadroniti delle campagne di Sassari e della Romangia!

Nell’estate del 1835 cominciò a stabilirsi la corsa dei battelli a vapore fra l’isola e il continente. Il primo vapore gettò l’ancora nel porto di Torres verso la metà di Giugno.

L’anno 1836 segnò per Sassari un vero progresso, sotto il Governatore Crotti, da cinque anni arrivato. Il nuovo Camposanto, l’ingrandimento della città con le appendici, e diverse altre istituzioni, furono iniziati o compiuti per suo impulso e per la genialità dell’ingegnere Enrico Marchesi.

Ma siffatto progresso non faceva diminuire i misfatti. Fra i molti delitti commessi in quel tempo sono memorabili quello dello Stacciaio tagliato a pezzi, e quello di Peppe Fronza, pugnalato in carnevale sotto un travestimento femminile.

In questo anno venne abolito il feudalismo. Il primo di Giugno si pubblicò l’editto Viceregio con cui si richiamava alla sovranità la giurisdizione, già esercitata dai feudatari o loro ministri. Liberate le ville dai Baroni, il 13 Settembre 1836, Carlo Alberto elevava alla dignità di Città i tre villaggi di Tempio, Ozieri e Nuoro.

S’inaugura a Sassari con grande solennità la Camera di Agricoltura, Commercio ed Arti, istituita con Viceregie patenti.

Seguì la riforma dei civici consigli e nel 1837 venne riordinato il servizio postale nell’Isola per mezzo dei Corrieri – in seguito con una vettura diligenza, che faceva il viaggio da Cagliari a Sassari in 36 ore.

Il commercio, quasi tutto in mano dei forestieri, prosperava, ma a danno dei proprietari sassaresi, che non sapevano, o non volevano sagrificarsi a trar lucro diretto dalle loro campagne. Dei genovesi era il traffico, tanto a Cagliari, quanto a Sassari e in Portotorres. L’inerzia, o la dignità spagnolesca, allontanavano dall’agricoltura e dal commercio i sassaresi e tutti i sardi.

Nel 1839 si diede mano al lastricamento del Corso (volgarmente Piazza) affidato all’impresa Porcellana.

Orribile incendio nella Nurra, che distrusse i folti boschi dell’Argentiera e incenerì parecchi milioni di alberi di elce e di olivastro.

Don Pasquale Tola, con la pubblicazione del Dizionario degli uomini illustri sardi, destò vivo nei suoi concittadini il culto per gli illustri e benefici antenati. Era suo emulo, in Cagliari, Pietro Martini – entrambi benemeriti della patria.

Nel Novembre del 1840 il Consiglio comunale delibera la costruzione di un nuovo ed ampio Ospedale civile.

Nell’Aprile del 1841 il re Carlo Alberto, insieme al suo primogenito Vittorio Emanuele, visitò la città di Sassari, e vi ebbe accoglienza entusiastica. La villa di Portotorres, fino allora frazione di Sassari, invocò dal Re l’autonomia – e venne soddisfatta con R. Patenti del 1842 e 1845.

Appena partito il Re, i sassaresi tolsero il Mercato dalla Carra Grande, e lo trasportarono provvisoriamente fuori di porta, quasi di fronte alla chiesa della Trinità.

Il 1842 è famoso per i famosi reati di furto e di omicidio avvenuti in Sardegna, allora infestata da numerosi banditi corsi, che avevano fatto lega con banditi sardi.

Nel 1844 si ripristinò il monastero di Santa Chiara, chiuso da parecchi anni per gli scandali e disordini ivi avvenuti.

Nei due anni seguenti si lamentarono i frequenti furti, talora preceduti da barbari omicidi. All’imprecazione contro i ladri e gli assassini, si univano le ire contro i commercianti forestieri, i quali facevano il monopolio del grano, dell’olio e delle sanse.

E così si venne alle porte della Costituzione!