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Fontana di Rosello

Nel secolo XIII

Fra gli edifizi antichi di Sassari, il Rosello fu sempre il prediletto dei sassaresi. Nelle gare municipali, o quando un forestiere visitava la città, essi portavano alle stelle la fontana, citandola come una meraviglia. Ed è perciò che gli altri abitanti dell’Isola, volendo dar loro la baia, ripetevano il motto attribuito ai nativi di Sassari: «chi non ha visto Rosello non ha visto mondo!».

Rosello non potè sottrarsi all’assalto degli etimologisti. Lo scrittore e teologo Pinto fa derivare il suo nome dalla voce ebraica Rogel (squisito) – battesimo pur dato nei tempi biblici ad una fonte che esisteva nelle vicinanze di Gerusalemme, di cui si parla nel libro di Giosuè. Lo Spano vuol derivato il nome dal latino Rosetum – e ciò per le molte rose selvatiche che prosperavano lungo la ridente valle di Rosello. Confesso di non aver mai sentito parlare di queste rose, oggi sostituite dai cavolfiori e dalle cipolle che si ammirano negli orti vicini.

Il guaio è che la voce Rosello (Ruseddu) è relativamente moderna, poiché verso la fine del secolo XIII era chiamato Gurusello. Fara nel 1580, lo chiama Uruselli.

La prima menzione che si fa di questa fontana è negli statuti de1 1295. Ivi è chiamata fonte de Gurusele (in sardo) e di Gurusello (in latino). Il capitolo 39 raccomanda di mantenere e riparare continuamente la strada a scale di pietra che conduceva a Rosello: prova evidente che per una gradinata si accedeva a questa fonte.

Da che tempo esisteva Rosello? Io credo dalla prima fondazione di Thathari, o Sassaro. Certamente in origine sarà stata una semplice sorgente giù nella valle; più tardi un pozzo; poi una fontana rustica; indi andò sempre abbellendosi, a misura che la città progrediva.

Nel secolo XVI

L’acqua che sorgeva da Rosello è raccolta da più sorgenti, e forse allaccia la maggior parte di quelle che provengono dalle colline di levante e di mezzogiorno.

Le sorgenti di Rosello si perdettero più volte, e non si rinvennero che con grande studio e stento. Mancate verso il 1509, furono rintracciate nel 1511.

Si ha notizia che questa fontana venne restaurata nel 1539 per cura del Viceré, e fu ripulita nel 1567.

Lo storico Fara, nel 1580, così la descrive entusiasticamente: «Tra le fonti il primato appartiene a Rosello (fons Uruselli) posta in vicinanza di Porta Macello. Per mezzo di dodici bocche essa somministra abbondantemente alla popolazione acqua chiara, tenue, pura e priva d’ogni sapore, gioconda al palato; che celermente, senza recare alcun molesto peso allo stomaco, passa nei precordi; che sgorga fredda nell’estate e calda nell’inverno; e che apposta al fuoco prontamente scaldasi, ed allontanata da questo con maggior prestezza diventa freddissima». – (Un articolo réclame, degno della quarta pagina di un giornale odierno!).

Come vedesi, il Fara non parla di marmi, né di statue, né della costruzione – segno evidente che la fontana era semplice, quantunque le dodici bocche accennino ad una certa eleganza di forma.

Un altro valente scrittore, amico e contemporaneo del Fara (il poeta Araolla) in un suo componimento in sardo ricorre alle 12 bocche di Rosello per una similitudine. Egli scrisse la seguente terzina:

Quantu sas doighi figias de Rusellu,

Qui dulchemente pianghene a d’ogni ora,

E de su piantu insoro restat bellu.

(Come le dodici figlie di Rosello, le quali dolcemente piangono ad ogni ora, e col loro pianto lo fanno più bello).

Quindici anni dopo lo scritto del Fara, i Consiglieri di Sassari fecero eseguire radicali restauri nella fontana di Rosello; ed è precisamente da quel tempo che cominciò a darsi alla fontana una forma artistica. Ecco quanto mi è riuscito spigolare dalle carte di Archivio:

Nel Gennaio del 1595 si ordina di pagare a mastre Andria Maza campalinasu (fonditore di campane) il saldo delle Ls. 310 pattuite per manifattura di dodici càntaros di bronzo, i quali pesavano sei quintaros e 20 libbre, in ragione di 10 soldi la libbra, fornendo il bronzo la Città. Il primo acconto gli venne pagato il 29 Agosto 1594 e rimase debitore di Ls. 38 per il bronzo sopravanzato. Si pagano parimenti Ls. 40 a mastre Stefano Betgia e a mastro Buagna per 4 càntaros e 26 libbre di bronzo da loro provvisto per collocare i càntari nella pietra forte del Rosello (a Ls. 10 il càntaro).

Nel Dicembre dello stesso anno si pagano altre Ls. 49,4, per dodici pezzi di pietra dura per i leoni di bronzo (i mascheroni) cioè: Ls. 24 a mastro Angelo Artea piccapidreri, per collocarli (a 40 soldi caduno); Ls. 9,16 a Lorenzo Deriu per piccarli (levigarli); e Ls. 4,4 a Bernardino Bologna per trasportarli. Si aggiunge altra spesa per 18 uova (a 5 centesimi l’uno) offerte dalla Città per colazione agli operai. (Il municipio era molto generoso, a quei tempi, coi lavoratori!).

Questa notizia ci rivela, che i càntari (o bocche) erano prima di pietra dura, o di marmo, e furono fatti di bronzo perché consumati dal continuo getto d’acqua.

Nel secolo XVII

I lavori intrapresi nel 1595 continuarono nel secolo susseguente. Nel restauro ed abbellimento della fontana si erano impiegati una diecina d’anni.

Nel Luglio del 1603 il Consiglio Maggiore delibera di acquistare quattro statue per la fontana, e di aggiustare la strada che conduce ad essa. Nel Febbraio dell’anno seguente (1604) lo stesso Consiglio delibera, che la spesa di 1.000 scudi, stanziati per il restauro del Rosello, vengano ripartiti fra i cittadini; e siccome la somma non si era potuta riscuotere per intiero, tanto per la povertà del paese, quanto per le solite franchigie od esenzioni, i consiglieri pagarono il disavanzo dalla propria borsa.

Nel Luglio del 1607 i dodici leoni, o mascheroni di bronzo, vennero ceduti dal Municipio all’illustrissimo Inquisitore Don Gabrielle Bognolo per farne la campana dell’orologio del Castello. Anche questa notizia io tolgo dal Sisco; il Tola, erroneamente, parla del campanone.

Non so spiegarmi perché, dopo soli dieci anni, si tolsero dal Rosello i mascheroni di bronzo; forse fu per suggerimento dello scultore delle statue, o per misura igienica.

Ad ogni modo, è questo il tempo della vera restaurazione del Rosello, nel quale si collocarono le statue delle quattro stagioni, le torri, e i due archi incrociati che sostengono la statua equestre di S. Gavino: precisamente come trovasi oggi. Dubito soltanto che fosse tutta marmorea.

Ecco la iscrizione che venne apposta su tre facciate, sotto la fascia del grande cornicione:

Nella facciata a destra: De anno MDCV et MDCVI.

Di fronte: – Feliciter regnante potentissimo et invictissimo Hispaniarum et Sardiniae rege Philippo III famigerabilis hic iugis aque.

A sinistra: – Fons in meliorem hanc quam conspicis formam redactus fuit tempore consulatus.

Manca la iscrizione nella parte posteriore, non scolpita, o tolta. Per qual ragione? Certamente per qualche contesa fra i Consiglieri. Forse i colleghi predecessori, od i successori (poiché tutti duravano in carica un solo anno) non videro di buon occhio che tutto il merito della riforma andasse all’indirizzo dei consiglieri del 1605-1606, i quali forse non avevano contribuito, come gli altri, al restauro.

I cinque consiglieri di quell’anno 1605-1606 erano i seguenti: – Don Antonio Angelo Sanatello, Giorgio de Ogana, Francesco Manquino, Lorenzo Gambella e Giovanni Biquisau.

1611. – Il visitatore Carrillo, nella sua relazione al Re stampata in quest’anno, chiama la fonte di Rosello afamada y loada por su bondad del agua, como por su abundancia, que de ella salen doze canones de agua por doze bocas de marmol.

Nel 1624 le acque del Rosello diminuirono sensibilmente: ed allora si fecero molte spese per scoprire i canali, fino a rintracciare il punto dov’era avvenuto l’ingorgo.

Nel colloquio del 7 Marzo 1637 il Giurato capo così dice: – «Siccome il Signore ha voluto castigarci colle dirotte pioggie, le quali hanno innondato e quasi acciecato la fontana di Rosello, trasportandovi gran quantità di terra e di pietra, in modo che i canali e cànteros non dànno più acqua, è necessario ed urgente mettere allo scoperto detti canali, per non rompere la Botta (o castell) dov’è il deposito…».

Il 18 Settembre 1626 Stefano Guidi mastru de paleta, si obbliga di costrurre per 30 lire la escalera del camì del Mont de Rosello, che trovasi all’estremità della pugiada del detto monte dov’è la Gruta de pedra dell’argiola del Prete Biaxo, con gradini di 5 palmi caduno.

Nella seduta del Consiglio maggiore del 12 Settembre 1639 sono notevoli le parole del capo Giurato: «È noto a lor signori la molt vigilancia y cuidado que nostres antichs y majors han tingut en posar en millor forma del que abans estava la font nostra de Rosello, que, sens encariment, es la milior del Reyno, del que tant nos gloriam (!!)». – E prosegue, lamentando la sensibile diminuzione dell’acqua per le mancate pioggie, e proponendo di far venire da Genova, da Roma, o da qualunque altro luogo, persone espertes y de esperiencia per riparare al danno.

Intanto, mancando i fondi in cassa, si decise di fare il riparto di 1.000 ducati fra ogni ceto di persone, sassaresi e forestieri, in modo che nessuno restasse agraciat (escluso per favore). Venne a tal uopo nominata una Commissione composta dei Consiglieri e degli eletti, con l’assistenza di sei cavalieri, due cittadini scelti in ciascuna parrocchia, di uno o due Reverendi del Capitolo Turritano, e di altrettanti del Tribunale del Santo Ufficio.

L’Angius scrisse, che il riparto era di 1000 scudi, e aggiunge che il guasto del Rosello dovevasi al famoso diluvio del 6 Novembre 1639. Io credo si trattasse delle dirotte pioggie del 1637, avvenute forse il giorno precedente alla riunione della Giunta – poiché nella deliberazione del Consiglio del 1639 si attribuisce la diminuzione dell’acqua alle mancate pioggie ed alla siccità, non ad un diluvio!

1641 (3 Agosto). – Mancando i fondi per il nuovo restauro del Rosello, gli ingegneri protestano contro il Municipio che non vuol pagarli; ma questo incolpa alcuni cavalieri, il clero e i famigliari dell’Inquisizione, i quali eransi rifiutati al pagamento della loro quota d’imposta. Il Municipio delibera di ricorrere all’Arcivescovo per gli Inquisitori, ed al Governatore per i cavalieri morosi.

Ci dice l’Angius che nello stesso anno la Città fece venire dall’Italia un ingegnere idraulico, e che alla spesa di L. 3.000 si fece fronte l’anno seguente, coll’imposizione della gabella di una lira per ogni carico di pesci che veniva da Oristano.

Nel 1643 si torna a parlare delle persone di esperienza da far venire da Roma, e si prelevano Ls. 500 dalla Frumentaria per accomodare la fonte.

1644 (25 Febbraio). – Don Giovanni Manca y Zonza (Consigliere capo l’anno precedente) scrive da Roma ai suoi colleghi di Sassari, raccomandando di tener pronto un buon estañaro (stagnaro) per saldare los condots di Rosello col bitume. Aggiunge che l’ingegnere sarebbe partito subito da Roma insieme a due assistenti, col proposito, non solo di rimediare al difetto del Rosello, ma anche con animo di cercar modo d’immettere dentro il popolato di Sassari un braccio dell’acqua del Pozo de arena, nel caso non fosse possibile rintracciare quella del Rosello – cosa che non poteva verificarsi, poiché trattavasi di personas que todos los dias non hazen otro, y son tanto peritos.

A questa lettera risponde il Municipio il 16 Marzo, dicendo che in quello stesso giorno avrebbe fatto vela per Roma una feluca col dottor Gio. Maria Gaddia, per mezzo del quale spedivano una lettera di cambio di 200 reali (pagati in Sassari con gli interessi a Don Gavino Casagia) – e questo come un acconto per le spese di viaggio all’ingeniero e suoi due oficiales.

Anche l’Angius nota nel 1644 l’arrivo da Roma di un ingegnere e di due mastri – pagati il primo con 18 reali al giorno (circa L. 8) ed i secondi con reali 15 cadauno.

I tre venuti da Roma rimasero a Sassari circa cinque mesi. Nel colloquio del 10 Settembre dello stesso anno così leggesi: «L’ingegnere e gli altri mastri venuti da Roma per la fonte di Rosello, hanno già adempiuto ai loro obblighi; gli altri lavori complementari, e di poco rilievo, verranno portati a termine da mastros sassaresos». – Era chiaro che la diaria accordata ai tre artisti romani pesava troppo sull’azienda civica, epperciò si era pensato a mandarli via!

Ad ogni modo, i Consiglieri del 1644, dopo parecchi anni di pratiche, di ansie, d’incertezze, furono ben lieti dell’opera riuscita; e ne tramandarono la memoria ai posteri con una iscrizione, che leggesi in una lastra di marmo apposta nel vicino deposito o botte: – iscrizione da nessuno finora avvertita, e da me fatta ripulire di recente. Essa dice: Munificentia turrenorum dispersum fontem multis sub terra ex immani alluvione prorumpentem rivis in unum redegit tubis firmavit validis et quod in eo decorum erat quinquagies centies florinorum sumptu erexit (an)no Consulatus Nobilis Don Francisci de Quesada, Bathasaris Lagano, Gavini Salvagnolo, Antoni Angeli Marino, et Francisci Peraro. – MDCXXXXIIII (1644).

1660. – Durante quest’anno si fecero radicali riparazioni al Rosello; ed in fatti, nel testamento che i Consiglieri scaduti lasciarono ai nuovi eletti leggesi: «Raccomandiamo a voi di continuare la perfecion del Rosello nelle cose che mancano e specialmente di completare il collocamento delle pietre all’intorno; poiché, sebbene siasi lavorato tutto l’anno, non si è potuto portare a termine l’opera. Spetta a voi far sì, che il lavoro non resti imperfetto».

Verso il 1683 la Città acquistò un orto vicino al Rosello, con lo scopo di evitare l’acciecamento della fontana.

Nel Giugno del 1684 si ordinò di collocare i canons di bronzo ai mascheroni, perché l’acqua non colava bene e si deliberò di fare una forma, o modello, da eseguirsi in Genova, perché si spendeva meno.

1694. – I consiglieri lamentano che los càntaros sono in mala lata, di maniera che los mascherones de marmol che vi collocò mastru Bertulu Cau si sono guasti pel continuo getto d’acqua e perciò deliberano di farli eseguire in bronzo da mastro Giovanni Antonio il genovese, che si è offerto per eseguirli.

Nel Luglio del 1700 si ordina di pulire la Regina o galera, facendo fronte alla spesa col fondo dei diritti che si esigevano da los corrieres de agua (agli acquaioli); nello stesso tempo si ordina de empedrar e accomodare toda la bajada de Rosello (la discesa che conduce alla fonte). – E così il Rosello, fra i restauri e le peripezie, era arrivato alla fine del secolo XVII.

Nel secolo XVIII

Nel Novembre del 1701 si vende per dieci scudi a Leonardo Pirico un tratto di terreno ch’era nella bajada (discesa) di Rosello.

1725. – La Martinière, nel suo dizionario (stampato in Francia) esalta la fonte di Rosello con queste parole: – «Il y a, entre autres, a Sassari une très fameuse fontaine nommée Rosello, qui, sans exagérer (?) peut être comparée aux plus magnifiques de Roma (!!); aussi est ce la coûtume en Sardaigne de dire à ce propos que: qui non vidde Rosel non vidde mondo!».

Nel 1775 e 1776 si pagano oltre 300 scudi per riparazioni, tanto agli operai, quanto al senor ingeniero Cochis, incaricato della direzione e sorveglianza dei lavori.

L’Angius ci dice, che le quattro belle statue furono barbaramente mutilate dai villici nel 1796, quando assediarono la città ai tempi di Angioi. Certo è che nel 1798 si fecero molte spese per restaurare il Rosello, e ne trovo una di Ls. 1.240.

Nel secolo XIX

Nel Maggio del 1806 si ripara in gran parte il muro laterale (verso la Trinità) della discesa di Rosello, spendendo Ls 278. Altre Ls. 213 si pagano nel susseguente Giugno per lo stesso muro al mastro muratore Salvatore Pinna.

1820 (28 Agosto). – Il Municipio scrive: «La fontana di Rosello è stata sempre, in ogni tempo, oggetto tanto interessante, che, non solo ha richiamato la vigilanza del Magistrato Civico, ma ha meritato altresì l’attenzione del Regio Governo (!!)».

1826 (Dicembre). – Si pagano al marmoraro Giuseppe Perugi Ls. 1.875 per marmi che ha fatto venire da Genova, oltre il diritto di Ls. 75 pagato alla Dogana per l’introduzione, nel Gennaio del 1827; più un’indennità di Ls. 50 pagate all’ortolano Perantoni per danni recati al suo orto nel tracciare il vicino stradone.

1828. – Si spendono oltre 2.200 lire sarde, comprese Ls. 677 per la rampa della discesa; Ls. 62 all’assistente del Genio Civile; e Ls. 45 all’ingegnere Dogliotti, per indennizzarlo di un livello rubatogli in Rosello (?), mentre se ne serviva per i lavori.

E’ questo l’anno in cui vennero collocate le quattro nuove statue delle stagioni, venute da Genova, in sostituzione di quelle antiche mutilate nel 1795 o 1796. Il Valéry nel 1834 le trovò poco belle e troppo piccole, e dice che le antiche potevano benissimo restaurarsi. Anche Lamarmora espresse nel 1857lo stesso giudizio sulle antiche statue, da lui vedute la prima volta verso il 1825. – Ed entrambi hanno ragione. Una delle quattro statue antiche (l’estate) può vedersi ancor oggi; ed è quella collocata nella vasca del boschetto nel Giardino pubblico.

1830. – I restauri del Rosello continuarono ancora; e fu sotto la direzione dell’ingegnere Dogliotti che vennero eseguite le opere più d’importanza: la riforma, cioè, della vasca, ed il canale sotterraneo che conduceva l’acqua al castello ed ai dodici scaricatoi.

1838 (7 Settembre). – Essendo da tempo crollato l’ornato, o finimento, dal castello in marmo, la Giunta incarica l’architetto Orsolini di ricollocarvelo; ed egli riferì, che gli sembrava più proprio e di miglior gusto coronarlo di una statua a cavallo su apposito piedestallo, senza arcate di sorta. I Consiglieri lo pregarono di presentare il disegno ed il calcolo della spesa, per poi affidare l’esecuzione al di lui padre in Genova.

Ma pare che il progetto non sia piaciuto. Fin dal 1843 si erano stanziate a bilancio L. 1.850 per rifare la crociera. La somma era insufficiente; ma siccome per fortuna era di passaggio a Sassari un marmoraro genovese, questi si addossò l’incarico di eseguire le arcate e la statua per sole L. 729, purché il Municipio gli somministrasse il marmo, oltre quello dell’arcata caduta. Con le L. 1.114 risparmiate, il Municipio atterrò una casetta posta sulla sponda della strada, rendendo più comodo l’accesso alla fontana.

E da quel giorno Rosello non subì modificazioni radicali, all’infuori delle solite spese di manutenzione e pulimento. L’antica fontana, così cara ai sassaresi antichi, continuò ad attirare le lodi degli scrittori, e fra gli altri del Lamarmora nel 1860, del Mantegazza nel 1866, e del Corbetta nel 1877.

Solamente nel 1868 il tedesco Maltzan scrisse: «forse al tempo del Lamarmora il Rosello poteva avere un bell’aspetto; ma al presente, colorato com’è in azzurro, esso ha un’apparenza molto barocca». – Ed aveva ragione; la fon-tana è tutta marmorea, eppure venne colorata in azzurro e in bianco, per mascherare il marmo. Scrive il Tola nel 1889, che il Rosello è l’unica costruzione tipica che Sassari conserva dell’epoca spagnuola.

Acquaioli

Sono i fornitori d’acqua, chiamati dai sassaresi carrajoli, i quali la vendono in barili, che caricano su uno o due asini: due barili per ciascuno, disposti sul basto. Un barrio (carico) è composto di due barili, detti mezzine.

Il Lamarmora vuole i carrajoli di origine corsa, ma io non so dove abbia pescato siffatta notizia. Moltissimi di essi vennero dal contado, ma la razza, nel complesso, è prettamente sassarese.

Il carrajolo, in generale, maltratta le sue bestie, e le percuote in un modo barbaro. Non di rado si vede un asino stramazzare mezzo morto sotto i colpi di bastone che lo colpiscono alla testa.

Io credo che gli acquaioli non esistessero nel secolo XIII, e forse neppure nel XIV. Negli Statuti del 1295 non si fa menzione di essi, mentre non sarebbero dovuti sfuggire a qualche rigorosa disposizione, trattandosi di provvede-re l’acqua agli abitanti. Forse al Rosello ricorreva una piccola parte della popolazione, essendo piuttosto numerosi i pozzi pubblici dentro l’abitato.

Nel secolo XVI gli acquaioli si multavano con frequenza. Un bando del 1537 prescriveva che los carrayolos de abba dovevano lavare accuratamente i barili (sabunare sas mesinas) ogni lunedì mattina, ed il giorno successivo alle altre feste solenni, sotto pena di cinque soldi; così pure era loro proibito di aggiustare (meigaresas mesinas cum strazos, seu (stracci, sevo) od altra bruttura.

Il costo di dieci carichi di acqua, nel 1687, era di soldi 5.

Il Municipio, verso il 1703, nominava un capo carrajolo, il quale designava i compagni che a turno dovevano innaffiare i piantoni degli olmi lungo gli stradoni di circonvallazione. Questi capi carrajoli dovevano prestare il giuramento d’imparzialità dinanzi al Magistrato.

Nel Gennaio del 1821 il Municipio, volendo esentare i carrajoli dall’obbligo delle ronde prescritte per tutti gli abitanti, fece un’eccezione per i portatori d’acqua, dichiarando che meritavano ogni riguardo per la loro professione tanto necessaria alla popolazione.

Nondimeno, nell’Agosto dello stesso anno, il capo acquaiolo Gio. Maria Meloni venne chiamato dinanzi alla Giunta, per comunicargli le lagnanze del pubblico contro gli acquaioli che si rifiutavano a fornire l’acqua a chi la richiedeva. Egli rispose dando la colpa al Governo che aveva proibito ai carrajoli l’uso del bastone, tanto necessario per far trottare gli asini e per aiuto nello scaricare i barili. Questa franca risposta non piacque, poiché il Magistrato gli impose di rispettare gli ordini del Governatore, altrimenti i riottosi verrebbero costretti al dovere per mezzo delle bastonate nella pubblica piazza. E questo avvertimento fu consacrato a verbale!

Nel Gennaio del 1827 si ammonisce di nuovo il capo carrajolo, essendosi verificato che molte mezzene contenevano soli quindici pinte di acqua, invece delle venti prescritte. Chiamato il capo bottaio Gavino Manca, gli si ordinò di non apporre il marchio ai barili deficienti, sotto pena di dieci scudi e della rimozione dall’impiego.

Fin da tempo antico si pagò dagli acquaioli un’imposta, che continuò fino a tempi recenti, sotto la voce Dazio delle vetture. Se essi ritardavano il paga-mento di questo diritto, l’appaltatore aveva la facoltà di toglier loro i barili, mettendoli nell’impossibilità di poter lavorare. Di questo dazio delle vetture è fatto cenno nel Regolamento del 16 Settembre 1770, ed anche negli antichi Alberans (libro di appalti). Solamente nel 1849, per una falsa notizia sulla soppressione dei tributi, gli acquaioli fecero sciopero e si rifiutarono di pagare il dazio delle vetture.

Ciascuno degli acquaioli, nel 1860, pagava alla Città sei centesimi al giorno per la professione che esercitava; e si calcolavano a un centinaio le bestie che impiegavano nel trasporto dell’acqua.

Nel 1868 i portatori d’acqua ammontavano a 120, e siccome ognuno si serviva di due o quattro somarelli, si verificò che gli asini di Sassari erano un 300. Lo Spano nota, che per ogni due asini si pagavano al Municipio L.1,20 al mese.

Dopo la inaugurazione dell’acquedotto, nel 1880, i carrajoli diminuirono di numero… ma non scomparvero, come da tutti si sperava!!

Asinelli

Dopo i carrajoli è indispensabile tirar fuori gli asinelli. Occuparsi di Rosello, senza parlare degli asini, sarebbe lo stesso come andare a Roma e non vedere il Papa.

Scrisse il Cetti nel 1774, che l’asino era destinato a trasportar l’acqua di Rosello, poiché era succeduto agli acquedotti, come prima li aveva forse preceduti. Il dotto Gesuita non sognava neppure, che asini e acquedotto potessero vivere insieme!

La pietà delle anime gentili verso gli asini ha procurato molto spesso ai crudeli acquaioli sassaresi una multa e la prigione.

Nondimeno gli acquaioli di Sassari continuarono a dare agli asinelli il nome di filumeni (capinere) col malanimo d’irridere il rauco verso che l’amore strappava dal cuore appassionato delle povere bestie.

Valéry idolatrava gli asini. Egli confessa, che nelle due visite fatte a Sassari nel 1835, non tralasciò mai di recarsi tutte le mattine alla fontana di Rosello per ammirarvi i docili e rassegnati asinelli, degni (come lui scrive) del pennello di Decamps, il celebre pittore francese delle bestie di spirito.

Lamarmora mette in ridicolo Valéry per questi elogi, ma in fondo ha torto. Egli nota che l’asino portatore d’acqua in Sassari non è notevole che per la estrema piccolezza; ha il pelo canuto, lungo e setoloso; la pelle lucida e scorticata a furia di percosse; ha sempre la testa bassa e le orecchie penzoloni.

Anche il poeta e pittore Cesare Pascarella, quando venne a Sassari nel 1882, si recò al Rosello per riprodurre a penna alcuni asinelli, e fui io che gli tenni il calamaio mentre li disegnava!

L’asino sardo rappresenta la pazienza, la rassegnazione, il martirio senza alcun lamento. L’asino sassarese non è un molente; molente è l’asino di Cagliari che gira tutto il giorno attorno alla mola con gli occhi bendati. L’uno e l’altro presiedono ai due più semplici elementi del povero; il cagliaritano è condannato a fornire il pane, il sassarese a provvedere l’acqua.

Nell’Illustrazione italiana di Milano del Luglio 1880, così scrisse il D’Arcais: – «Sassari è ora arrivata dall’acqua (l’Acquedotto). Ci guadagneranno le industrie e la salute pubblica: ci perderà l’arte, giacché non si avrà più lo spettacolo degli asinelli che andavano a riempir le botti alla originalissima fontana di Rosello».

Se D’Arcais avesse conosciuto le peripezie del nostro Acquedotto, forse non avrebbe così scritto. La fontana di Rosello non ha ancora perduto la sua arte, la sua poesia, ed i suoi asinelli!