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Carceri antiche e moderne

Carceri antiche

Le vecchie carceri (la cui area è oggi occupata dallo stabilimento dei fratelli Clemente) risalivano certamente al secolo XIII, e forse più in là.

Dagli Statuti del 1294 risulta che il Guardiano delle carceri non poteva percepire da ogni prigioniero (per suo salario, olio, ed altre spese) oltre sei soldi, all’atto della scarcerazione.

In altro articolo dello stesso Codice, aggiunto posteriormente nel 1374 o 1378 (non sotto il governo aragonese, come finora si credette, ma sotto quello di Ugone di Arborea quando s’impadronì della città di Sassari) i carcerieri che violentavano le donne detenute venivano puniti in modo da impedir loro per sempre di ricadere nel medesimo peccato.

Queste vecchie carceri erano proprietà del Comune, e per lungo tempo vennero concesse in appalto per un triennio, o per un anno.

Spigolo alcune notizie dalle carte dell’Archivio:

Nel parlamento del 1510 veniva proposto di destinare a carcere dei cavalieri e delle persone distinte il Regio Palazzo di Cagliari, o il palazzo dei Governatori di Sassari, poiché le prigioni di Cagliari erano per le sole persone plebee, non per quelle nobili e di riguardo. Si alludeva certamente al Castello di Sassari, forse in quel tempo stanza dei governatori.

1548 – Si ordina al custode delle prigioni di Sassari, che tenga un apposito registro per annotarvi il nome dei carcerati, il motivo dell’arresto, e il giorno della scarcerazione.

1552 – La razione prescritta per ogni carcerato era del valore di nove cagliaresi al giorno. (Non c’era pericolo che i prigionieri morissero d’indigestione!).

1557 – Si pagano trenta soldi a mastru Giovanni Piquer per acquisto di ferri per la prigione; e sei soldi a un muratore per aver riparato un muro che i prigionieri avevano aperto.

Appalto delle carceri. – Ho detto che le carceri si appaltarono per lungo tempo, come risulta da molti atti dal 1564 al 1646. Fra le condizioni dell’arrendamento sono le seguenti, che riassumo da un contratto del 1564:

L’appaltatore (arrendadore, compradore, o carcereri) era obbligato di pagare la somma stabilita a rate quadrimestrali; doveva prestar garanzia, ed offrir un fidejussore – entrambi responsabili di persona e coi propri beni. Egli aveva pur l’obbligo di servire personalmente nelle Carceri, farvi buona custodia e guardia, rispondere dei danni, e fornire tutti i ferri, catene, grillones ed altri oggetti indispensabili alle prigioni. Doveva tener francos dalle regalie ed emolumenti del carcere tutti i Consiglieri, ufficiali e verguettas della Città, e loro famiglie, compresi i servi. Gli era vietato di percepire somma alcuna da coloro, i quali mettevano in carcere per castigo i propri servi, o schiavos (sic).

1574 – In quest’anno si fecero importanti restauri alle prigioni. Baingio Tavera (cavalleri e cassiere delle carceri), pagò mandati per oltre Ls. 2.000 al sovrastante ai lavori Leonardo Manno, per muratori, falegnami, travi, pietre, calce, ed altri materiali di costruzione. Molte spese si fecero anche nel 1598 per los aposentos novos dessa prexone.

1574 – Si introducono nel contratto d’appalto alcune aggiunte e modificazioni, che riassumo. Colui che per castigo o punizione vorrà mettere in prigione i propri figli, i servi, o gli schiavos non deve pagare che cinque soldi per ognuno. (E’ chiaro che i figli discoli e i servi indisciplinati erano cresciuti di numero, e l’appaltatore non voleva mantenerli gratis!). Nello stesso anno – forse per abusi commessi dall’appaltatore – si stabilì la tariffa dei diritti da pagarsi dai detenuti. I cavalieri e militari dovevano pagare 26 soldi; i cittadini e i mercanti 20; gli artigiani di qualunque arte 15; per i massai, pastori, zappadores e carradores la quota era di dieci soldi, se stavano più di una notte in carcere, e di soli cinque se vi passavano una sola notte.

Da queste regalias et emolumentos erano francos (esenti) gli individui seguenti, il cui numero venne aumentato negli appalti posteriori.

Non pagavano, dunque, alcuna tassa: – i consiglieri, gli eletti, l’avvocato, il segretario, il cassiere, il sindaco, il contabile, le verguettas (tutti della casa di Città) con le loro famiglie, compresi i servi. Più erano esenti da pagamento: i procuratori, amministratori e medici degli ospedali di Santa Croce e dei Lebbrosi; la Cassa del porto di Torres; e così tutti quelli che al padre degli orfani fosse piaciuto mettere in prigione. Per gli altri si doveva pagare a rigore di tariffa, con proibizione all’appaltatore di nulla percepire in più, né in meno, qualunque fosse il tempo della detenzione, e qualunque fossero le cause e le ragioni civili e criminali per cui il detenuto si trovava in carcere.

Pare che i buoni genitori avessero reclamato contro i cinque soldi di diritto che si pretendeva per ogni figlio e per ogni servo, ed infatti nel Colloquio del 28 Luglio 1616 si tornò a deliberare che i figli, i servi e gli schiavi, messi in carcere per castigo, non dovessero pagar res (pagar nulla). – La prigione di allora pare rispondesse a un vero collegio di educazione – una specie del Nazareno di Roma, poiché i cavalieri e i Consiglieri comunali vi entravano quasi con piacere!

Battesimo di S. Leonardo

Il Sisco nota, che nel 1628 venne deliberato di erigere una cappella nell’interno delle carceri. Sotto la invocazione di San Leonardo (C.M. 15 Ottobre). E fu questa cappella che diede il titolo all’edifizio, a cominciare da quell’anno.

Fra le raccomandazioni dei consiglieri, uscenti di carica nel Giugno 1629, leggo la seguente: «Il frate (lo pare) che dice la messa nella Casa di Città, sia obbligato a dirla anche en la presone, en la capilla de S. Llenard, als pobres presoneres, tutte le domeniche e negli altri giorni festivi dell’anno».

1633 (Novembre). – Si pagano Ls. 50 al mestre de paleta Ioan de Rio per la fabbrica della bòveda (volta) che i detenuti avevano rotta nelle Reals presons. Forse per altra fuga tentata, come al solito!

Prigioni regie

Il Sisco riporta una nota tolta ai libri del Consiglio comunale; il quale deliberò nel 1646, che le prigioni venissero cedute al Re, supplicandolo però che lasciasse in facoltà del Municipio la nomina del custode (su cancidderi). La notizia è vera, poiché l’ultimo atto che trovo in archivio per gli appalti del carcere è precisamente del triennio 1643-1646. Ignoro perché nel mandato del 1633 si diede alle carceri il titolo di Reals presons; forse in onore del Re, come avvenne del palazzo reale, anche quando era proprietà del Municipio.

1678 (Parlamento). – Il sindaco di Sassari aveva chiesto che si fabbricasse col danaro del R. Donativo una camera di sicurezza (un quarto sicuro) nelle carceri della Città para los caballeros ed altre persone nobili, destinando loro intanto una stanza per carcere nel Palazzo di Città, o nelle case di sua proprietà. Si accolse la domanda.

1698 (23 Giugno). – Simone Marqueto, carcelero de estas reales carceles, ha convocato in giudizio il sindaco della Città, perché lo imputava della fuga avvenuta dei prigionieri.

Sotto il Piemonte

Il 30 Ottobre 1731 si scrive da Torino al Viceré: «Raccomandiamo di mantenere costantemente in pratica l’obbligo che hanno i Giudici della sala criminale di fare ogni sabato la visita alle Carceri, con relazione scritta sullo stato della causa di ciascun detenuto». (R. D.).

1745 (Novembre). – Si scrive parimenti al Viceré, che sembrano troppo frequenti i casi di fuga dei prigionieri, sì dalle carceri di Sassari, come da quelle di Cagliari. Si raccomanda vi si ponga riparo (R. D.).

1767 – L’intendente generale ordina il pagamento di Ls. 3.160 all’impresario della Munizione Domenico de Branca per 71.356 razioni di pane provveduto ai prigionieri di Sassari dal 1763 a tutto il 1766, in ragione di danari 18 e mezzo, compreso il trasporto in Ls. 38,10. – Si pagarono pure Ls. 848,13 allo speziale Gavino Delmestre per i medicinali provveduti ai carcerati durante l’anno 1766.

1770 (3 Maggio). – Da un’ordinanza rilasciata dal Viceré Conte di Hallot, dopo aver visitato Sassari e le carceri, ricavo i dati seguenti: – il carcere di Sassari era composto di quattro membri che avevano l’entrata dal cortile detto il Patio di dentro. A questo si accedeva per un andito a volta arcuata, chiuso sul principio da una porta; e si protendeva fino alla scala, per la quale si saliva a due camere abitate dal custode, e successivamente a due Secreti. Sotto la scala che conduceva a due camere, chiamate la prigione dei cavalieri, ed anche il Palazzotto, erano altri due Secreti umidi, alquanto più larghi di quelli chiamati fosse, che si trovavano nel patio grande. Il Viceré aveva decretato: – che non si facesse più distinzione tra carcerati nobili e gli altri, destinando il Palazzotto per i detenuti non ancora contestati; – che nei Segreti i prigionieri non dovessero stare più di 24 ore; che il carceriere desistesse dall’introdurre persone estranee a parlare coi prigionieri, sotto pena di un tratto di corda da darsi in pubblico; – che facesse cessare l’abuso di trattenere i condannati in carcere fino a che non avessero saldato i loro debiti verso i notai (?) ed i carcerieri».

Nell’Ottobre dello stesso anno il R. Procuratore fiscale lamentava l’inconveniente dell’alloggio che davasi nelle carceri ai forzati di servizio allo Stanco, e proponeva di farli passare in una scuderia vuota nell’antico Castello dell’Inquisizione.

1773 (Settembre). – Don Michele e Donna Maria Riccio di Tempio supplicano il Re perché faccia grazia a un loro figlio, condannato al carcere perpetuo in Sassari, perché aveva ucciso la moglie. Il Re niega la grazia, però raccomanda di togliere il condannato dalla prigione sotterranea, in cui si trovava, per essere traslocato in un carcere più sano (R. D.).

Ma il carcere non era solamente malsano – era mal sicuro. Il 13 Settembre 1779 il Governatore riferisce al Viceré, che il carceriere Antonio Maria Carta (per grazia di Dio morto in prigione!) era stato carcerato per sospetto di connivenza nella fuga dei prigionieri. Durante il suo servizio (dal 26 Giugno 1770 al 23 Marzo 1778) i detenuti evasi dal carcere, come da unito elenco, raggiunsero il numero di ottantacinque. E scusate se sono pochi!! (R. D.).

Nel secolo XIX

Si comincia con le malattie dei detenuti. Lo speziale Pinna Bene spedisce a Cagliari per il controllo una nota di medicinali provveduti ai prigionieri di Sassari durante l’anno 1805, per una somma di Ls. 4.549 (oltre 9.000 lire odierne) – ma la Commissione dei medici trovò che, a rigor di tariffa, egli aveva chiesto in più Ls. 1.304. – Ciò valga a provare come la mancanza dell’igiene nelle carceri di Sassari tornasse a vantaggio dei farmacisti.

Dopo una visita alle carceri, nel Luglio 1807, si propongono alcune riforme, trasportando una parte dei prigionieri alla torre del castello. L’autorità di Cagliari deplora le ormai scandalose fratture che si verificano nelle carceri di Sassari e dell’Isola.

Nel 1816 il Governo è impressionato delle malattie e numerose morti nelle prigioni di S. Leonardo. Si trasportano molti detenuti all’ospedale del Castello, dove già erano 31 forzati infermi.

Nel 1822 i medici e la popolazione lamentano le cattive esalazioni nocive alla salute pubblica, provenienti dal pozzo morto scavato nella Carra grande, in cui colavano tutte le feccie delle prigioni.

Le nuove fratture fatte dai prigionieri provocarono nel 1824 le ire dell’Intendente, il quale chiede pronte riparazioni alle carceri; ma la spesa preventivata in Ls. 4.597 lo impressiona e lo raffredda!

Le carceri nel 1824

Da Cagliari si chiedono ragguagli sulle carceri di S. Leonardo; e si spedisce la pianta dell’edifizio con molti ragguagli. Ne riporto alcuni.

Nelle carceri erano due cortili: il patio grande per dar respiro ai prigionieri, e il piccolo cortile, dopo il primo ingresso. Si notano i seguenti diversi ambienti.

La Galera – camera allora destinata a carcere delle donne, ed un tempo alla truppa di rinforzo nel giorno delle esecuzioni capitali. – L’Ospedale – composto di due camere, e chiamato anche il Palazzotto, perché un tempo era il carcere dei cavalieri. – La Cappella di S. Leonardo, che serviva anche di Confortatorio; – la prixonedda, piccolo carcere; la camera occupata dal boia e dalla numerosa sua famiglia; la Siziata, camera di riunione nelle visite dell’autorità giudiziaria. Più eravi la prigione della bòvida (della volta), ed infine i Segreti e le Fosse, umidi ed orribili. Un complesso di bugigattoli, corridoi, scale, che formavano il labirinto carcerario, il quale sorgeva nel centro della città, addossato al palazzo del Duca dell’ Asinara e attorniato da numerose case di privati. Fra grandi e piccoli, gli ambienti del carcere erano diciassette, e contenevano oltre 200 prigionieri. Nel 1839 ve n’erano rinchiusi 162.

Continuarono per lungo tempo le lagnanze e le pratiche sulle cloache fetenti, e sul trasporto delle feccie, eseguito per mezzo di botti e tine, affidate alle cure dei galeotti.

Nel 1825 si ha una relazione sul pessimo stato delle carceri, e sugli inconvenienti che si verificavano. Si lamentava, fra le altre cose, che la famiglia del boia, composta di dieci persone, favoriva il carteggio tra i detenuti ed il pubblico. E si finisce dichiarando, che è indispensabile trasportare in altro sito i prigionieri.

Progetti diversi

Le pratiche ed i progetti furono numerosi e durarono a lungo, ed io li accennerò brevemente.

Nel 1825 si riconosce conveniente il progetto dell’ingegnere tenente Bonnoni, il quale vorrebbe soppresse le carceri di San Leonardo perché malsicure, malsane, incomode, e insuscettibili di riparazione per lo stato rovinoso. L’autorità non vorrebbe costrurle fuori di porta, perché troppo lontane dalla sorveglianza dei magistrati; si preferisce di servirsi del Castello, perché suscettibile di ampliamento; ma vi si oppongono due difficoltà: lo sloggio dei Carabinieri Reali ivi acquartierati, e la ingente spesa di L. 132.000.

Si rifanno i calcoli per ridurre la spesa; indi si torna al progetto di costrurre le carceri nuove, che si vorrebbero in attiguità della Porta di S. Antonio. Si finisce per non farne nulla!

Nel 1829 si torna alla grave questione delle cloache delle carceri, fomite di pestilenza; ma la spesa di L. 15.325 raffredda i proponenti.

Tra il  ed il no, si venne al 1833 e 1834, in cui si pensa seriamente ad ampliare il Castello per ridurne una parte a carcere.

Con R. Decreto del 12 Gennaio 1833 il re Carlo Alberto aveva approvato la costruzione del nuovo carcere nel Castello, nonché la spesa di Ls. 41.560. Nel Marzo fu bandita l’asta; e l’impresa fu assunta da Vittorio Arri, sulla base di Ls. 88.700. Ma il progetto andò a monte, come vedremo in seguito.

Carceri del Castello

Fin dal Luglio del 1807 erasi ordinata una visita al Castello per traslocarvi le carceri di S. Leonardo. Nel 1825 erasi caldeggiato il progetto, ma si trovò troppo forte la spesa di L. 132.000. Appianate le difficoltà nel 1833, s’iniziarono le pratiche col Vicario Generale, e in seguito coll’Arcivescovo Giannotti, per la cessione delle carceri ecclesiastiche esistenti nel Castello contro la offerta di altrettanti locali nel nuovo braccio che si sarebbe costrutto. E qui cominciano le dolenti note.

L’Arcivescovo rispose, che fin dal tempo in cui venne soppresso il Santo Tribunale dell’Inquisizione, il Re di Spagna aveva concesso all’Arcivescovo turritano il Castello, il quale era proprietà della Chiesa; ché se l’Arcivescovo Murro, nel 1819, aveva ceduto al Governo la torre di San Vincenzo per riporvi la polvere e se più tardi (l’Arnosio) aveva permesso che venissero occupate diverse sale, ciò era avvenuto per un semplice atto di cortesia e di generosità.

Chieste dal Ministero informazioni su questo grave caso, nel Settembre del 1837 fornì alcuni dati il Reggente la Real Governazione Ruggiu, il quale dichiarò essere a sua notizia, che fin dai tempi di Filippo II il real Castello era stato ceduto al Tribunale dell’Inquisizione, come risultava dal R. Decreto 30 Settembre 1563 (?); e che dopo la soppressione dello stesso Tribunale una parte del Castello era servita per carceri ecclesiastiche, ed in casi di urgenza a rinchiudervi i detenuti per conto del Governo.

Questa lunga pratica venne in seguito esaurita dal Governo, con la conclusione che il partito migliore era quello di destinare la torre del Castello a Caserma, e di costrurre le nuove Carceri in terreno vergine. E così le prigioni di San Leonardo continuarono ad accogliere i prigionieri, ed il Castello fu de-stinato unicamente a carcere dei nobili, e in caso di forza maggiore a succursale del vecchio carcere.

Di nuovo a S. Leonardo

I prigionieri continuarono a languire in questo carcere fino all’alba della Costituzione. Nel Luglio del 1848 i prigionieri erano in numero di 245, e più volte avevano tentato la fuga con spavento della popolazione.

Nel 1849 si fecero restauri per L. 8.600; e nel Marzo dell’anno seguente (stante i lamenti dei muratori disoccupati) il Municipio si rivolse all’Intendente perché affrettasse la costruzione delle nuove carceri e di una caserma.

Nella pianta delle Appendici, eseguita nel 1837, erasi destinata per carcere l’area dell’isola, in cui oggi sono le case Depetro, Ottonello ed altre.

Nel 1861 il Ministro dell’Interno aveva incaricato l’ingegnere Giuseppe Polani dello studio e progetto delle nuove carceri. Nacquero contestazioni, ma il Municipio nel 1862 fece una rimostranza. Finalmente, quando Dio volle, sorsero le attuali carceri cellulari, e i prigionieri furono tolti alle vecchie prigioni di S. Leonardo nell’Ottobre del 1871.

Pietà per i prigionieri

In ogni tempo furono nominate commissioni per rendere meno trista la condizione dei prigionieri, i quali destavano la pietà generale.

Il 30 Aprile 1636 erasi deliberato di ridurre in pane un rasiere di grano per darlo in elemosina ai poveri prigionieri per lo molt que patexen (per i molti loro patimenti).

Ogni visitatore e scrittore aveva in ogni tempo deplorato il modo con cui erano trattati i prigionieri di Sassari. L’ Angius nel 1848, scriveva, che «meglio che luoghi di custodia, le carceri di Sassari potevano dirsi ergastoli, baratri, e vere tombe». – Lord Vernon le qualificò antri da bestie feroci; Lamarmora le chiamò le più orribili carceri del mondo, confondendole erroneamente con quelle del Castello. In una relazione ufficiale del 1834 si diceva «essere doveroso sagrifizio del Governo il miglioramento dei detenuti di Sassari, oppressi dalla orridità del locale».

La pietà dei cittadini verso i carcerati era profonda, poiché si sapeva che quei disgraziati morivano di fame dentro le fosse – com’era avvenuto nel 1816.

La sorveglianza dei viveri destinati ai detenuti era affidata al Guardiano dell’Arciconfraternita dell’Orazione e morte, a cui appartenevano i Cavalieri. Guardiano nel 1834 era il Marchese di San Sebastiano.

Per cura del Gremio dei Viandanti, fin dalla seconda metà del secolo XVIII, nel giorno di Pasqua, si faceva una questua a benefizio dei poveri prigionieri; e tutta la cittadinanza faceva a gara per offrire pane, carne, frutta, ortaglie, ed altri commestibili, i quali venivano portati in solenne processione alle carceri, a suon di piffero e di tamburo. Questa usanza venne soppressa nel 1863.

Anche la Giustizia pare avesse la coscienza ed il rimorso del cattivo trattamento verso i detenuti. Nelle carceri era la Camera chiamata Siziata, o delle Siziate (che il Pillito vuole provenga dal sardo sizire, o sedere), ed in essa si riuniva l’autorità giudiziaria. Due volte all’anno (nelle feste di Pasqua e del Natale) i giudici della Reale Udienza solevano colà portarsi in forma solenne; e fatti introdurre ad uno ad uno i prigionieri, ascoltavano i loro reclami. Il Viceré aveva facoltà di far grazia a qualche detenuto per delitto leggero, ed il venerdì santo poteva accordare l’intiera remissione di una pena a tre condannati.

Altre carceri e succursali

Nei tempi antichi le prigioni erano numerose. Ogni barone, feudatario o reggitore aveva la propria; ed il Viceré, con circolare del Febbraio 1808, lamentò le troppo frequenti e scandalose fughe dei prigionieri, ordinando a codesti signorotti di riparare le proprie carceri e di mantenere un carceriere stipendiato.

Anche l’antico ufficio della Podesteria di Sassari (come risulta da una memoria del 1430) aveva un carcere proprio per la giurisdizione della sua autorità.

Abbiamo detto che il Castello (oltre le carceri ecclesiastiche) aveva un braccio destinato a succursale delle carceri di San Leonardo. Essendo insufficiente questa succursale, il Governo ridusse a carceri alcuni locali, munendoli a sue spese di porte, inferriate, sportelli e di tutto il necessario per renderli sicuri.

Una di queste succursali era in Porta nuova, nei magazzini dei tabacchi (Università), e il Governo, nell’Agosto del 1857, invitava il Municipio ad erigervi un vicino Corpo di Guardia.

Altra succursale, con relativo Corpo di Guardia, venne impiantata più tardi nell’antico convento dei Mercedari (in S. Paolo), destinato per custodia delle donne.

Queste due prigioni funzionarono per circa un decennio, e vennero soppresse dopo la costruzione delle Carceri cellulari.

Carceri cellulari

Dopo le numerose pratiche da noi accennate, finalmente nel 1858 il Parlamento approvò in massima la costruzione in Sassari di un Carcere e di una Caserma. Il Municipio superò tutte le difficoltà, cedendo nel 1862 l’area gratis – e le nuove carceri cellulari sorsero nel sito, dove attualmente si trovano. Si credette allora che fossero  abbastanza lontane dall’abitato; ma oggi ci accorgiamo (troppo tardi!) che esse sono nel centro della città nuova.

Il vasto e solido edifizio, costrutto a raggiera con sei bracci per le celle dei detenuti, e con comodi locali per il Direttore e per gli uffici, è chiuso da una alta cinta quadrata, avente quattro torri merlate agli angoli.

Queste carceri possono contenere 369 detenuti. Esse vennero inaugurate col trasporto di tutti i prigionieri nell’Ottobre del 1871.

Il vecchio carcere e l’antico Castello non esistono più. L’area del primo è tutta occupata dallo stabilimento dei fratelli Clemente; l’area del secondo è in parte occupata dalla nuova Caserma militare.

Non rimangono ormai che le Carceri cellulari, per ricordarci che esse aprirono i battenti ai detenuti nel 1871 – un anno dopo che i soldati italiani erano entrati trionfalmente in Roma per affermare la nuova Italia.

Il Gremio dei Viandanti porta offerte di cibo – carne, pane, frutti – ai carcerati il giorno di Pasqua. Questa usanza venne soppressa nel 1863 (acquerello di Don Simone Manca di Mores – 1878-1880)