Premi "Invio" per passare al contenuto

Altri edifici antichi

Palazzo del barone d’Usini

È una delle case più antiche di Sassari, restaurata più volte, sì che del vecchio palazzo più non rimangono che sei finestre, un grande portone, e due stemmi del primitivo proprietario: il tutto in pietra granitica, e degno di essere conservato, almeno per memoria dello stile del tempo. Appartenne a Don Giacomo Manca signore di Usini, progenitore dei Conti di San Giorgio, e in seguito del Duca dell’Asinara.

Questo palazzo (allora il più sontuoso della città) fu costrutto, o rifabbricato, nel 1577, come risulta da una scritta scolpita sull’architrave del portone, la quale dice: – 1577. Illustris Don Jacobus Manca Dominus oppidi de Usini. Don Giacomo fu deputato del comune a Madrid nel 1578 (l’anno susseguente a quello in cui costrusse il palazzo) con lo stipendio di 500 scudi. Il titolo di Conte di S. Giorgio venne dato a Don Francesco Manca, quarto barone di Usini, nel 1644.

Nell’atrio dell’ingresso vedesi sulla parete lo stemma dell’Arcivescovo Manca, congiunto di Don Giacomo. Annesso al palazzo era un grandioso giardino con pozzo nel centro; e fu in esso che si precipitò nel 1701 il sassarese Giorgio Sotgia, Vescovo di Bosa – uno dei più colti prelati dell’Isola.

Il palazzo fu abitato dal Duca dell’Asinara, che vi morì nel Gennaio del 1805, anno in cui fu ultimato il suo nuovo palazzo, oggi proprietà del Municipio.

Ad una delle finestre del palazzo verso la Carra si affacciò lo stesso Duca la mattina dell’11 Agosto 1802, ed a voce alta incitò il carnefice a incrudelire contro l’infelice notaio Cilocco, che usciva dalle vicine carceri per essere trascinato alle forche del Carmine vecchio.

Questa casa si affittò quasi sempre. Nel 1824 vi abitava il Reggente Lostia. Nel 1865 il palazzo venne acquistato dal Municipio, col proposito di adattarlo al Palazzo Comunale. Da molto tempo è occupato dalle due Preture di levante e di ponente.

Palazzo Ducale

Nell’area occupata da questo palazzo era anticamente la casa che apparteneva al Marchesato di Mores. Il marchese Don Antonio Gajas, con testamento del 1° Febbraio 1726, incorporava tutti i beni del suddetto marchesato nel feudo di Monte Maggiore.

In un inventario del 2 Febbraio 1729 la casa è così indicata: «palazzo col suo giardino, posto nella parrocchia di S. Nicola, con carrozziera dirimpetto».

Nel 1763 i coniugi Don Antonio Manca Amat e Donna Giovannica Amat Brunengo, marchesi di Mores e di Montemaggiore, autorizzano ad ipotecare, per garanzia di un censo, «tutta la casa alta, situata nella parrocchia di S. Nicola, nella strada detta della Marchesa di Mores».

Antonio Manca, Marchese di Mores e Signore di Usini, ebbe il titolo di Duca dell’Asinara con R. Dispaccio del 27 Aprile 1755.

Risulta da un atto, che il detto Duca possedeva nella via Turritana uno stabile, unito e congiunto al palazzo Marchionale da cinque palazzi, da lui comprati. Il palazzo grande da lui posseduto (incorporato nella primogenitura del Marchesato di Mores) fu dal Duca accresciuto con tante altre case che comprò, «formandone con moderno disegno, un palazzo ducale, tutto fabbricato nuovamente di pianta, proporzionato al carattere e titolo dei successori che dovranno abitarlo». Così leggesi nel testamento dettato dal Duca il 30 Dicembre 1804.

Nel 1779 il palazzo ducale era in costruzione, e ne parlano il Porqueddu e il Gemelli, che scrissero in quel tempo. Nell’opera del Cossu del 1783 leggesi: «Fra le grandiose (?) ed ampie case dei particolari dentro città, merita il primo vanto quella del Duca di Vallombrosa, quando sarà portata a compimento».

Il Duca dell’Asinara morì il 16 Gennaio 1805, né potè abitare il suo nuovo palazzo. Esiste una lastra di marmo (il cui collocamento non venne effettuato, forse in attesa che la facciata della casa fosse portata a termine) con la seguente iscrizione in italiano:

«Don Antonio Manca e Amat Duca delle due isole Asinara e Piana, Marchese dei due marchesati di Mores e Monte Maggiore, Barone del Castello d’Ardara, d’Ossi e Literai, Conte di San Giorgio, Signore dell’Incontrada d’Oppia e Monte Santo, di Tre Corone e Cabu Abbas, delle ville di Tiesi, Bessude e Queremule, di Valle Flores, e delle ville d’Usini e Tissi, Prima voce dello Stamento Militare, Gentil’Omo di Camera di Sua Maestà sarda, Cavaliere Gran Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro, e Capitan Generale d’Infanteria Miliziana del Regno, rinnovò il presente Ducal Palazzo l’anno del Signore MDCCCIV (1804)».

La parola rinnovò allude all’antica casa, rinnovata verso il 1775. – Lo scrittore Valéry, che visitò la città di Sassari verso il 1833, così si esprime: «Il palazzo Vallombrosa, vasto e maestoso, potrebbe stare a paro dei più grandi palagi di Genova» (!).

Il palazzo fu abitato dal Duca Don Vincenzo Manca per lungo tempo; indi fu affittato. Dal 1860 al 1878 fu sede della Prefettura e dell’ Amministrazione Provinciale; in seguito del Municipio, che lo acquistò nel 1900.

La Insinuazione

Con questo nome, o con quello di Tappa, erano chiamati gli uffici istituiti nei principali comuni dell’Isola, con Regio Editto del 15 Maggio 1738. Essi si vendevano, o si davano in appalto.

Il 6 Luglio 1753 erasi praticata una visita d’ispezione agli aposentos ed archivios della Real Insinuaciò, e vennero dichiarati umidi e indecentes. Si ordínò di ripararli di urgenza, dandone avviso altra volta a Don Salvatore Escardacho, forse proprietario del magazzino, innalzato in seguito all’onore di un primo piano. Infatti, nel contratto del 19 Febbraio 1755, è detto di fare la nuova Insinuazione en los altos del almagasen che si chiama di Esgrecchiu. I falegnami si erano obbligati di eseguire nella nuova Insinuazione 25 archivios, quattro dei quali di ugual grandezza, alti undici palmi fino alla cornice, e due de arco a arco verso la facciata del giardino, che pare fosse allora annesso a quel fabbricato, mentre oggi appartiene alla vicina casa. L’appalto era stato dato per Ls. 1.200 a certo mastru Proto Mannacho carpintero (che in qualche carta, forse per errore, è anche chiamato Manunta). Così pure si pagarono molte somme a mastru Baingio Usai per archivios, ventanas (finestre), puertas, escaleras con ringhiera di ferro, ecc. ecc.

Nel testamento del 1755, i Consiglieri uscenti avvertono i successori, che le spese per la Nuova Insinuazione (antecipate dalla Città) erano al completo, e che pensassero al riparto della somma fra le ville soggette alla Tappa, secondo gli ordini del Viceré.

Nel 1782 si fecero diverse riparazioni alla Regia Insinuazione; e così pure nel 1791 e 1802.

Con R. Editto del 1839 gli Uffici della Insinuazione vennero richiamati al Regio Demanio, pagando ai possessori un annuo compenso.

Nel Luglio del 1850 il Municipio rifiutavasi a pagare la somma di L. 233 per riparazioni e mobilio, dicendo che tutti i comuni della Tappa erano obbligati a concorrere nella spesa.

L’ufficio del Genio centrale, nel Luglio del 1854, collaudava l’adattamento e il restauro fatto ai locali della Insinuazione, la cui riforma era costata al Municipio parecchie migliaia di lire. Il fitto da pagarsi dal Governo era stato stabilito in L. 550 all’anno.

Nel Maggio del 1885, con autorizzazione del Ministro di Grazia e di Giustizia, il Consiglio Notarile acquistava dal Municipio la così detta casa di Esgrecciu per impiantarvi il suo Archivio, come attualmente vi si trova. Da oltre mezzo secolo è sparita la Insinuazione, ma il suo nome è rimasto alla via – com’è rimasto alla casa, da oltre un secolo o due, il nome dell’antico proprietario.

La casa Fois

Don Antonio Fois, sassarese, era giudice della Reale Udienza a Cagliari, e nel 1794 venne mandato a Sassari come Alternos del Viceré. In seguito ebbe la nomina di Vice Intendente, e rimase a Sassari, durante il tempo che vi fu l’Alternos Don Gio. Maria Angioi, di cui era amico, ed anche compagno di fede.

L’antica casa del Fois trovasi verso la metà della Via Lamarmora (a poca distanza dalla chiesa di San Donato). Sebbene di modesta apparenza, essa è degna di nota per la memoria storica che evoca, e per una delle sue sale, la cui volta è decorata con fregi in stucco del Settecento.

Nella parete fra le due finestre vedesi uno scudo contenente due stemmi gentilizi (un albero con un bue sottostante, ed un castello con due ali sovrapposte).

Notevole è un camino con cornice in marmo, sormontato da una corona reale. La cornice racchiudeva una buona tela col ritratto del re Vittorio Amedeo III, ritirata di recente dal proprietario della stessa casa, che è l’avvocato Giuseppe Vistoso. Alcuni la chiamano la casa di Maramaldo, il quale ha dato il battesimo ad un vicolo vicino. Questo Maramaldo, Comandante degli Invalidi, era genero del Fois, perché aveva sposato la sua figliuola Donna Peppica. Il Fois aveva un altro figlio, Don Proto, a cui lasciò la metà della casa. Il piano nobile era toccato a Maramaldo come dote della moglie, e l’abitava tenendo a guardia d’onore un picchetto armato. La moglie del Fois era una Porqueddu.

Frammenti e ruderi

Piuttosto numerose e caratteristiche per l’architettura erano le case delle famiglie nobili di Sassari, durante i secoli XV e XVI; ma i continui restauri, le modificazioni e le ricostruzioni ce ne hanno fatto perdere le traccie. In qual punto della città sorgevano le case delle nobili e ricche famiglie dei Gambella, dei Marongiu, dei Saba, dei Fara, dei Cariga, dei Frasso, degli Ansaldo e di tanti altri? Nessuno saprebbe oggi rintracciarle.

Noterò i pochi ruderi e le poche memorie che ancora restano degli antichi edifizi, oggi del tutto, o in parte scomparsi.

Anzitutto è notevole la colonna esagonale con capitello, esistente all’imbocco della via dei Corsi, ed i frammenti di cornice che si scorgono in alto, nella vicina casa. La colonna faceva parte degli antichi porticales che fiancheggiavano la Piazza fino al secolo XVI. La casa, oggi proprietà degli eredi del comm. Campus, apparteneva a distinta famiglia patrizia, se non a Michele Zanche, come vorrebbe la tradizione, la quale assegna al famoso barattiere due o tre case di Sassari!

Quando nel 1872 si restaurò la casa Frazioli, all’imbocco della via S. Chiara, venne rinvenuta fra i calcinacci una lastra di pietra con iscrizione, la quale rivelò che l’edifizio apparteneva alla famiglia di quel Don Salvatore Meloni, che aveva preso larga parte in tutte le fazioni contro Nicolò Doria, e che nel 1436 contribuì all’espugnazione del Castello di Monteleone, per cui ebbe in feudo la stessa villa. Nella lastra (che oggi trovasi all’Università) leggesi: In nomine Domini Amen. Hoc opus fecit fieri Franciscus Meloni quondam Petri civis civitatis Sassari. Anno Domini MCCCCXXXII (1432). Lo stemma fu tolto per spianare la pietra, ma in esso era certamente scolpito un melone, arma di questa famiglia. Durante lo stesso restauro furono scoperti un angiporto a due arcate, con colonne e mensole fregiate di un monaco e diversi angeli. L’Angius scrisse nel 1848, che non erano molti anni che in quel sito appariva un antico palazzo di solidissima struttura, che credevasi fosse un antico chiostro di monache, o abitazione di qualche famiglia primaria del paese.

Prezioso avanzo di finestre gotiche, del secolo XV, o del XVI, sono quelle che vedonsi in due case del corso. Le più conservate appartengono alla casa Defraia, quasi di fronte all’attuale Palazzo Civico, tutte a trafori e a colonnine. Altre tre mezze finestre dello stesso stile (murate nella parte inferiore) vedonsi in altra casa, di fronte all’antico palazzo Boyl, oggi di Dau.

Quando nel 1904 si demolì una gran parte del fabbricato così detto Infermeria militare (di fronte all’attuale Convitto Canopoleno) vennero scoperte diverse finestre di stile gotico, del principio del secolo XVII. Esse erano disposte in modo da dimostrare che anticamente formavano un loggiato interno. Si sa che in quel sito fu fondato il primo Collegio Canopoleno verso il 1613, e che in precedenza vi stanziarono i primi Gesuiti venuti a Sassari, durante il tempo ch’era in costruzione il loro collegio e chiesa di Gesù Maria. Non è improbabile che la casa appartenesse ai Canopolo, o ad altra famiglia patrizia sassarese. Una di queste finestre fu ritirata dal Municipio per essere conservata come una memoria del tempo.

Altra casa del ‘500, degna di nota, era quella in Via Maddalena, proprietà dei Berlinguer e di recente ricostrutta. Le sei finestre della facciata (tre per piano) aveano una linea armonica. L’arco sovrastante alla porta centrale, costrutto a pietre squadrate, come il resto della facciata, dimostravano che l’edifizio era destinato a qualche uso speciale. Forse in origine apparteneva al Capitolo, od all’Ospedale di Santa Croce, con la cui piazzetta confinava la parte posteriore.

Dello stile del ‘600 si hanno pochissime traccie negli edifizi privati. Del Settecento abbiamo intatto il Palazzo Ducale, oltre parecchie finestre, sparse in diversi punti della città, specialmente in Via Lamarmora.

Verso la metà del secolo passato esistevano ancora diverse case di nobili, con qualche stemma sulla facciata. Oggi gli stemmi sono pochissimi, e non tutti antichi. L’unico che ci resta, con scritta, è quello apposto alla casa Deliperi, sul Corso. In esso leggesi: D. Simon Deliperi Prim. posterit. suae armat. eques hanc erexit domum An. D. MDCI (1601).

Il vecchio è ormai scomparso per dar posto al nuovo. Come l’uomo all’uomo, così la casa succede alla casa. Tutto si trasforma, tutto s’inorpella, tutto lentamente deperisce e scompare. I palazzi medioevali, come i loro proprietari, vennero travolti dal tempo. A che serve l’evocarli? Lasciamo riposare in pace la loro polvere!