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La famiglia Tomè

Era il 1886 quando Angelo Tomè, sarto e commerciante ligure, con il senso degli affari nel sangue, aprì i “Grandi Magazzini” in piazza Azuni, i primi in città. Un negozio per la borghesia, dove si potevano acquistare capi di buona fattura (la famosa azienda di cappelli Borsalino, ad esempio, fabbricava il caratteristico sombrero in esclusiva per i magazzini Tomè), ma anche un grande emporio per le famiglie che lì potevano trovare, oltre alla rinomata attività di sartoria e accessori per l’abbigliamento, anche accessori per la casa e giocattoli. Le vetrine con i giochi venivano allestite l’8 dicembre  e i ragazzini attendevano quel giorno in cui si sollevavano i tendaggi: si formava una folla di giovanissimi sgomitanti che incollavano il viso al vetro. Divenne così tradizione che lo svelamento delle vetrine di Tomè desse quasi avvio alle festività natalizie a Sassari.

Scrive Enrico Costa nel secondo volume della sua opera “Sassari”, nell’agosto del 1908: «Il Palazzo del Governo del 1700 venne demolito dalle fondamenta verso il 1870, per diventare il moderno Palazzo delle Finanze. Nel piano terreno erano prima i locali dell’Ufficio Postale e della Reale Tesoreria; oggi vi si ammirano gli eleganti magazzini di Angelo Tomè, il quale provvede largamente di abiti, stoffe ed oggetti di ogni genere la popolazione di Sassari, e gran parte di quella della Provincia».

Angelo Tomè sposa la sassarese Giuseppina Lintas il 6 febbraio 1886. Dall’atto di matrimonio salta fuori un collegamento che non ti aspetti: a celebrare le nozze fu l’avvocato Francesco Giuseppe Loriga Sanna, nipote di Giovanni Antonio Sanna, essendo figlio della sorella maggiore di quest’ultimo, Rita. Giovanni Antonio Sanna, sassarese, era il padrone delle miniere di Montevecchio, ed è colui al quale è intitolato il museo cittadino, edificato su un terreno di sua proprietà. Sposò la spagnola María Llambí y Casas, ed ebbe quattro figlie: Ignazia, Amelia, Enedina e Zelí. Enedina divenne la moglie del senatore Giuseppe Giordano Apostoli (che nel 1877 fece costruire Palazzo Giordano, in piazza d’Italia); quest’ultimo era il fratello dei proprietari di casa Tomè. Cesare Giordano Apostoli, il primogenito e primo proprietario (che fu sindaco di Sassari nel 1881) e Andrea Giordano Apostoli, il minore, che la cedette in vendita a Giuseppe Tomè, l’unico figlio maschio di Angelo.

Angelo Tomè era persona generosa, noto per essere un mecenate e sostenitore di giovani artisti promettenti, caratteristica che come vedremo influenzò anche il figlio Giuseppe. Non faceva quasi mai pressione sui giovani di belle speranze che si rivolgevano a lui per ottenere credito per i vestiti nuovi. Probabilmente poteva permettersi di essere generoso; infatti in un documento sulle imposte dei redditi di ricchezza, Angelo Tomè risultava avere uno dei guadagni più alti in città alla fine dell’800, con conseguente elevato versamento d’imposte.

Si racconta, ad esempio, che Sebastiano Satta, poeta nuorese e studente a Sassari, era spesso a corto di danaro contante per comprarsi nuovi vestiti e il signor Tomè gli faceva credito, non solo a lui – come si è detto – ma anche a tanti altri giovani promettenti che, purtroppo, all’epoca avevano pochi quattrini. Per questo motivo è rimasta proverbiale la famosa massima coniata proprio da Sebastiano Satta che diceva: “Quando Tomè mi vede trema da capo a piede, quando io vedo Tomè tremo da capo a piè!”. Il poeta nuorese scrisse questi versi proprio per scherzare sul timore reciproco dei due di incontrarsi essendo uno creditore e uno debitore.

Il legame tra i due è raccontato anche in due splendidi sonetti giovanili scritti da Bustianus de Barbagia de Sardigna come lui stesso si firmava dopo averli composti, dedicandoli all’amico Salvator Ruju che probabilmente ben conosceva la generosità del signor Angiolo, come Satta lo chiamava. È la splendida e poetica parodia di “Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante Alighieri, realizzata con chiara verve poetica da Sebastiano Satta e dalla quale traspare simpatia e ammirazione per l’anziano benefattore. Il componimento termina così: «… e se vede passare un debitore,  l’angelicato viso muove altrove e par che dica al debitor: respira!».

Alla morte di Angelo Tomè, nel 1924, il negozio passò nelle mani del figlio Giuseppe e successivamente, non avendo Giuseppe avuto figli, al commesso Renzo Allegranti e poi ai suoi eredi. Fino al 1975, quando i fratelli Marco e Mina Multineddu, nome anche questo simbolo del commercio cittadino, hanno continuato a far vivere quel passato.

Giuseppe Tomè nasce a Sassari il 18 febbraio 1890. Per seguire in maniera appropriata l’avviata ditta di famiglia si iscrive in Ragioneria, conseguendo il diploma. Mostra una tale accortezza negli affari da meritare, sin dal 1912, la responsabilità della gestione dell’attività commerciale, che diviene di sua proprietà nel 1924 dopo la morte del padre Angelo.

In quegli stessi anni sposa la giovane cagliaritana Rosetta Binda e acquista la palazzina che porterà il suo nome, situata nel punto in cui piazza Azuni si stringe per rinascere come Corso Vittorio Emanuele II.

Giuseppe e Rosetta non ebbero figli e così si dedicarono intensamente ad attività civili. Giuseppe in particolare fu sostenitore dei giovani artisti. Amico dei pittori sardi del primo Novecento quali Carmelo Floris, Antonio Ballero, Mario Paglietti. Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Pietro Antonio Manca, Filippo Figari, Stanis Dessy, Eugenio Tavolara tra gli altri, fu instancabile promotore delle loro mostre e acquirente delle loro prime opere.

La sua passione per la città si rivela anche dal fatto che fu uno dei fondatori e presidente della regia scuola d’arte, venne eletto per anni amministratore comunale e fu anche presidente della Torres Calcio dal 1947 al 1949. Le sue passioni erano diversificate, sempre legate al bene di Sassari, la sua città natale.

Rimasto vedovo e colpito da importanti problemi di salute, iniziò a trascorrere lunghi periodi in Liguria e proprio a Bogliasco la morte lo colse il 4 gennaio 1966. Da sua volontà, la salma fu riportata a Sassari dove venne celebrato il funerale partendo dalla chiesa dei Servi di Maria per la parrocchia di Santa Caterina dove venne celebrata la Messa corpore praesente. Il feretro venne in seguito tumulato nella cappella di famiglia al cimitero monumentale di Sassari.

Fu grande la commozione in città quando si venne a sapere dell’importante lascito che Giuseppe Tomè le aveva offerto come ultimo dono, in cambio di una sola messa all’anno nel giorno della sua morte. La commissione per l’accettazione del lascito si riunì subito; presieduta dal suo amico avvocato Ugo Puggioni, aveva come membri l’architetto Vico Mossa, i pittori Stanis Dessy e Mario Delitala e il soprintendente di allora, Roberto Carità che da subito espresse parere favorevole all’accettazione del lascito «comprendente oltre 150 pezzi assai pregevoli per la storia della pittura sarda».

Le opere pittoriche raccolte nel corso di una vita, esposte nelle sale della sua casa, ora sono fruibili a tutti nella Pinacoteca Nazionale di Sassari di Piazza Santa Caterina. In molte di loro è riportata la dedica al commendator Tomè, segno dell’amicizia degli artisti.

Facevano parte del lascito anche la palazzina di abitazione di Giuseppe e Rosetta Tomè in Piazza Azuni-Corso Vittorio Emanuele, appartamenti in via Dei Mille, via Monte Grappa e via Porcellana e la tenuta di campagna dell’Eba Giara, Villa Giuseppina, con un ettaro di terreno.

Il 5 aprile 1990, poi, la giunta comunale di Sassari approvò con una delibera di affidare l’incarico ad Ademaro Rossetti, nipote dell’omonimo gioielliere e fondatore dell’azienda, l’incarico di valutare gli oggetti d’oro e l’argenteria della famiglia Tomè, “senza oneri di spesa” per l’amministrazione comunale.

Un totale di 116 pezzi, quelli di maggior qualità, dopo la stima vennero riconsegnati al Comune.