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Arti e mestieri

Artigiani in genere

In ogni tempo Sassari ebbe valenti operai che si distinsero nell’arte o mestiere che professavano.

Nel Codice della Repubblica sassarese del 1294 non vi è alcun capitolo che disciplini le arti e i mestieri. Si hanno solamente alcune disposizioni per le fabbriche in Capo di via, con proibizione ai muratori (mastru de murare) di eseguire alcun lavoro senza che il Priore e due Anziani avessero visto il disegno e l’opera. Così pure vi si parla dei barbieri i quali non potevano rader barbe in domenica, nelle feste solenni, in piazza, nelle vie pubbliche e fin nelle case private. Si parla dei fornai, che per un rasiere di grano non potevano pretendere oltre 4 denari nei giorni feriali e in Pasqua e Natale 6 denari, ed infine dei Carratori, che facevano i viaggi da Sassari a Portotorres, ricevendo soldi 6 per ogni carrata giusta, con l’obbligo di eseguire i trasporti con buona fede e senza frode. Il Codice stabiliva per ogni arte (artes et misteris) la nomina di due buonuomini, intendenti e conoscitori dell’arte i quali dovevano rivedere i lavori fatti, mettendo il buon accordo fra operaio e committente.

In un’Ordinazione, aggiunta agli stessi Statuti da Ugone di Arborea, quando s’impadronì di Sassari nel 1378, o meglio nel 1381, vi sono diverse disposizioni sul prezzo della mano d’opera dei fabbri, conciatori, calzolai, tessitori, sarti, arrotini, falegnami e muratori.

«Si ordina in generale, che sopra tutte le arti e mestieri (artes et misteris) si eleggano due buonuomini, intendenti e conoscitori di ogni cosa, i quali siano provveditori e revisori, così delle arti che sono inscritte, come delle altre non inscritte, e ciò per mettere ordine, se vi fosse chi pretendesse più del giusto che gli spetta». A questi si doveva ricorrere perché provvedessero, in caso di contestazione, fra artigiani e committenti. I detti Consoli erano obbligati di verificare i pesi e le misure, di scandagliarli, e di apporvi una marca, perché ciascuno vendesse o comprasse con peso verificato. I Consoli nominati per quel primo anno 1381 furono: Donnu Giovanni Palas e Donnu Benedetto Alcia Corbu.

Si ordinava pure, che tutti coloro che non volessero eseguire i lavori al prezzo stabilito nelle Ordinazioni pubblicate, pagassero ogni volta 5 soldi di multa, di cui la metà doveva essere devoluta alla Corte e l’altra metà ai revisori o Consoli. Per oltre due secoli si continuò a fare la nomina dei Sovrastanti.

Nel 1557 è detto che costoro si nominavano «per continuare la laudabile e antiqua pratica osservata dai predecessori». E nel 1596 «pro evitare sos inconvenientes que hint poder succeder, gasi inter artesanos, comente et massaios ecc. ecc.». Gli artigiani si dividevano per ogni arte in due categorie: quelli dell’arte fina, chiamati negli Statuti artifici e quelli dell’arte grossa, detti ministralis, vocabolo rispondente al vernacolo maistrali.

Daremo in appresso un sunto per ogni arte e mestiere.

Nel 1626 il Municipio delibera quanto segue per reprimere gli abusi dei lavoratori che vanno alle vigne, dei piccapedras e fusteris, i quali domandano di mercede 4 reali al giorno, benché perdano la maggior parte della giornata nel fare i pasti; che d’ora innanzi i giornalieri, come i fusterispiccapietre e mastros de paleta, siano obbligati al lavoro dalle 6 del mattino alle 6 di notte, e che ogni giornaliero non possa aver di paga più di 20 soldi, e 16 i fusteri e quelli delle fabbriche, e che lo almuzar y berenar non l’abbiano gratis, ma se lo provvedano da sé.

1427. – Un prvilegio dispone in quest’anno che i mecanicos e menestrales di Sassari non possano venir costretti ad andare a lavorare nelle ville in servizio dei Baroni, od altri signori di vassallos.

Fabbri Ferrai (Fraos)

L’Ordinanza del 1381 prescrive i prezzi fissi che i fabbri dovevano chiedere per il ferro da loro lavorato; cioè per un’alvada, sarchiu, piccu, distrale, zapa, vanga, cafana, runcigliu, pudaiolu, falche, clavos de cavallu, ferramenta de carrus ecc. ecc. Se nel lavoro o consegna fosse nata qualche contestazione con chi commetteva il lavoro, si doveva ricorrere al giudizio dei Consoli.

Nell’Ordinazione del 1521 è detto ancora che i Consiglieri ed il Podestà di Sassari, seguendo quanto fu fatto dai predecessori, per la pratica antiquissima osservata con lo scopo di estirpare ogni male e d’introdurre il buon ordine sobre l’art della ferreria, deliberano: «che nessuno possa aprir bottega senz’essere esaminato dai Majorals, sotto pena di una multa di dieci lire, la metà delle quali dev’essere devoluta all’Opera di S. Eligio (Sant’Aloy), e l’altra metà al Podestà; che d’ora in avanti (non essendosi mai fatto) ogni fabbro sia obbligato a mettere una marca al proprio lavoro, perché se ne riconosca l’esecutore; che nessun giovane possa lasciare a mezzo il lavoro per collocarsi presso altro fabbro; che nessun fabbro compri ferri dai garzoni, essendosi verificato che questi spesso li rubavano».

Nel 1557 furono nominati sorveglianti dei fabbri (fraylargios): Mastru Baingio dessu Solarj, Mastru Baingio de Vico, Mastru Bachis Faedda e Mastru Nicola Daquenza.

Nel 1561 si ha altra Ordinazione in cui è detto: che ogni fabbro deve pagare al Notaio e scrivano del Municipio 26 soldi per l’atto di relazione e per la patente.

Risulta da una riunione di Confraria che in quest’anno si contavano in Sassari una trentina di fabbri in gran parte stranieri; fra gli altri vi sono questi nomi: Mariano de Ulbu, Bernardo Bereguer, Giovanni Aragonesu, de Latone, Giacomino Marques, Aconcimo, Bonavida, de Sarughe, de Basteliga, Bellinfant, dessu Petreto, Capuxedu, Monfort, Moya.

Nel 1596 abbiamo sorveglianti per l’arte fina: Mastro Gio. Francesco Piqueri, Billami de Serra, Gio. Andrea Musina e Stefano de Pilu; e per l’arte grossa: Francesco Canu Mazzone, Giovanni Capuxedu, Silvestro Capuxedu e Andrea Tolu.

Nel Maggio del 1760 vennero compilati gli Statuti dei ferrai di Sassari, ma di essi parleremo nel Capitolo sui Gremi.

1780. – Risultano da quell’anno gli esami dei fabbri e fino al 1846. Ne noto alcuni: Antonio Michele Solinas, Giacomo Novara, piemontese, Francesco Cabigiosu, Giuseppe Maria Candiotto, Antonio Castiglia, Matteo Brandino, Domenico Sanguigno, Filippo Ghera, Ambrogio Pesce.

L’esame consisteva nella presentazione di un vomero, vanga, potatoio, ronca, serratura a cassetta o a chiave femmina, scure, ecc. ecc.

Le arti affini ai fabbri erano quelle di stagnaro (Antonio Viglino), ramajo (Felice Florenzano, napolitano, Giacomo Obino, Pasquale Obino), chiodista (Francesco Guarnerio di Cagliari) e infine Ottonari Lattai o stagnai. Per l’esame si pagava un quarto di scudo alla Segreteria, 10 soldi per la tariffa e 1/2 scudo ai Mazzieri di città.

L’esame si dava nel Palazzo Civico, alla presenza del Sergente di città, dell’Operaio maggiore, Fisco maggiore, Padrini, Esaminatori ed Eletti.

I Ramai confezionavano per lo più timballiere stagnate (timballi) e le presentavano per essere nominati maestri.

Nel 1848 i fabbri ferrai erano in buon numero, e si dividevano in due classi distinte.

Gli uni eseguivano zappe, marre, scuri, picconi, cerchi di ruote, e simili; gli altri serrature d’ogni genere e lavori fini. Questa categoria di operai ebbe in ogni tempo fama di abilità somma, ma l’Angius nota che il progresso dell’arte loro devesi in gran parte ad abili artigiani forestieri, che vennero a stabilirsi a Sassari.

Tra i ferrai più rinomati noi troviamo nel 1780 un famoso Castiglia, che esercitò sempre con lode il suo mestiere e lo trasmise ai molti suoi discendenti, che lo esercitarono fino ai tempi nostri. Abbiamo anche avuto un genovese, Mastro Luigino Solari, noto come uno dei più valenti operai fonditori di campane, fabbricante d’orologi da campanili ecc. ecc., ed un Ribichesu, che ebbe fama come il miglior artefice di serrature con segreti suoi speciali.

Falegnami

Erano chiamati mastros de linna, o mastros d’aschia (ascia). Nelle Ordinazioni del 1381 è prescritto per loro che ogni mastru busulatu (di matricola) abbia in estate 5 soldi al giorno, e dalla festa di Ognissanti fino a tutto Marzo, soldi 4. Ogni altro falegname percepiva invece 4 soldi al giorno nell’estate, e 3 soldi nell’inverno. I Consoli dovevano comporre le contesta-zioni sul lavoro eseguito.

Non erano assegnati prezzi di sorta ai vari lavori dei falegnami.

Nell’Ordinazione del 1538 troviamo alcune istruzioni. Chi faceva lavori in bottega (faena) e cioè cassones, armaris, listonats, tinell, ben aplanat, a menut (piallato finamente). Nel far fenestres, portes de cambres o de carreres (porte di camera o porte che davano sulla via) il falegname doveva parimenti usar legno traversat, ben piallato, ed esente da nodi. E qui si davano minuziose istruzioni sulle dimensioni e sul modo di eseguire i diversi lavori.

Nel 1596 i sovrastanti eletti per i falegnami erano: Gianuario de Zillara, Gio. Battista Capita, Baingio Bonfant e Giovanni Deliperi.

Nuovi Statuti per i falegnami furono compilati nel Settembre del 1805; ma di essi parleremo all’articolo Gremi.

Anche i falegnami furono divisi in due categorie: quelli dell’arte suttile, e dell’arte russa (grossa). Quest’ultimi costruivano carri, carrettoni, aratri ed altri arnesi e utensili, mentre i primi lavoravano in ebanisteria, un’arte per la quale si chiedeva abilità, genialità e precisione.

L’Angius nel 1848 attribuisce la loro abilità e il buon gusto che li distingueva ai viaggi a Parigi, fatti fare ai giovani prescelti perché vi si perfezionassero nel loro mestiere. «I depositi di mobilia che sono a Sassari (egli scrive) nulla invidiano a quelli del Continente».

Dal 1848 ad oggi l’arte della lavorazione del legno ha progredito in Sassari più di qualunque altra; e ne fan fede i lavori dei fratelli Clemente e di altri bravi operai sassaresi, che lavorano con precisione e buon gusto.

Le arti o mestieri affini ai falegnami erano quella dei Tornitori, degli Intagliatori, dei fabbricanti di forme di scarpe, e più quella dei seggiolai e dei costruttori di molini. Nel 1848 non vi erano che due o tre specialisti di queste diverse categorie; i più numerosi erano i seggiolai, che ne contavano sei.

Muratori

Negli statuti sono chiamati Mastros de muru, e nel 1374 la loro paga era stabilita in 4 soldi al giorno durante l’estate e in 3 soldi nell’inverno. Anche per loro, per ogni lavoro d’importanza, si ricorreva al criterio dei soliti Consoli.

Sovrastanti dei muratori (murayolos) nel 1557 erano: Mastro Bernardo Dalezio, Mastro Nicola de Saguzu, Mastro Baingio Casazua. Nel 1558 Mastru Vincenzo Casarazu, Francesco Pilinguer, Nigolla Bilingueri (carratore di pietra), Mariano de Silvanu, Loigu da Pila, Gio. Andria Ays.

Nel 1596, nella maestranza de paleta, trovo Leonardo Scanu, Gianuario Scanu, Giovanni Calasari, Giovanni Derio, Girolamo Deriu e Antonio Pala.

1770 (1° Maggio). – Una curiosa supplica dei muratori al Viceré porta questa data. I supplicanti espongono che «compiono senza mercede alcuna l’accomodamento delle strade pubbliche fuori città, i Crocifissi (segnali pel gettito) ed altri lavori, a cui vengono chiamati; hanno di recente rifatte le strade a Scala di Ciogga; sono chiamati a puntellar con travi, ad assicurar macchine e fabbriche, che minacciano rovina, e vieppiù in occasione d’incendi, eseguendo tutto gratis e con pericolo evidente della vita. Essendo i ricorrenti povera gente, che vive dal proprio lavoro, ed esposta al pericolo più che gli altri artigiani, supplicano di essere esonerati da tali comandamenti gratis, e di essere pagati ogni qualvolta si richiede l’opera loro». Siffatta supplica farebbe supporre che i muratori fossero calcolati come una classe inferiore. La supplica è firmata da Gavino d’Asina, Ignazio d’Asina, Vincenzo Casamilia, Antonio Gavino Iddau, Vincenzo Carta, Michele Carta, Antonio Curgiatu, Gio. Andrea Carta, Gio. Batta Funtana, Salvatore Solinas, Paolo Maria Solinas, e più muratori della città. Nel 1848 i muratori erano in Sassari oltre 600, non compresi i mestieri affini, come per esempio i tagliatori di pietra e i calcinatori, in tutto circa 60.

Ci dice l’Angius che la muratura antica era molto debole e difettosa, e che il ceto dei muratori cominciò a lavorare bene soltanto dacché fu stabilito nella città l’Ufficio del Genio, in occasione della costruzione della grande strada nazionale.

Col sorgere dei nuovi fabbricati delle Appendici, crebbe il numero dei muratori, come crebbero a centinaia le case nella città nuova; in seguito però, i lavori diminuirono e molti muratori si trovarono a disagio e in miseria.

Più volte spinti dal bisogno i muratori disoccupati si presentarono in massa al Municipio per chiedere lavoro, come avvenne nel 1848, nel 1850, e in anni seguenti fino al 1890 e ai nostri giorni. E’ questa infatti la classe che in periodi di penuria e di disagio economico conta il maggior numero di disoccupati.

I muratori sassaresi sono intelligentissimi, e lavorano con molta precisione. Molti di essi divennero buoni impresari o imprenditori e riuscirono ad arricchirsi, con la capacità acquistata nel mestiere e l’intuito del tornaconto della loro industria.

Sartori

Chiamati sastres e mastros de pannu, e draperi.

Nelle Ordinazioni del 1381 sono assegnati i prezzi per una gunedda de homine, e de femina, increspada; palandra, manteddu assa Castelana, o fronimentu de fresas, arguentu o perlas.

In un’Ordinazione del 1530 si indicano i prezzi di una crupa (?) di broccato guarnita di seta; di una cappa di broccato senza guarnizionesajo di brocatcappa lombarda, di velluto e di raso; sajo e casaca di velluto, saya di broccatofaldetes de contrayjaquet de contraygipò di velluto, di raso, di fustanu, di broccato, capus balandrancapot ab capilla fronsida, capotmanta di brocat e d’altra stoffa, gonelles de serventes, sayer, barrigno, loba, gramalla, barret,capel, ecc. ecc.

Nel 1557 erano soprastanti per i sarti: Mastru Pedru Deliperi, Mastru Pedru Pilo, Mastru Pedro Salvanyolu, Mastru Girolamo Gozarellu.

Vi erano anticamente non pochi artigiani che cucivano e lavoravano riccamente i bei cuglietti (collettus) portati dai contadini, ma nel 1848 erano già rarissimi.

I sartori davano anch’essi l’esame nel Palazzo Civico alla presenza del Segretario di città, Esaminatori, Eletti, padrini, e pagavano prima del 1781 un quarto di scudo al segretario, e poi mezzo scudo.

Negli anni 1780 e 1783 erano sarti in Sassari: Diego de Santu, G. Battista Usai, Pietro Fundoni.

Dal 1791 al 1800: Sancis Francesco, Antonio Gallo, Giuseppe Cadoni, Pedro Tentorio di Milano, Francesco Serra, G. Battista Solinas, Antonio Leoni, Filippo Macioccu, Marino Corso, Soro, Padiglia.

Dal 1800 al 1831 Antonio Vincenzo Martinez, Roggio, Ambrogio Balvinzoni, corso, Bartolomeo Durello, Giacomo Rugliano, corso, Gian Paolo Sinibaldi, corso, Giacomo Domenichino di Verona, Carlo Landò di Genova, Salvatore e Giovanni Maria Cordella.

Dal 1833 al 1841: Antonio Luigi Cadoni, Nicolino Dettori, Gio. Maria Rugiu, Denina, Doro, Ferrero piemontese, Gavino Schintu, Raimondo Debernardi, Nicolino Tentorio, Secci Giovanni di Cagliari.

L’esame consisteva nella confezione di due o tre indumenti: un vestito di spada, un vestito di modacappa e sottanaabito di borghese, flachina di moda, abito di società, flacco di spada.

I sarti dell’arte grossa cucivano vesti sardesche, brache, calze, borzacchini, giubbe e cappotti di orbace, ed erano in gran numero, poiché allora molte classi operaie vestivano in costume sardo. Nel 1848 tali lavoranti diminuirono di colpo, poiché queste vesti si facevano più comunemente dalle donne dei villaggi e specialmente di Osilo.

Scrive l’Angius nel 1848: «I sarti d’arte gentile che lavorano oggi colle foggie francesi sono in gran numero; tra i quali alcuni che, avendo lavorato nelle più celebri botteghe di Francia e d’Italia, servono in modo soddisfacente».

L’Angius enumera nel 1848 quaranta botteghe circa di sarti, con quasi 100 lavoranti, 60 garzoni e 40 donne.

Nei tempi nostri i sarti più in voga furono: Rogliani, Debernardi e Noce. In seguito il numero dei sarti lavoranti andò diminuendo con l’apertura di molti magazzini di abiti fatti. Oggi fra le più eleganti e rinomate sartorie primeggiano ancora quelle dei fratelli Ferrucci e Tomè. La fama va attualmente al magazzino che fornisce l’abito, non più al sarto che lo confeziona come nel passato.

Calzolai

In spagnuolo Sabaters, in sardo Calziaraios. Anche fra questi vi erano gli artigiani che appartenevano all’arte sottile e quelli che appartenevano all’arte grossa.

Nell’Ordinazione del 1381 si fissa il costo delle scarpe d’uomo e di donna, di suole, runcales, calcangiles, secondo il grado. Lavorava col mastro il zeracchu minore.

Maggiori particolari si trovano nell’Ordinazione del 1564 e 1565, di cui riparleremo all’articolo Gremio. Anche per questi artigiani si danno istruzioni e si fissano i prezzi della mano d’opera: «Per les plantoses, larghe due o tre dita, 20 soldi il paio, conforme alla pratica antiquissima; di tre dita, 9 soldi; di 5 dita, 10 soldi. Le sabates di montonina 3 soldi, e di cordona 3 soldi e 6 danari. L’ufficio di Conzadores e menador sia caricato agli stessi calzolai».

Nel 1557 i sorveglianti calzolai dell’arte sottile erano: mastro Andrea Rumanella, Baingio Iscarpa, Baingio Mannu, Leonardo Ruju, Baingio Brumasellu. E per l’arte grossa: mastro Martino de su Brunnu, Pedru Ruina, Luca de Serra, Andria Canale, Proto Folargiu, G. Battista Anguentargiu, Giovanni Daquena, Gio. Elias Tavera, Gio. Agostino Farina, Giovanni Mia, Antonio Sartena.

Mastri Obrieri dei calzolai erano nel 1564, Francesco Figone, Baingio di Xillura, Josa de Vico y Bologna e Leonardo Paduano Saba.

Anche i calzolai, come i ferrai, i sartori e i conciatori, davano un esame nel Palazzo Comunale, dietro pagamento di un quarto di scudo alla segreteria, 10 soldi di Tariffa, e mezzo scudo ai Mazzieri. Fra i calzolai nel 1753 si notano questi nomi: Antonio Manca Carta, mastru Stefano Marqueto, mastru Nicolò de Masia, M. Nicolò Demurtas, mastru Angiolo Maria Espada, mastro Melchiorre Capiò di Mondovi.

Dal 1780 al 1798: Raimondo Dais, Francesco Qualè, francese, Antonio Luigi Martineto, Giorgio Magliona, Luigi Tola, Gavino Pittalis.

Dal 1802 al 1840: Madrau, Delitala, Salvatore Tedde, Baingio Tocco, Devilla, Pirino, De Calvia, Arras.

Dal 1840 al 1853: Ant. Francesco Massidda, Ganadu, Carta, Saba, Ant. Gavino Mereglia, Ant. Francesco Curaduzza, Pinna, Fiori.

All’esame dovevano presentare scarpe da uomo e stivaletti da donna.

Apprendiamo dall’Angius che nel 1848 erano a Sassari 360 calzolai di cui 160 mastri e 200 lavoranti e che i maestri lavoravano bene, come nel continente.

Ancor oggi abbiamo degli ottimi operai, sebbene in numero assai minore per essere il lavoro diminuito in seguito all’impianto di tante fabbriche che provvedono scarpe di ogni genere ai molti negozi di calzoleria i quali fanno agli artieri, anche bravissimi, una insostenibile concorrenza.

Il ceto dei calzolai fu nei tempi antichi uno dei meno quieti e tranquilli.

Conciatori e Minadores

conciadores e i minadores erano in antico separati, e per ciascun mestiere si erano fatte nel 1381 due Ordinazioni a parte. Davansi per i primi i prezzi delle diverse peli conciate e si chiedeva il giudizio dei Consoli in caso di contestazione.

Per i secondi era prescritto che esercitassero la loro arte bene e senza mancamentu, e si stabiliva il prezzo da percepire per minare una pelle di bue, di trailla, caprolu, becho, capra, ecc. ecc.

L’arte del conciatore era tenuta in molta considerazione fin da tempi antichi.

Nel 1532 fu stabilito, che nessun conciatore, né minador, potesse comprare alcun genere di pelle o cuoio, sotto pena di L. 10, e che per conciare un cuoio grosso non potesse chiedere più di 9 soldi.

I sorveglianti conciatori nell’anno 1557 erano: mastro Cosso Deu, Lorenzino Troncu, Baze, Baingio Dareluzu, Belardino Pilo, Girolamo de Assaldu.

Nel 1596 sono conzadores Girolamo Via, Priamo Carola, Matteo Dessu Frassu.

Anche nelle Prammatiche del 1633 vi è un titolo che riguarda i conciatori, con l’ordine per la città di eleggere ogni anno due artigiani abili per sorvegliare ed esaminare i conciatori, e visitare le tine.

Anche gli esami per i conciatori si fecero sempre nel Palazzo Comunale, fino al 1848, e il candidato presentava alla Commissione degli esaminatori qualche cuoio o pelle di bue, vitello, capra ecc. conciati a tutto mirto.

Ed ecco anche un elenco di abili conciatori.

Dal 1780 al 1799: Giovanni Pes Colombano, Giuseppe Iddau, Lorenzo Brandino, Giuseppe Mundula, Proto Ledda, Gio. Antonio Pinna, Domenico Rosas, Gavino Agnesa, Salvatore Dau, Salvatore Iddau.

Dal 1800 al 1813: Domenico Mela minatore, Sanna, Salvatore e Giuseppe fratelli Dau, Zirolia, Petretto, Scano, Salvatore e Giuseppe Iddau, Salvatore Dau.

Dal 1817 al 1848: Salvatore e Giuseppe Iddau, Dussona, Marina, Carta, Petretto, Pilo, Matteo Furesi, Baingio Mannazzu, Proto Diana, Demurtas, Salvatore Russu, Giuseppe Tedde, Camboni, Coraduzza.

L’arte della concia continuò ad essere esercitata con riputazione a Sassari, e ne abbiamo fatto menzione nell’industria delle Concie, dando lode a Salvatore Dau, sassarese benemerito, che per la costanza e l’abilità seppe meritarsi dal Sovrano l’onorificenza di Cavaliere del lavoro.

Argentari ed Orefici

Gli argentari erano in gran voga fin da tempi antichissimi, poiché la vanità umana, e quella femminile in specie, appartengono ad ogni secolo e ad ogni popolo.

Nell’Ottobre del 1331 si ordina agli argentari di bollare gli oggetti di oro e di argento presso gli uffici di bollo istituiti in Cagliari, Sassari ed Alghero.

Il primo Luglio 1636 si fa una Crida per proibire a tutti gli argenters sassaresi e forestieri di negoziare o di vendere alcuna sorta di argento senza il marco col sell solito (sigillo solito del Comune).

Per disposizione Viceregia del 1822 si concede in Sassari all’argentaro Raffaele Alfani l’annuo stipendio di Ls. 27.10, coll’obbligo di recarsi in Municipio dietro chiamata del Padre di Orfani per saldare gli orecchini ai piccoli spuri.

Per quest’arte non son stabilite tariffe, solamente è detto che non si poteva marcare oro né argento se non col marco ordinato dal Comune; né si potevano vendere oggetti d’argento e d’oro senza che prima non fossero stati visti dai signori del Consiglio, sotto pena della multa di 50 lire di Genova. Ogni argentaro doveva depositare a titolo di garanzia al Comune L. 100 di Genova, e prestare il giuramento di lealtà.

Gli argentari, nei tempi antichi, avevano le botteghe nell’attuale via Rosello, la quale fino al 1848 conservò il nome di Via Argenteria.

Nei tempi recenti si ebbero e si hanno in Sassari molti orefici e argentieri e sono ben noti i negozi Merella, Pinna, Manconi, Ghera, ed altri minori. Oggi una delle più rinomate oreficerie è quella della Ditta Sechi Pieroni.

Corallari

L’arte, o meglio il mestiere di pescatori di corallo, era in antico disciplinata in Sassari dal Magistrato Civico e dal Podestà. Un’Ordinazione del C. M. del 22 Novembre 1531 impone a tutti los strangers, que corallaran y pescaran pesca, di pagare ciascuno alla città un ducato per far fronte alle spese di custodia e manutenzione della Torre dell’isola Piana.

Trovo un’altra Ordinazione del 12 Settembre 1555 che ordina su exerciciu et arte de corallare, sotto il Consigliere Capo Dott. Girolamo Araolla e gli altri consiglieri.

Si ordina, che la barca che pesca 125 libbre di corallo, abbia dal mercante 20 scudos de oro largus de donazione, di cui 10 scudi al padrone, 6 al puperi (?), 4 a su megere. La barca che ne pesca 175 libbre abbia dal mercante 36 scudi d’oro, ecc.; la barca che ne pescherà 200 libbre abbia 50 scudi.

Nessun coralladore poteva domandare né ricevere dal mercante maggior quantità di corallo di quella denunziata al Notaio, il quale doveva fare atto pubblico con giuramento, sotto pena di 200 ducati d’oro, dei quali metà toccava all’accusatore e metà al Giudice. I coralladores erano obbligati a corallare nei luoghi indicati dal mercante, cioè o nel Monte Giradu, o nell’Asinara. Che i mercanti paghino il corallo a 20 soldi e 6 denari a tutta la barcata. I coralladores erano obbligati a consegnare al mercante tutti i coralli che avevano promesso di dare alle chiese, o ad altri luoghi pii. Non potevano vendere né donare a chicchessia corallo, né terrallos, sotto pena di 50 ducati di multa. Nessun coralladore poteva abbandonare la sua barca per recarsi a Sassari o in altri luoghi, per nessuna causa, tranne che per malattia e durante le feste di Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini e Mezzoagosto, sotto pena della multa di 50 ducati d’oro.

Nessuno poteva andare a fare altro lavoro in terra, salvo che non fosse a benefizio della propria barca. «Che in base alla deliberazione del Consiglio a nessuno dei corallari, domiciliati a Sassari, sia permesso andare a corallare, né associarsi a stranieri non domiciliati a Sassari».

Pare dunque che molti sassaresi fossero applicati a questa pesca, la quale andò a mano a mano diminuendo, forse per la grande concorrenza della città di Alghero e di Bosa. È da notarsi che il corallo era in passato molto pregiato dalle donne; se ne facevano collane, orecchini ed altri oggetti di ornamento.

Artigiani diversi

Oltre le sei arti principali di cui abbiamo dato un cenno nell’Ordinanza di Ugone di Arborea, nell’anno 1381, ve ne sono comprese altre due per le quali si fissa pure il prezzo della mano d’opera; esse sono: l’arte dei tessitori e quella degli arrotini.

Per i tessitori (tesidores) si registrano i prezzi per tessere una canna di tela sottile, di fustianu rigadu o pilosu, di tiagiascortinasguardanapu (asciugatoio), furesi (orbace) ecc. Più tardi quest’arte era esercitata dalle donne che tessevano in casa, e nel 1848 ve n’era un buon numero.

Gli arrotini (sos qui arrodant ferramenta) dovevano percepire 4 danari per affilare una falce grande; 3 danari per un distrale, e 2 danari per un pudaiolu.

Dopo queste due arti, ne abbiamo anche altre, per cui vennero pure decretate Ordinazioni nel secolo XVI.

Noto le seguenti secondo l’ordine cronologico delle Ordinazioni.

Mastri di Molini (mestres de molins)

Ordinazione del 1533. Per una mola di sopra o di sotto Ls. 5; per la lanterna Ls. 1; per mettere i denti nella ruota interna Ls. 1. Proibizione di prendere acqua salvo che dopo calato il sole fino al sorgere del giorno.

Pellicciai (pelicers)

Nel 1533 erano priori e Majorals dell’Officio: Don Francesco Martinelo e Mastro Tomaso Dequena. Anche questi artigiani non potevano aprire bottega senza aver dato il loro esame, né licenziare un operaio senza averlo avvertito 20 giorni prima.

Sorveglianti dei Pellicciai, nel 1596, erano Cosimo de Jana e Baingio de Sani.

Bottai (boters)

I prezzi segnati nell’Ordinazione del 1534 riguardavano cerchi di botte, fondi di botte; le doghe, le tine ecc.

Nel 1557 los butajos avevano per sorveglianti mastru Perrinu e mastro Francesco Ferra.

Tornitori

Era un mestiere esercitato privatamente, ma poi gradatamente questi artigiani diminuirono, tanto che nel 1848 vi erano a Sassari due sole botteghe del genere.In seguito i torni si tennero negli stabilimenti per la lavorazione del legno.

Pittori

I Consiglieri del 1561 per reprimere molti abusi lamentati, e per poner bonu ordine in sos pintores ordinarono: che nessuno che impara l’arte del pittore possa aprir bottega, né dipingere, se prima non è esaminato dai Majorals ed ammesso come abile, salvo multa di 50 ducati. I giovani, inscritti in detta arte non possono venir accettati da altri maestri, se prima non hanno ultimato il lavoro in corso presso il maestro che intendono lasciare. Siccome molti giovani rubano ai maestri e ai padroni pinzelloscoloresoroarguentu per venderli, così si proibisce a chicchessia di comprare da essi pennelli, colori, gesso, retaulosobrados, ecc.

Barrileros

Erano chiamati così i fabbricanti di barili. Vi sono Ordina-zioni che li riguardano nel 1564, nelle quali si citano le precedenti del 1542 e del 1551. Questi artigiani erano piuttosto numerosi, perché facevano molti barili per i portatori d’acqua e per i portatori di vino oltre che per l’olio.

Per i fabbricanti di calze, soffietti, guarnizioni e candele io non trovo alcuna Ordinazione, ma qualche nota che io riporto a volo.

Calzettieri (calziteris e calceteros)

Fin da tempi antichi erano molto in uso le calze anche perché gli uomini non portavano i calzoni lunghi, ma corti al ginocchio; e perciò erano numerosi i fabbricanti di calze, che in gran quantità occorrevano tanto al ceto dei nobili come a quello borghese. Nel 1557 erano sopraintendenti di quell’arte mastro Giovanni Deliperi, mastro Matteo Daquenza e mastro Michele Restigazzo. Questi operai appartenevano alla Confraria dei Calzolai.

Da lungo tempo l’arte di far le calze fu lasciata alle sole donne e oggidì questo lavoro è quasi ridotto a nulla, perché tutti acquistano le calze fatte a macchina, diffuse e usate dappertutto.

I sovrastanti dei butazos (soffietti) erano nel 1596 Bertolo Moraxa, Gio. Angelo de Subastu e Guglielmo De Mosano. Probabilmente forestieri.

Più tardi quest’arte fu esercitata dai fabbricanti di setacci e d’ombrelli, molti dei quali si arricchirono. Anch’essi per la maggior parte non sardi.

I fabbricanti di guarnizioni, chiamati guarnimenteris, avevano per sovrastanti ne1 1593 Martino de sa Texo e Miqueli Septima.

Candelai (veleros)

Erano molto sorvegliati; e per essi si ha anche un articolo nelle Prammatiche del 1633 col quale si prescrivono le norme della fabbricazione, della compra e bontà del sevo

Sellai (sedayos, silleros)

Da tempo antico vi furono in Sassari dei sellai e pare si dividessero in due categorie; infatti nel 1557 i loro sovrastanti erano mastro Parete de San Germano e mastro Francesco Sanna; quelli del 1596 erano: per le selle italiane (sillas italianas), Nigola Bo, piacentino, e per le sarde (sillas sardiscas) Baingio Spanu e Giovanni Deliperi. Al ceto dei sellai e falegnami appartenevano pure i Basters (fabbricanti di basti), e per tutti nel 1538 eravi un’Ordinazione.

L’arte continuò senza interruzione, poiché anche a Sassari come dappertutto in Sardegna gli uomini andavano molto a cavallo e le selle erano necessarie.

Armaioli

Pare che nel passato le armi fossero eseguite dai fabbri ferrai dell’arte fina.

Abbiamo nel 1596 i fabbricanti di spade (spadaios) i quali avevano per sovrastanti Francesco Ximenes e Lorenzo Brigolla. Facevano certamente le spade che servivano ai nobili, agli avvocati, ai magistrati e ai giovani eleganti.

Eranvi pure i balistreris (fabbricanti di balestre) ed in un’Ordinanza dei ferrai del 1561, vi figurano mastru Francesco Damasco, mastro Juannot Candel e mastro Giovanni Mansanet. Più tardi vennero gli armaioli fabbricanti di fucili e di pistole, dei quali nel 1848 se ne contavano a Sassari una diecina. Oggi i fucili vengono belli e fatti dalle fabbriche d’armi tanto diffuse e perfezionate in Italia.

Ottonai

Appartenevano anticamente alla Confraria dei fabbri ferrai. Nel 1848 erano in Sassari in numero di 18 fra maestri e lavoranti, ed eseguivano candelieri, posate, speroni, campanelli e simili, e talvolta fondevano anche campane per qualche chiesa.

Stagnari

Confezionavano oggetti di stagno e di latta come piatti, bottiglie, bicchieri, ecc. Nel 1848 esistevano in Sassari solo sei botteghe del genere con una ventina di lavoranti.

Calderai

Nel 1848 se ne contavano dieci o dodici, poiché di tanto in tanto comparivano in Sassari i ramieri ambulanti venuti dal continente i quali vagavano per l’Isola, offrendo l’opera loro. Anticamente i fabbricanti di paioli abitavano tutti in quella stretta via, che ancora oggi è detta di li Raminaggi.

Orologiai

Nel 1545 era noto tra gli orologiai Baingio Piquer, che continuò l’arte del nonno, trasmessa poi ai nipoti.

Nel 1636 erano noti: Gio. Antonio Biquisa, che succedette a Lucas Lopino, morto in tal anno.

Dal 1775 al 1782: Giuseppe Luigi Santi e Stefano Villino (Viglino) sono notati come orologiai.

Nel 1780 era rinomato relojiero Estevan Villino o Viglino.

Nel 1848 vi erano a Sassari soli tre orologiai, il migliore dei quali e più rinomato era Giacomo Pieroni, la cui casa fondata nel 1821 esiste anche oggi, tenuta ed arricchita dal nipote Giovanni Sechi Pieroni; ma anche il Paolo Pinna ebbe fama di abile orologiaio. Nel 1832 vi fu una gara di orologiai per il mantenimento degli orologi pubblici. Questi erano però eseguiti, almeno in massima parte, dai bravi fabbri ferrai di arte fina, e tra essi ebbero fama i Castiglia, il Solari e qualche altro.

Barbieri

Un articolo degli statuti del 1294 prescriveva che nessun barbiere potesse radere la barba in domenica e in altre feste solenni, tanto in piazza e nella pubblica via, quanto in casa propria o in casa altrui. I barbieri crebbero sempre di numero; specialmente nei tempi antichi, i signori non si radevano mai da sé, ma chiamavano a casa i parrucchieri. I nobili e i feudatari avevano ciascuno il proprio parrucchiere. Anche nei tempi moderni l’arte loro è così ricercata che vanno sempre più facendosi numerose le sale di toeletta e i cosidetti saloni.

Tegolai

La fabbricazione delle tegole e dei mattoni era esercitata in Sassari da numerosi artigiani, e per essa il Municipio eleggeva come per gli altri mestieri i sovrastanti. Nel 1596 questi erano Agostino Cagnazu, Antonio Niolu, Gio. Battista Tavera e Giovanni Niolu.

Mugnai

Furono sempre numerosi essendo così indispensabili per la macinazione del frumento; ma furono sempre una categoria di operai prepotenti e rissosi, indomabili in ogni tempo. Si ha un’Ordinazione Municipale del 27 Luglio 1561 che li disciplina. Nessun mugnaio (molinargiu) di Sassari poteva macinar grano né orzo per conto di un forestiero, se prima non erano stati serviti i clienti di Sassari, pena 25 lire di multa. Non pagandole entro 15 giorni il mugnaio doveva essere frustato pubblicamente (siat azotadu). Nessun mugnaio poteva vender farina, se non in casa del padrone del molino, né esigere da chi dava a macinare niente più della decima, cioè soltanto 20 lire di farina per ogni rasiere di grano. «Non possa tener crivello né setaccio (quiliru nen sedatu) nel molino o in altro luogo fuori città, e così pure sia obbligato di tener la carretta (sa carrita) scandagliata e giusta». «Che nessun mugnaio possa accogliere alcuna persona, nel molino, neppure per dormirvi».

E tutto ciò sotto pena di sferzate in pubblico.

Oggidì il numero dei mugnai è molto limitato poiché il lavoro che essi facevano è fatto dai molini a vapore che dappertutto si sono impiantati.

Acquaioli

La loro origine è incerta; alcuni li credono provenienti dalla Corsica.

Non trovo ordinanze che li disciplinano.

Nel 1848 erano una cinquantina, e si servivano di un centinaio o poco più di asinelli.