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Commercio e mercanti

Commercio in Sassari

1848. – In quest’anno l’Angius scriveva: «Il commercio di Sassari è quasi tutto in mano dei forestieri; è da notare che codesto ingegno commerciale e studio d’industria non si mantiene florido in famiglia, perché i figli ed i nipoti dei genovesi, diventati sardi, non applicano ai negozi i propri capitali, ma preferiscono contentarsi del poco, impiegandolo in fondi rustici ed urbani».

Lo stesso autore nota sempre sullo stesso argomento: «I principali generi che si esportano da Sassari sono l’olio, il grano ed il formaggio – e i secondari il bestiame, le pelli e cuoi, ed i sugheri. I prezzi dell’olio regolati con quelli della piazza di Genova; i grani sono raccolti nel Logudoro e partono per la Liguria: i formaggi spediti a Genova ed in Corsica, possono calcolarsi da 20 a 25 mila cantaretti (104 libbre sarde). Si esporta poco vino; ma dacché sonvi le distillerie si fa molto spirito. Di semenza di lino si spediscono ogni anno da 1.500 a 2.000 rasieri, cuoi da 500 a 600 cantaretti; pelli piccole un centomila: di lepri e volpi un 5.000. Da Portotorres si esportano da 5000 cantari di sughero del Logudoro, il cui commercio si fa dai francesi. S’imbarcano da 500 a 600 capi di bestiame all’anno (buoi e porci) per la Corsica, e 300 cantari di lardo».

Tutti questi dati sono dell’anno 1848; in seguito il commercio aumentò di molto, ed è inutile che io qui registri il movimento generale, che si può rilevare e stabilire con esattezza dalle molte statistiche che regolarmente pubblicano la Camera di Commercio e il Governo.

Mercanti

In tempi antichi le botteghe dei mercanti erano misere in apparenza, ma dei mercanti ricchi ve n’erano certamente. Segnalerò alcune notiziette al riguardo.

Nel 1166 il Giudice Barisone II di Torres promette al Comune di Genova il pagamento di L. 2.000 in tante merci laddove gli presti aiuto in caso di guerra coi pisani, ai quali impedirebbe di negoziare nel Giudicato Turritano.

Ciò vorrebbe dire che Barisone faceva il negoziante, come lo fecero più tardi i famosi Doria e dopo di loro i nobili sassaresi, mentre prima dei genovesi erano i pisani che avevano il monopolio di Torres.

Risulta da molti atti del secolo XIII, pubblicati dal Ferretto nel 1905, che il commercio della Sardegna con Genova era di qualche importanza, poiché molti legni partivano dai diversi porti dell’Isola, diretti alla riviera ligure. Ma qui noi ci occuperemo di quanto riguarda Sassari e il suo porto di Torres.

Uno dei più ricchi mercanti di Sassari verso il 1274 era Gualtiero di Volterra il quale precisamente in quest’anno fece testamento, disponendo di esser seppellito a Genova, e lasciando alcune somme a diverse chiese di Sassari. Nel 1277 risulta creditore di Branca Doria di Ls. 50, ed offre per qualche somma ricevuta 5 colli di panni francesi in pegno.

Di questo Gualtiero di Volterra è fatta menzione negli Statuti sassaresi del 1294, poiché si allude alla sua casa in Sassari, situata nel cantone (verso il vicolo delle Cappuccine).

Trovo pure citato nei detti atti, Gualtiero da Borghese da Sassari che nel 1281 riceve Ls. 215 per prezzo di lana e pelli di becco acquistate nel porto di Sassari; di Lorenzo da Piras di Sassari che riceve da Milano una balla di fustagni per Ls. 28; di Brocollo Grusso, da Sassari, che acquista una partita di merce da pagarsi nel Porto di Torres; di Giovanni Cane, Reinerio Bonaventura e Manuele Corso, sassaresi anch’essi, che comprano una partita di merci da Pagno in Portotorres – e tutti sempre nel 1281.

Nel 1268e 1269 si imbarcano molte centinaia di lingotti di formaggio di Torres, pesanti centinaia di cantari e rotoli (frazioni della misura); inoltre una quantità di filo filato di Sardegna a Ls. 7 il cantaro. Notevoli sono le vendite degli schiavi; nel 1257 ne trovo nove venduti da Ls. 10 a Ls. 13.10 cadauno; nel 1266 una diecina al prezzo minimo di Ls. 5.10, e al massimo di Ls. 10.10. Tra gli altri noto uno schiavo bianco sardo, venduto per Ls. 10.

Chiudo questi appunti intorno al commercio del secolo XIII con la nota di vendita di un asino nero con basto e due barili, vendita fatta in Genova da Pietro Doria, il 23 Settembre 1275, per il prezzo di tre lire e quindici soldi!

Molti mercanti genovesi erano certamente in Sassari nel secolo XIV. Nel 1369 si provvede alla difesa di Alghero, stante la quantità dei genovesi sospetti, che vi dimorano. (Più che alla politica pensavano certamente al commercio).

Nel secolo XV tra i mercanti sassaresi vi erano anche i nobili de Montagnans, i quali avevano in Sassari botteghe di merci varie.

Nel 1545 risulta esistente un negozio di legname di mastru Antoni Pretene mercante genuesu. Nel 1596 erano consoli della mercanzia Gavino Pogante, Antonio Deliperi, Antonio Dachena, q.m. Marci e Giovanni Grimaldo.

Nel 1600, Antonio Barone fa venire da Liornu, o Pisa, per conto di Giuseppe Muciga, 264 salmas di frumento, acquistato da Francesco e Pietro Capone, a 7 ducati e mezzo la salma.

Nel secolo XVII erano molti i mercanti che in Sassari avevano tiendas (botteghe). Molti di essi più che sardi o genovesi erano corsi, e in massima parte gente puntigliosa e facile al litigio.

Nel 1680 i quattro messi, o pesadores reales, della Duana, registrarono in 180 giorni e bollarono le mercanzie delle tiendas della Plassa. I commercianti della piazza, proprietari de tiendas, erano 56 fra i quali: il Mercador Francesco Casamilia (il più ricco), e poi Carquero, Santero Bartolomeo, Piria, Pinschio, Juch el Frances, Cabasa, Alivesi, Munca Gras francese, Airoldo, Monteverde, Romaneddu, Paolo Grego, Melet, Grana, Sisto, de Aquena, Vielis,Tarcello, Belisimo, Gasmar, Ledda, Caponis, Navarro, Ferrali. Trovo poi nel 1628 i patrones Battista Zenaro, Francesco Bogolo de Alaxio, Benedetto Ponzaverone e Lazaro Maria Jordano.

Nel 1711 è menzionata la tienda di Pasquino Peraldo, negoziante di tessuti; nel 1720 quelle di Gio. Battista Cotta che vendeva argille di Barcellona, di Giovanni Cadanila e di Calsamilia, che vendevano lo stesso genere di merci. Nel 1784: Temelli, Novaro, Brusco, Cuneo, Bontà, Piaggio, Giordano, Tomeo, Di Fraya, Musso, Princivalle, Bellomo, Oliva, Boetto. Abbiamo anche nomi stranieri: Vivien, Chà, Vengher, Julliffier, Pons, Ruscian. Le fatture della Dogana furono in quest’anno 380, e da esse risulta che quasi tutte le merci venivano da Livorno, Genova, Napoli e Marsiglia. Molti patroni di legni che trasportavano le merci dall’Isola al continente, e viceversa, si stabilirono a Sassari per esercitarvi la mercatura.

Una grande emigrazione di negozianti genovesi notasi dal 1780 al 1820, tutti desiderosi di tentare la fortuna in Sardegna, specialmente dopo che vi si era stabilita la famiglia Reale, nel 1799. In quest’anno il Principe Placido Benedetto, conte di Moriana, accorda con Carta Reale al negoziante in ferro Carlo Fantoni di Novara (il primo venuto in Sassari) l’implorato diritto di poter fregiare il suo negozio con le Armi Reali e di fabbricar piombo (?) e ciò per la condotta tenuta nelle ultime vicende (ai tempi di Angioi).

Nel 1803 erano in Sassari 24 principali negozianti, fra i quali noto: Gio. Battista Federici, Gregorio Conti, Luigi Talongo, Filippo Tealdi, Nicolò Frazioli, fratelli Binna, Pompeiano, Frassetto, M. C. Santoni, Palomba, Denegri, Langé, Musso, Torchiani, Dappello, Ponzeveroni, Chiappe.

Nel 1848 i negozianti più noti risultano una cinquantina, per la maggior parte genovesi… come al solito; e l’Angius ci dice che primeggiavano tra essi i Tavolara, i Costa ed i Murtula, alcuni dei quali ritenuti milionari (?). I negozianti minori, quasi tutti sardi e sassaresi, lo stesso Angius li fa salire a 130.

Credo inutile far l’elenco nominativo dei commercianti di oggidì, anche perché sarebbe difficile non offendere la suscettibilità di qualcuno di essi nella classificazione della loro importanza per capitali e credito. Non pochi nomi ci rivelano che molti di essi sono discendenti di quelli del 1784, come Brusco, Bontà, Cuneo, Chiama, Princivalle, Di Fraya, Musso, ecc. ecc.

Negozianti girovaghi

Sono volgarmente chiamati bittuleri, e acquistavano le merci dai grossi mercanti per trasportarle a schiena di cavallo da un paese all’altro dell’Isola, e specialmente in occasione di fiere. Essi compravano a credito, né erano sempre puntuali nel pagamento. La industriosità dei bittuleri era antichissima a Sassari, favorita sempre dal Municipio che ottenne per loro il privilegio di andare in tutte le ville per commerciarvi liberamente. Tra le merci che trafficavano, quelle per le quali erasi pagata gabella in Sassari, erano immuni da queste tasse nei luoghi ove venivano vendute, come risulta da carte del 1631.

Viandanti

Non sono da confondersi coi bittuleri, o negozianti ambulanti. Essi non facevano che prestare l’opera loro per il trasporto delle merci da un punto all’altro dell’Isola, e ben di rado viaggiavano per proprio conto. Erano insomma, una specie di cavallanti, carradores o carrargios, che battevano anche le vie e i sentieri impraticabili. Dopo la costruzione delle strade principali essi diminuirono di numero, tanto che nel 1848, l’Angius ne registra poco più di 35.

Oggidì ve ne sono ancora, ma invece che trasportare soltanto le merci, negoziano anche per conto altrui, benché con scarso lucro. Anticamente erano obbligati di avvertire il Governatore, prendendo da esso licenza, specialmente quando si mettevano in viaggio diretti verso il Campidano; nel qual caso, come avvenne in un Consiglio Maggiore del 1677, si doveva informarne anche il superiore Governo. Ai viandanti era anche affidata la consegna di lettere d’importanza, nel qual caso ricevevano un compenso in denaro.

Botteghe di commestibili

In ogni tempo ve ne furono a Sassari un numero grandissimo e fornivano ai rioni di Porta Rosello, Capoleoni, Strada Lunga, Carra Manna, Piazza Castello, Sant’ Appolinare ed altri, molte cose, che particolarmente in generi alimentari, abbisognavano al popolo minuto ed anche agli abbienti. In queste botteguccie anguste, tenute con poca pulizia, e nelle quali abitava anche la famiglia, vendevasi di tutto: un vero emporio i cui generi stavano per metà esposti nella strada e per metà entro casa. Vi si vendeva pane, paste alimentari, formaggio, semola, olio, aceto, frutta fresche e secche, polenta e pesci fritti, baccalà ammollato, tonno salato, sardine salate, frittelle, orzo, legna, carbone, scope, esca e zolfo, mestole, ceste… e persino sanguisughe!

Di queste botteguccie (vindioli) ve ne sono ancora molte a Sassari e sebbene non così disordinate, per l’ammucchiamento di tanti generi disparati e meno sporche, pure, costituiscono la nota più caratteristica dei vecchi rioni, a cui la civiltà moderna non ha tolto né aggiunto alcuna innovazione.

La rivendugliola è poi sempre, oltre che la creditrice di tante famiglie di operai anche quella di tutti i piccoli impiegati, di quanti, insomma, per strettezze finanziarie, hanno bisogno per vivere di un po’ di credito.

Locande e trattorie

In Sassari non esistevano nei tempi antichi locande e trattorie, poiché non ne trovo menzione nelle carte di archivio.

Scrisse il Gemelli nel 1769, in una nota al panegirico di San Gavino: «Non è piccola lode dei sardi che, non avendo le città e lungo le strade alberghi venali e pubblici, che noi diciamo Osterie, l’amorevole e indefessa ospitalità degli isolani non lasci luogo a desiderarlo».

Quando a Sassari arrivava un’autorità governativa od un alto personaggio esso prendeva alloggio presso il Governatore o presso l’Arcivescovo, oppure presso qualche cittadino nobile ed agiato. Per il seguito degli ospiti illustri, vi erano le osterie.

Trovo per esempio, che nel Giugno del 1650, durante la visita che fece alla città il Cardinale e Viceré Trivulzio, furono pagate dal Municipio Ls. 2.10 a Lucia corsa, Ls. 2.10 a Giovanni Praco, e Ls. 3 a Nina Onula, a saldo di conto per aver tenuto gli alabardieri di S. E. nelle loro Osterie.

In Cagliari, per la maggior affluenza dei forestieri e per esser sede del Viceré, le osterie erano in maggior numero. Lamentando l’inconveniente delle molte botteghe di Cagliari nel 1809, il P. Napoli scrive, che mezzo secolo addietro (verso il 1760) non vi si trovavano che due trattori, o cucinieri pubblici; ed erano un tal Aubermit, piemontese, nel Castello; e un tal Monsieur Merlin, francese, nella Marina, i quali non servivano che l’Ufficialità della guarnigione ed i forestieri.

Lasciamo le osterie e veniamo agli alberghi. Ci dice l’Angius che nel 1848 la città di Sassari aveva quattro alberghi; uno presso Porta Castello, l’altro in via Insinuazione, il terzo nel vicolo di Gesù Maria, ed il quarto nel Corso. Un buon pranzo costava dalle 2 alle 2 lire e mezzo. Esistevano però numerose osterie per gente dei villaggi che giungevano in città a piedi od a cavallo, ed in gran numero erano anche le trattorie. Lo stesso Angius osserva, che le cantine dei particolari, dove vendevasi il vino per mezzo della mostra di edera, si cambiavano momentaneamente in bettole, poiché i facchini ed altri della plebe vi facevano sovente colazione, pranzi e cena. Spigolo alcune notizie sugli alberghi o locande.

1839 (Gennaio). – Il negoziante Francesco Mattoni chiede di poter aprire una Locanda, con una convenzione per un decennio. Si rifiuta.

1843. – In vista della mancanza delle Locande per i forestieri e per il commercio, il Municipio propone, in seduta del 13 Luglio, di sussidiare un locandiere qualunque coll’annua dotazione di scudi 100 per sette anni, con l’obbligo di tenere albergo e trattoria, da stabilirsi per anni 12, col patto di restituire la dotazione (?).

Si scrive nel 12 Agosto al Governatore sul bisogno di una comoda e decente locanda, per i forestieri in vista del gran danno che risente di tale mancanza il commercio del paese. Si aprirono le trattative e si ebbero due sole proposte, non accettabili. Tutto questo prova, che prima del 1843 Sassari non aveva un locale da offrire ai forestieri che vi si recavano per ragioni di commercio.

Non mancarono però i cuochi ambulanti, poiché trovo nel 1838 un Giuseppe Balducci, e nel 1841 un Agostino Piras, incaricati dal Municipio di preparare il pranzo per la festa di San Gavino di Portotorres. Presso un certo Giuseppino, locandiere, erano alloggiati nel 1834 i pittori Vacca e Bossi, venuti per decorare il Duomo e il nuovo Palazzo Civico.

1848. – È già in attività a Sassari la Locanda del Leon d’oro, dove il 5 Gennaio si fece il banchetto nazionale per la unione dei sardi, piemontesi, liguri e savoiardi.

1849. – Giovanni Grillo, nel Maggio, chiede l’esercizio di una Trattoria da aprirsi nel palazzo Bargone (Appendici). Si accorda per utilità pubblica. Si autorizza pure Michele Paglia, di aprire una Locanda nella via Capo d’oro. Ignazio Mecca, di Genova, chiede di aprire una Locanda del Progresso nel Palazzo Tavolara. Notasi che si era chiuso l’Albergo d’ltalia, uno dei migliori che si avessero.

Si era pure inaugurato l’Hôtel di Francia sul Corso, ed ivi alloggiò nel Dicembre del 1854, Giuseppe Garibaldi, che due anni dopo tornato a Sassari prese alloggio nel Progresso.

Si aprirono in seguito altri alberghi e trattorie con titoli vari: La Cernaia, L’Unione, La Concordia, I settecolli, Trattoria Cadrapasso, Il Cannon d’oro, S. Martino, Azuni e Cavour, Cagliaritano, Il Commercio, Bertrand, Locanda d’Italia, ecc.ecc.

Caffè e bottiglierie

Ciò che abbiamo detto per gli Alberghi possiamo ripetere per i Caffè; di essi non si sentì la necessità e non furono in uso che negli ultimi tempi. Il caffè si prendeva da tutti nella propria casa, o in quella dove si andava a far visita, e i sassaresi dei tempi passati si sarebbero vergognati di andare a berlo in un luogo pubblico.

Scrive il P. Napoli che verso il 1760 non vi erano in Cagliari che due o tre botteghe di caffè e di sorbetti; ed io credo che in Sassari ve ne fossero anche meno.

Uno dei primi Caffè, di cui trovo menzione in Sassari è quello di Nicolò Volpi, situato di fronte al Palazzo Civico, nel Corso. Trovo in una nota che nel 1796 e anche qualche anno prima, era avvenuta colà la riunione dei repubblicani, detti allora Giacobini; anzi leggo, che il Dottor Gaspare Sini, trascinato al patibolo nel 1797, si fermò dinanzi a quel Caffè per chiedere perdono a Dio e al Re delle insolenze da lui pronunziate in quella località. Lo stesso Caffè, diretto dalla vedova Volpi, esisteva ancora colà nel 1802.

Pochi altri Caffè erano in attività in quel tempo. In un articolo pubblicato in un giornale di Milano, nel 1834, si scrisse che in Sassari si faceva poco uso di caffè, poiché in sua vece si mangiavano le lattughe (!).

Rispose all’articolista il medico Gioacchino Umana, protestando che anche i paesani ed i domestici sorbivano il caffè nelle Caffetterie, essendovi in Sassari botteghe di ogni e qualunque liquore spiritoso.

I fratelli Bossalino avevano aperto un modesto e frequentato Caffè, e quando nello scorcio del 1829, i pittori Vacca e Bossi vennero a Sassari; pensarono di decorarlo e di abbellirlo. Tali abbellimenti e pitture vennero eseguite verso il 1844, su disegno del Bossi, ch’era anche architetto, ed è sua la volta in cristallo esistente ancor oggi. Questo ricco Caffè fu il centro dei principali avvenimenti che segnalarono in Sassari gli anni 1848 e 1849; fu là che si radunavano i giovani sassaresi, ardenti di fede e di entusiasmi per preparare quei giorni di santa riscossa che dovevano essere forieri del risorgimento italiano. Sotto la volta di cristallo di quella sala e tra quelle colonne candide si riunirono pure tutti i liberali del paese per apprendervi le attese notizie che giungevano dal continente; in quella sala, nell’Aprile del 1848, furono dettate le basi del primo giornale politico, La Sardegna; in quella sala arringò i compagni per la prima volta il tribuno Antonio Satta, perito miseramente a Genova.

Il Caffè Bossalino, chiuso verso il 1855, fu trasformato in un negozio di coloniali e fu condotto sempre dagli stessi proprietari. Sul principio del 1887 questo negozio fu nuovamente riformato con l’aumento di tre sale, in una delle quali si apprestavano colazioni alla forchetta.

Non ebbe però la fortuna che meritava, e dopo alcuni anni di esercizio fu trasformato ancora in una Offelleria svizzera, che anche oggidì è in esercizio.

Il secondo Caffè di lusso, degno di menzione, è quello che fu impiantato in Piazza Castello sotto il titolo di Caffè Mortara, ambiente assai elegante, con volta e colonne decorate in cristallo, anch’esse del pittore Bossi che dipinse tutti gli ornati sul vetro, mentre le figure vennero eseguite dal Prof. Giacomo Galeazzo, con la collaborazione degli allievi del Bossi, fra i quali Giuseppe Chiama, Salvatore Sanna e Giacomo Casabianca. La volta della sala, con la colonna esagonale in stile gotico, costarono al proprietario oltre L. 25.000, compreso il restauro dei muri ed il palchetto. Nel disegno generale, anche le pareti dovevano essere decorate a vetri, con lo stile gotico della colonna centrale; ma scoppiato il cholera nel 1855, l’opera fu sospesa per la morte del Bossi e dei tre allievi suddetti. Questo Caffè rimase in attività, pur avendo subito molti cambiamenti.

Al Mortara successe il genero Calligaris e il Caffè fu rinnovato, ed inaugurato solennemente il 14 Agosto 1866. L’esercizio fu continuato in seguito sotto la direzione di Antonio Andrea Tola, che vi introdusse anche il servizio delle colazioni alla forchetta, con soddisfazione del pubblico, ed il Caffè fu riaperto col titolo di Caffè Sassarese il 20 Marzo 1880, rimodernato ed abbellito con nuove pitture dell’artista Dancardi.

Al Tola successe poi Antonio Manunta, già suo segretario: al Manunta lo svizzero Famos, ed a questo, finalmente, la ditta Antonio Martini.

Dopo una vita di quasi mezzo secolo il bel locale è chiuso; ma nessun Caffè fino ad oggi raggiunse la sua rinomanza. Con una incoscienza senza pari, furono abbattute la ricca volta e la colonna a cristalli, né si sa per quale scopo; forse per un puntiglio; e con quella distruzione si perdette una cara e bella memoria della città di Sassari.

Diamo altre brevi notizie sui Caffè antichi. Il più rinomato fu il Caffè Manunta, messo con gusto verso il 1830; era nella Carra piccola; e fu poi rilevato dallo svizzero Peita che si rovinò colla ricerca dei tesori nascosti.

Nel 1851 Raimondo Manunta di Sassari chiede al Municipio il permesso di riaprire una bottega di Caffè in piazza Santa Catterina, col titolo di Caffè Azuni.

Il Caffè Longiave (fratelli Filippo e Lorenzo) era prima sul Corso, dinanzi alla Carra piccola, poi più giù nella stessa via, col titolo di Caffè del Corso, verso il 1852. Chiesero di aprirlo nell’Agosto 1844.

Nell’attuale Palazzo di S. Saturnino s’impiantò il Caffè Marinelli, elegantissimo, nel quale si servivano anche i gelati e si fabbricavano confetture e liquori fini. Più tardi si traslocò nel palazzo di S. Sebastiano, e in seguito si trasformò in magazzino di coloniali.

Nel 1845, il 16 Novembre, il proprietario Luigi Antonio Marinelli chiede il permesso di scrivere sull’insegna Caffè del Commercio.

Fra gli antichi Caffè eranvi pure verso il 1846, quello di Nicolino Frazioli e quello di Binna, quest’ultimo nella casa Giordano sul Corso.

In anni posteriori si aprirono le Offellerie svizzere Grigiott, Corradini, Taddei, Andry, oltre quella già accennata di Antonio Martini, inaugurata nei primi locali nel 1881.

Altri caffè e offellerie:

1849 (Gennaio). – Giacomo Brogliatti: Caffè Gioberti e Pasticceria alla Milanese.

1850 (Maggio). – Antioco Mura: Pasticceria.

1854 (Febbraio). – Muroni Giuseppe: Caffè del Soldo (in Piazza Castello).

1860 (Maggio). – Fratelli Corradini e C., svizzeri: Paste e liquori (nel Palazzo S. Sebastiano).

Il ceto dei mercanti

Questi formarono una specie di Gremio, che come abbiamo già detto altrove, fin dal 1520 accompagnava il Candeliere a S. Maria per la festa dell’Assunta. Nel 1620 molti di questi mercanti volendo rendersi indipendenti si rifiutarono d’adempiere l’obbligo antico e la loro ribellione diede origine a contestazioni che durarono fino al 1848, dal quale anno la loro astensione fu definitiva.

Abbiamo veduto come verso il 1440 molti nobili di Sassari erano mercanti e tenevano botteghe di merci; e come nel 1538 s’interdicesse ai Giudici e ad altri ufficiali dello Stato di esercitare la mercatura.

Cambiati i tempi e tolti con le Riforme i privilegi, i negozianti, e più ancora le mercantesse, cercarono tutti di emulare in ogni cosa i nobili, con l’ostentazione della loro ricchezza.

Fin da tempi antichissimi i mercanti forestieri, compresi i corsi, si tennero alquanto separati dai mercanti sardi, e perciò formarono una Confraternita per loro soli, dando motivo a non pochi contrasti e dissensioni.

In seguito, verso il 1861, i negozianti impiantarono in Sassari il Circolo dei Commercianti, ch’ebbe un periodo fortunato di vita nel quale vi si dettero concerti e feste da ballo. Qualche tempo dopo questo circolo si fuse con altro e allora ne fecero parte cittadini di ogni classe.

Oggi i commercianti rappresentano il ceto più benestante della città, poiché molte famiglie nobili decaddero e quindi tante case, vigneti, e oliveti di questi, passarono a quelli, per le alterne vicende della vita. E così i nobili, un giorno mercanti, furono dai mercanti sopraffatti. Se si tornasse ai tempi di Aragona e dei primi anni del dominio di Casa Savoia, una parte di questi mercanti otterrebbero forse dei diplomi di nobiltà ereditaria, ma nei nostri tempi essi devono tenersi paghi di quelle onorificenze che attestano la loro indefessa attività, nel campo del Commercio e dell’Industria.