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Pareri sulla lingua sassarese

Pareri nei secoli XVII e XVIII

Quale fu la prima lingua parlata in Sassari? Per quali cause essa si modificò e si accrebbe di vocaboli? Quali popoli la introdussero? – Riporterò in proposito alcuni giudizi pronunciati in diversi tempi.

Il visitatore Carrillo, nella sua relazione del 1612, così scrisse: «Nelle due città principali della Sardegna gli abitanti parlano e comprendono la lingua castigliana e la catalana. Queste due lingue sono più comuni nel Capo di Ca-gliari per le molte comunicazioni che hanno con la Catalogna e la Castiglia: nell’altro Capo di Sassari usano di più la italiana e la genovese per le maggiori relazioni con l’Italia e con Genova…».

Il professor Cetti scrive nel 1774, che, assai più della lingua adottata nella dominazione genovese e pisana, deve ritenersi straniera la lingua che si parla a Sassari, Sorso, Castelsardo e Tempio: la quale è un dialetto italiano, assai più toscano che non la maggior parte dei medesimi dialetti d’Italia.

Il Cossu (nel 1780-1783) così scrive: – «Il sassarese, il castellano e il gallurese, sono figli dell’italiano del secolo XIII, in molto alterato. L’invasione dei Goti e dei Vandali, con le voci straniere, avrà corrotto il linguaggio sardo… Il linguaggio volgare sassarese ha qualche affinità nell’antico dialetto toscano, introdotto forse dai pisani che nel secolo XIII soggiornavano in gran numero in Sassari».

Pareri nel secolo XIX

Il Porru, nella sua Grammatica del 1811 ci dice, che «in Sardegna, precisamente come in Grecia, si parlavano quattro dialetti: due onninamente strani, e due primigeniti. Il primo strano è ristretto alla sola Alghero, colonia dei Catalani; l’altro è quello che parlasi in Sassari, Sorso, Castelsardo, Tempio, ed in poche altre terre della Gallura, il quale non è che un toscano corrotto. I due primigeniti sono il Logudorese e il cagliaritano».

Il Padre Napoli, nel 1814, non vuol fermarsi sul dialetto sassarese, osservando che esso è poco apprezzato (?), persino dagli stessi abitanti; ond’è che le persone colte e civili, o parlano italiano, o parlano in marghinese. «Nondimeno (aggiunge il buon frate per raddolcire la pillola) il sassarese è molto adatto alle poesie, alcune delle quali sono eccellenti…s.

Nell’Ortografia sarda del 1840, lo Spano osserva, che la lingua gallurese somiglia molto alla corsa, ed entrambe somigliano alla siciliana, come asserì l’Angius. Egli soggiunge: – «Che la lingua del settentrione sia un linguaggio sopraggiunto, e separato dalla lingua nazionale, lo dimostra il fatto che, non solo i sassaresi, ma anche tutta la Gallura e Sorso chiamano sardi i logudoresi».

Lo stesso Spano ci dice, che il dialetto sassarese si distingue da tutti gli altri per la delicatezza degli accenti tonici nelle vocali e ed o; di modo che, se uno non è nativo della città, non arriva mai a parlarlo colla sua vera accentuazione. Aggiunge, che il principe Luciano Bonaparte (il Nestore dei filologi) ne aveva fatto studi comparativi con altre lingue di Europa e gli aveva pro-messo nel 1862 che avrebbe fatto un viaggio in Sardegna, per studiarvi specialmente il sassarese. Ed intanto, pregato da Bonaparte, lo Spano volgarizzò in dialetto sassarese tutto il Vangelo di San Matteo, pubblicato a Londra nel 1866, con una dotta prefazione dello stesso principe sulla pronuncia.

Parere del Tola

Fra tutti gli altri scrittori, Pasquale Tola è quello che nel 1850 parlò più a lungo sull’origine della lingua sassarese. Egli ci dice, che essa derivò primamente dal sardo volgare, frammisto al corso ed al pisano, col quale si riscontra nelle locuzioni – ed in seguito fu esteso alle borgate vicine dipendenti da Sassari – e corrotto più tardi dallo stesso popolo per mezzo dei traffichi e della influenza dei pisani, dei corsi e degli abitanti dell’interno dell’Isola.

Nota il Tola, che il sassarese era plateale, e perciò nelle scritture si usava in Sassari il sardo, oppure il latino. Aggiunge che il sardo era parlato in origine dalla popolazione sassarese, tanto nelle sedute del Consiglio del Comune, quanto nell’aule patrizie ed infatti (egli dice) il Codice della repubblica sassarese del secolo XIV era stato scritto originalmente in sardo logudorese.

Questo ragionamento dello storico sassarese cade in gran parte, dopo l’errore da me rivelato nel 1904: -gli Statuti di Sassari furono in origine scritti in latino, e più tardi, nel 1316, tradotti in sardo, per renderli intellegibili agli abitanti circonvicini che dipendevano da Sassari e parlavano il logudorese.

Parere dell’Angius

L’Angius, verso il 1848, lancia arditamente una sua bizzarra opinione, che veramente non regge alla logica. Egli afferma che Sassari, dopo che fu decimata dalle pesti, dalle carestie e da altri malanni, videsi costretta a chiamare nel suo seno i forestieri per accrescerne la popolazione, e perciò avvenne, che cessasse a poco a poco l’uso della favella sarda, che prima vi si parlava, sostituita in seguito dal dialetto corso, appunto perché di corsi si componeva la maggior parte degli stranieri che vi accorsero.

Ho già detto altra volta come le diverse pesti del 1348, 1404, 1528 (ed anche quella del 1652) non colpirono in Sassari oltre la metà della popolazione, ed ho pur dimostrato che un paese non sradica la propria lingua, anche quando vi rimangono soli 3.000 abitanti, come avvenne a Sassari nel 1652. Notai parimenti l’errore in cui incorsero diversi storici (fra cui il Manno) nell’interpretare la voce castigliana vezinos per abitanti, mentre non significa che famiglie.

Parere di Maltzan

Anche questo scrittore tedesco si trattenne a lungo sulla lingua sassarese, nel suo libro stampato nel 1860. Ecco quanto scrive:

«Deve recare stupore il trovare in mezzo ad una popolazione italiana una capitale straniera. Questo fenomeno etnologico lo si vede in Sassari, seconda capitale della Sardegna, la cui popolazione si distingue notevolmente da quella del rimanente dell’Isola negli usi e costumi, nel modo di vivere e nella lingua.

«Gli abitanti di questa città non si dicono neppur sardi, e questa espressione non è da loro usata che per designare le persone dell’interno. A nessun sassarese viene in mente di chiamarsi sardo, che per lui è sinonimo di un rozzo, semibarbaro, cui egli si reputa eminentemente superiore. Lo stesso dicasi per la lingua o dialetto. Io, veramente, non ritengo il sardo per dialetto, ma per una lingua, giacché esso sta nel giusto mezzo fra l’italiano, e lo spagnuolo.

«Dei dialetti sardi non fa parte il sassarese; ma esso appartiene ad un riparto linguistico affatto diverso ed estraneo all’Isola. Non merita neppure il nome di lingua, ma è semplicemente un dialetto dell’italiano, come lo sono il veneziano e il napoletano. Se lo si vede stampato si crede di leggere un italiano corrotto, quantunque quando lo si ode parlare si rimanga sorpresi per la singolarità della pronuncia di certi suoni, i quali sono estranei all’italiano, ma non si trovano neanche nel sardo… Nel sassarese tutto è italiano, eccezione fatta della pronuncia la quale non la spiego altrimenti, che ascrivendola ad un’indiretta influenza del sardo sul dialetto parlato in Sassari.

«Pertanto in Sardegna si vede lo strano fenomeno, che in mezzo al territorio parlante una medesima lingua esista un’oasi appartenente ad un campo linguistico estraneo. Ciò è più sorprendente, in quanto Sassari deve ritenersi come la capitale del Logudoro, il cui dialetto è uno dei più sviluppati e quasi rappresentante della lingua sarda.

«A quale circostanza si potrà attribuire un isolamento linguistico così sorprendente? Se la derivazione dei sassaresi dagli italiani fosse provata, allora la sciarada sarebbe chiarita; ma siccome in siffatto caso non siamo, ci troviamo imbarazzati a darne una spiegazione. Dalla storia non si sa altro, se non che nel 1118 il paese si presenta sotto il nome logudorese di Tattari, né in esso presero stanza neppure i Giudici del Logudoro, i quali si erano stabiliti in Ardara. I genovesi non poterono far prevalere la lingua italiana, giacché di essa non troviamo traccia in alcun documento: prova questa, che in Sassari. fino al principio del secolo XV, non dominava l’italiano, ma un dialetto sardo. Sassari deve aver avuto col continente maggior relazione che con gli altri sardi, e subì sempre l’influenza forestiera. Forse avvenne un’immigrazione dalla Corsica, il cui idioma è italiano. Il dialetto sassarese sembra una mescolanza di corso e di genovese per le due immigrazioni. Forse dal secolo XV (in cui dominava la lingua sarda) cominciò il dialetto corso-genovese, e vi ebbe il sopravvento. Il dialetto sassarese è di origine più recente della città in cui parlasi…».

Quest’articolo del Maltzan è molto sensato, ma l’autore cade anch’esso in parecchie inesattezze, per il solito errore di credere gli Statuti scritti in sardo e tradotti poi in latino, mentre avvenne il rovescio. Il dire che dal secolo XV cominciò a introdursi in Sassari il dialetto corso-genovese, parmi ipotesi molto ardita e priva di fondamento. Quanto al nome di Tàttari, scritto in un documento in sardo, nulla prova. In documenti di Genova del 1230 troviamo sempre Sassaro, e così certamente venne sempre chiamata la città dai pisani e genovesi, fin dal secolo XI. Al di là di questo secolo non abbiamo che tenebre, ed è inutile il fantasticare. Forse il paese neppure esisteva!

Parere di Guarnerio

Questo valoroso scrittore si occupò seriamente, fin dal 1889, dei dialetti sardi, ed anche del sassarese.

«Il dialetto sassarese (egli scrive) è propriamente soltanto della città… Di documenti in sassarese non se ne conoscono; deve anzi questo dialetto esser venuto molto più tardi all’onore della scrittura, se gli Statuti della stessa repubblica sassarese, promulgati nel 1316, sono in logudorese, e se nei secoli successivi ancora adoperavano il logudorese gli scrittori nativi di Sassari…».

Qui ripete lo stesso errore sulla compilazione degli Statuti in sardo. Se il poeta sassarese Araolla scrisse in logudorese nella metà del secolo XVI, fu certamente per diffondere il suo scritto nell’Isola, poiché il sassarese non si prestava alla scrittura, e ben pochi lo avrebbero compreso.

Lo stesso Guarnerio, nell’Archivio Glottologico del 1904, pubblicò un altro studio su dialetto sardo e corso, il quale studio ci rivela la profonda dottrina filologica dell’autore.  È impossibile riassumere il dotto articolo. Ne stralcio qualche brano.

«Il possedere la Sardegna un linguaggio fondamentale (il logudorese) svoltosi spontaneamente dal latino, parmi un argomento tale da assicurare all’Isola un posto a sé nella famiglia delle lingue neo-latine…

«Dalla varietà del logudorese si distaccano il gallurese e il sassarese. Che queste due varietà siano da togliere dal gruppo sardo per aggregarle con gli idiomi del continente italiano, mi par sentenza alquanto radicale. Ora è indubitato, che il gallurese e il sassarese non spettano più al tipo sardo vero e proprio, né per l’abbandono normale della s e del t finali entrano nell’ambito dei gruppi romanzi orientali; ma non si possono nemmeno senz’altro ascrivere al tipo italiano: tramezzano tra l’uno e l’altro…».

Ponendo a confronto alcune poesie di Gallura e di Sassari, il Guarnerio fa osservare che in quelle sassaresi l’eco italiana risuona assai fioca.

Il chiaro professore chiude il suo lungo e dotto articolo, proponendo un nuovo elenco in cui classifica più razionalmente le lingue romanze ed i dialetti italiani. Egli colloca la lingua sarda fra i due principali gruppi orientale e occidentale, creando un terzo gruppo isolato, indipendente, che partecipa dell’est e dell’ovest, ed a cui dà il nome di zona grigia.

Parere di Wagner e di Campus

Commentando il parere di Guarnerio il primo conchiude nel 1895:

«Visto che il corso devesi considerare come un dialetto italiano, i dialetti gallurese e sassarese gravitano pure sul corso, e non hanno quelle caratteristiche che fanno una lingua del logudorese e del campidanese. In un sistema delle lingue romanze, il corso, insieme coi dialetti settentrionali della Sardegna, avrebbe da figurare come un dialetto italiano, però come membro intermedio tra l’italiano e il sardo».

Il prof. Campus, confutando l’opinione del Guarnerio, nega che il sassarese, il gallurese e il corso oltramontano siano veramente dialetti sardi ed una prova ne dà nell’appellativo di sardi, dato dalle suddette popolazioni agli altri abitanti dell’Isola, e nelle diverse foggie di vestire. Conchiude, che il sassarese non è altro che una varietà del dialetto gallurese. «Ancorché SassariSorso e Portotorres (egli dice) non appartengano geograficamente alla Gallura, possiamo comprendere sotto il nome di dialetto sassarese anche la lingua parlata in quel ristretto territorio».

Parere di Nurra

Riporterò alcuni giudizi di Pietro Nurra, pubblicati nel 1893-1898: «Il dialetto sassarese che si parla a Sassari, e con leggere varianti nei vicini villaggi di Sorso e di Portotorres, è di origine incerta come la città ove si parla. Quel che pare stabilito è che non ha origine autoctona, poiché i sassaresi chiamano sardi i logudoresi. L’importazione di questo dialetto lo dobbiamo ai pisani che ebbero grandissima influenza e dominio nel Capo settentrionale dell’Isola per oltre 200 anni. Con la loro definitiva cacciata nel 1294 (voluta dai genovesi) il dialetto sassarese si ridusse probabilmente in qualche umile sobborgo della città, lasciando il campo al logudorese che divenne la lingua ufficiale… Ché se il dialetto logudorese predominò per molto tempo, ciò deve attribuirsi all’influenza di famiglie ragguardevoli del Logudoro, che necessariamente dovevano accorrere a Sassari dal centro del Capo settentrionale.

«Nel dialetto odierno sassarese rimangono ancora due frasi caratteristiche che ricordano la dominazione pisana: ladri di Pisa, titolo dato dai sassaresi ai ladruncoli svelti ed astuti; e pisaná, che in gergo furbesco significa rubare…».

Anche il Nurra fonda parte dei suoi giudizi sull’erronea asserzione del Tola. Egli attribuisce alla cacciata dei pisani nel 1294 l’impoverimento del dialetto sassarese, ma gli sfuggì che la città in detto anno era molto popolosa, e che i pisani scacciati non erano in tal numero da influire sul mutamento o altera-zione della lingua del paese. Quanto ai ladri di Pisa io noto, che i sassaresi con tal titolo non intendono alludere ai ladruncoli svelti ed astuti, bensì a quelli che la mattina fingono litigare tra di loro, e la notte si mettono d’accordo per andar a rubare insieme.

Parere del Toda

Sorvolando su diversi scrittori antichi e moderni – tutti concordi nell’ammettere il dialetto sassarese come figlio dell’antico pisano – terminerò col giudizio dello spagnuolo Edoardo Toda, il quale, nel 1889, affermò nell’Illustraciò Catalana che la popolazione di Sassari è genovese di origine.

Se non dobbiamo ammettere, non dobbiamo neppur respingere siffatta opinione, poiché non è assurdo il sospettare che i mercanti genovesi primi venuti, oppure quelli posteriori che dominavano la città al tempo dei Doria, abbiano influito col loro linguaggio a fondere, o a maggiormente corrompere quella lingua pisano-corsa, o sardo-pisana, che prima vi si parlava.

L’asserzione del Toda (il quale forse attinse al Carrillo del 1612) m’induce a credere che gli spagnuoli, in generale, abbiano sempre creduto di origine genovese la città di Sassari e la sua lingua. Ed infatti, il re Filippo II, quando a petizione dei sardi Stamenti (non so in odio di chi) volle provvedere alla traduzione dei Codici antichissimi ancora esistenti in Sardegna, decretò nel 1565, che si traducessero in lingua catalana o sarda gli Statuti sassaresi del se-colo XIII, scritti in lingua genovese ossia italiana. Questo decreto ci rivela due cose: 1) la ignoranza del re e degli Stamenti di Cagliari, i quali non sapevano della traduzione in sardo degli Statuti sassaresi; 2) la credenza inveterata che siffatti Statuti fossero scritti originalmente in lingua genovese.

Come spiegar ciò? Io lo spiego col fatto, che nei primi lustri del secolo XIV, quando la Sardegna passò agli Aragonesi, Sassari era un centro genovese ben noto ai Re di Aragona, i quali più volte avevano aperto trattative coi Doria, che vi soggiornavano. Dei pisani predecessori non si parlava, o non si voleva sapere!

Dirò qui di passaggio, che il decreto di Filippo II, del 1565, aveva incoraggiato lo storico Angius ad asserire, che gli Statuti sassaresi, pubblicati dal Tola, non erano che una traduzione del primitivo testo, scritto originalmente in genovese od italiano. Ho a lungo combattuto questo bislacco giudizio, ed è inutile che io ripeta quanto scrissi altra volta.

Che cosa io ne penso

A dir vero, dopo tanti disparati pareri, io non penso più nulla, e lascio che pensino gli altri. Parmi, dopo tutto, che sia logico ammettere che l’odierno dialetto sassarese nacque da un miscuglio di lingue diverse, e siasi molto alterato nel lungo succedersi degli anni. Esso ebbe origine dai primi coloni genovesi e pisani che si stabilirono nel territorio sassarese, verso il secolo XI: dialetto in seguito corrotto da un po’ di sardo – tanto da quello parlato dalle poche famiglie indigene che forse già occuparono quella località, quanto da quello importato posteriormente dai popolatori del contado che si stabilirono a Sassari. Più tardi questo dialetto, diggià in parte alterato, fu di nuovo corrotto dalla colonia venuta dalla vicina Corsica, e finalmente dai nuovi dominatori di Aragona, i quali nel secolo XIV vi introdussero centinaia di vocaboli d’uso comune, lasciandovi intatta l’ossatura e la sintassi della lingua primitiva madre – la quale lingua era forse quell’ibrido italiano che leggesi in molti documenti genovesi del secolo XIV e XV.

Certo è che la lingua sarda non fu mai parlata dal ceto medio né dal patriziato sassarese, poiché ormai è accertato che gli Statuti di Sassari, scritti nel 1295 in latino, vennero tradotti in volgare sardo nel 1316, solamente per essere meglio intesi nei borghi della Curatoria, i cui abitanti parlavano la lingua del Logudoro.

Il chiamar sardi tutti gli abitanti dell’Isola (meno i galluresi, gli algheresi, i sorsinci, e pochi altri) è la prova più evidente che i sassaresi si ritenevano come una colonia straniera, a cui la lingua sarda era estranea, e questo dimostra, secondo me, che in Sassari l’elemento sardo non ha mai prevalso in nessun tempo – né prima, né dopo la venuta dei pisani e dei genovesi.

Così io la penso. Il lettore, a cui ho esposto le principali opinioni, può pensarla come meglio crede.