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La Zecca di Sassari

Monete del Narbona

La città di Sassari aveva i magazzini della zecca. Quando fra il 1410 e il 1420 Guglielmo Visconte di Narbona signoreggiò Sassari, coniò in essa alcune monete di diverso tipo.

Con una carta del 17 Novembre 1421, scritta in Sassari, si ordina di rifondere, o di contromarcare con lo stemma di Aragona (de refer o marchar) tutte le monete coniate dal detto Visconte; e in pari tempo si certifica, come Antonio Sunier, mercante di Alghero e ricevitore dei diritti reali della città di Sassari, insieme a l’honorable Pietro Pertugas, avevano portato alla zecca 688 lire delle dette monete per marcarle con la marca reale, secondo l’ordine sovrano, e si erano ridotti al valore di L. 344.

Questo documento venne riportato dallo Spano e da Giovanni Pillito, e perciò il Lamarmora non potè stabilire a qual zecca dell’Isola appartenessero le monete coniate dal Visconte, delle quali esistono pochi esemplari, sì di quelle di nuovo conio, come di quelle contromarcate.

Vincenzo Dessì, illustrando anch’esso queste monete, scrive, che prima della venuta del Visconte non eravi stata zecca in Sassari, e che nessun Giudice sardo battè mai moneta. Egli crede probabile che il detto Visconte si fosse servito dei zecchieri fatti appositamente venire dal continente, ed infatti le monete del Visconte, per finitezza di conio, sono superiori a quelle della zecca di Cagliari. Così dice il Dessì.

Monete di Carlo V

Lo stesso Dessì ha di recente pubblicato un’illustrazione di diverse monete minute, coniate a Sassari verso il 1538, sotto il regno di Carlo V; le quali hanno tutte nel diritto la leggenda Carolus Imp., e nel rovescio una torre (stemma di Sassari) e la scritta: Civitas turritana, oppu-re Gavinus, Protus, o solamente Gavinus, Pr., Gen. Lo stesso Dessì le crede eseguite a imitazione dei minuti della zecca di Cagliari, sotto il medesimo imperatore e con la leggenda Civitas Callari.

Nell’Archivio Comunale esiste una carta del governatore De Cardona, in data 4 Marzo 1539, con la quale si ordina ai consiglieri di Sassari di pagare lo stipendio agli impiegati e guardie della zecca. Da altro documento senza data (fra carte dal 1540 al 1545) risulta che i Consiglieri di Sassari chiesero al Viceré la licenza di coniare 300 reali minuti, giusta il decreto, e la concessione per un decennio, accordata dal Sovrano, e che doveva scadere nel 1547. A quest’ultima emissione il Dessì crede appartengano i minuti coniati ad onore dei Santi Martiri turritani – forse dopo il miracolo della restituzione degli oggetti rubati dai turchi alla basilica di Torres nel 1538 – o dopo il privilegio del Gonfalone concesso dal Papa all’arcivescovo Alepus. Tutto questo è probabile, ma non lo credo motivo abbastanza serio per provocare da Carlo V l’autorizzazione di un conio speciale.

In una carta del 25 Settembre del 1538 (esistente nell’Archivio di Stato) io leggo: «Mossen Antonio Cano Pala ha promesso al luogotenente del Procuratore Reale in Sassari di far la custodia, nella seca della ciudad, di Sassari, de la moneda que per la Ciutat se stampa en aguella bè i feelment, sen frau ne engan ecc. ecc. (bene, fedelmente, senza frode né inganno). – E’ chiaro dunque che in Sassari, nel 1538, si coniavano monete.

Ora io domando: se nel 1538 la zecca di Sassari coniava monete speciali, dobbiamo credere che i zecchieri siano venuti appositamente dalla Spagna o da Cagliari, come il Dessì vorrebbe, per il visconte di Narbona? – A me pare di no: la zecca di Sassari continuò a funzionare dopo il 1410, come aveva funzionato anche prima, con personale proprio.

Nulla ci vieta di supporre che siansi coniate in Sassari monete aragonesi nel secolo XIV, ed anche (perché no?) monete genovesi nel secolo XIII, sebbene gli statuti del 1294 non facciano menzione di zecca. Abbiamo in seguito un R. Dispaccio del 15 Maggio 1443, col quale Alfonso V concedeva al maestro della zecca di Cagliari Silvano Colomer il privilegio di coniar monete in Cagliari, Sassari, Alghero, Bosa, ed altri paesi del Regno; e in siffatto privilegio si accenna all’antica consuetudine di battere monete esclusivamente nel Castello (Cagliari); ma, fra consuetudine e divieto, passa una grande differenza!

Locali della zecca

Esistono due sole carte che indicano la località della zecca di Sassari: una del 1430, in cui è detto che Bernardino Brancha, cavaliere di Sassari, prendeva in enfiteusi una casa vicina al R. Palazzo, ed alla casa appellata de la moneda, in plano Castri Saceri; l’altra dell’8 Aprile 1433, in cui è pur detto che Don Giacomo Besora, aveva comprato una casa ubi antiquitus caudebatur moneta, in attiguità al Regio Palazzo.

Queste case – secondo il Dessì – erano situate tra la piazza Castello e il detto Palazzo Reale (oggi Intendenza di Finanza); ed anch’io sono dello stesso parere. Non divido però la sua opinione nello stabilire che proprio quella fosse la zecca in cui battè moneta il visconte di Narbona.

Altre zecche più antiche, e più moderne, esistevano certamente in diversi punti della via maestra – come ce le tramandò la tradizione popolare, la quale ha sempre indicato quali case della zecca, o del tesoro, quella dei Satta (di recente demolita) e le altre due, oggi proprietà di Soro Delitala e degli eredi del comm. Campus – che pur si dissero appartenenti a Michele Zanche.

E che la zecca dei tempi del Narbona non fosse quella attigua al Palazzo Reale, lo desumo dagli stessi documenti del 1430 e 1433 citati dal Dessì. È mai possibile che, dopo il brevissimo periodo di una diecina d’anni, si parli della casa appellata della monetaubi antiquitus caudebatur moneta? – questo invece vorrebbe dire, che in tempo antichissimo la zecca era attigua al Palazzo Reale, e che verso il 1400 era altrove; poiché altrimenti sarebbe stata superflua l’indicazione della prossimità del Reale palazzo e del Plano Castri Saceri.

Abbiamo veduto che una zecca funzionava in Sassari nel secolo XVI; e così pure continuò a funzionare nel seguente secolo. Nel 1643 si ha notizia di un tumulto popolare per il ribasso della moneda de vellon che si coniava a Sassari. Così il Tola e l’Angius, dall’Indice delle cose del comune, oggi perduto. Per questo genere di monete non si sentì certamente il bisogno di far venire i zecchieri da Cagliari o da Madrid.

«La moneta si batteva in una casa del Municipio». Così notava Pasquale Umana nel mandarmi gli appunti del documento del 1538; e certo lo desumeva da qualche documento. Proprietà del Municipio dovettero essere le zecche, come lo era il Palazzo Reale, di cui più tardi s’impadronì il Demanio.

Nell’Aprile del 1897 crollò una parte della casa in rovina del Corso, appartenente alla famiglia Satta – quella stessa designata dalla tradizione come casa di Michele Zanca, della zecca, e del Tesoro. Essa fu atterrata dal Municipio, e fino ad oggi l’area non venne occupata da alcun altro edifizio. Nell’interno di questa casa era una stupenda scala a chiocciola di granito, di puro stile pisano del 1300; ma venne distrutta… e gettata fra i rottami: forse per far dispetto a Michele Zanche!