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Illuminazione antica

Il tizzone

Nei tempi antichi (e nei paesi più civili del mondo) non si usavano fanali nelle pubbliche vie. Si credeva bonariamente che i cittadini non ne avessero bisogno, poiché all’Ave Maria tutti dovevano rincasare, lasciando che i soli cani vagassero per le vie dopo quell’ora sacra. Quando però un cittadino era obbligato ad uscir di casa per un divertimento, o per altro urgente bisogno, doveva munirsi di un tizzone acceso, a seconda la classe sociale cui apparteneva.

Di quest’uso si ha menzione negli Statuti del 1294. Dopo il terzo squillo della campana di città era proibito ad ogni cittadino di attraversare le vie senza fuoco, o senza lume, «e ciò s’intende per gli uomini, e non per le donne». – Così era detto nel capitolo, forse per evitare le audacie dei cacciatori di femmine, oppure per favorire gli amori di due colombi innamorati.

Né si creda che le altre città di Europa fossero in condizioni migliori di Sassari. Basti dire che a Parigi, nel 1524, ogni abitante era obbligato, per Decreto Reale, di esporre un lume a quelle finestre della propria casa che guardavano sulla via pubblica. Ai lumi delle case private si sostituì nel 1558 un vaso di ferro collocato sulla sommità di un cavalletto, in cui bruciava un po’ di stoppa intrisa di grasso o bitume, la quale mandava un denso fumo ed un fetore insopportabile.

Fanaletti e torcie

Al primitivo tizzone (usato anche oggidì in molti villaggi) tennero dietro i fanaletti a vetri e le lanterne, che ognuno portava seco, o li faceva portare dal servo, quando usciva di casa dopo l’Ave Maria. Le signore, od i signori, che si recavano al teatro o ad una conversazione, venivano scortati da due o più servi, che portavano i ceri accesi, come se si trattasse di accompagnare il Santissimo Viatico. – Daremo alcune notiziette al riguardo.

1635 (Gennaio). – Il Consiglio Comunale delibera di acquistare due torcie di cera per accompagnare i Consiglieri ed i Padri della Compagnia di Gesù, quando la notte fanno seduta per trattare pratiche riguardanti le cattedre e la Università.

1650. – Si ordina di pagare 12 soldi ai dodici mignons (ragazzi) scelti per portare le torcie all’entrata in città di S.E. il Viceré Cardinale Trivulzio. (Pare ch’ei fosse arrivato a Sassari dopo l’Ave Maria).

1720. – Nella nota di spese che si fecero nell’Agosto per il passaggio della Sardegna dalla Spagna alla Casa Savoia, figurano Ls. 17 e 15 soldi per sei torcie da tenere accese la notte davanti al ritratto del Re, e per quattro altre destinate ad accompagnare le signore al serao (soirée) che doveva tenersi nel Palazzo del Governatore.

E con siffatte torcie e siffatti fanaletti si tirò sempre innanzi sino allo scorcio del secolo XVIII.

Lanternoni ad olio

Quando nell’Aprile del 1799 arrivò da Cagliari il Duca di Monferrato, fratello del Re, destinato a Sassari come Governatore, in questa città si verificò un notevole progresso di illuminazione.

Non già spontaneamente (chi poteva pensare a tanto lusso?) ma per ordine dello stesso Duca, si deliberò di collocare nelle vie pubbliche due fanali da tenere accesi la notte: uno nel Civico Palazzo, e l’altro nei magazzini della Frumentaria.

Dunque, tutta la illuminazione di Sassari, nel Gennaio del 1800, consisteva in tre soli fanali, compreso quello che brillava nel portico del Reale Palazzo, di cui la storia non parla. Era questo un avviamento alla civiltà, perché Sassari entrava nel secolo dei lumi ad olio!

Fanali ad olio

Malgrado quel prologo luminoso, dovettero trascorrere oltre venti anni prima di vedere illuminate le nostre vie.

L’illuminazione notturna di Sassari si deve principalmente alle cure del marchese Vittorio Pilo Boyl, sempre vigile e vero benemerito del suo paese nativo.

Con Atto Consolare del 31 Luglio 1826 si propose al Viceré di permettere in Sassari l’impianto della illuminazione notturna, mediante l’accrescimento del Dazio imposto sulle carni di porco, di capra e di caprone, onde far fronte alla manutenzione dei fanali.

Non bastando questo cespite di entrata, si propose di far pagare il così detto diritto di Porta castello (il quale consisteva nell’esigere un soldo per ogni rasiere di grano e sei denari per ogni rasiere di orzo che s’introduceva dai villaggi) anche a coloro che godevano franchigia – cioè ai titolari per diritti feudali, ai parroci per decime, e agli ecclesiastici delle ville per frutti delle loro terre.-«Questi privilegi (diceva la relazione) troveranno un compenso al diritto che pagheranno, coll’aumentare il prezzo della loro merce (!) – e così la illuminazione notturna sarà all’ordine!».

Per essere illuminati si faceva qualunque sagrifizio!

Nello stesso anno 1826 si compilò dall’ingegnere Dogliotti il Capitolato di appalto, composto di 20 articoli. Si prescriveva di provvedere solamente olio d’oliva della miglior qualità, fino e lampante; a carico dell’appaltatore le scale, le cestelle, le spugne, i panni ecc., ecc.; i fanali dovevano spegnersi allo spuntar del giorno, e dovevano durare accesi dieci ore in media.

Era notevole l’articolo 9, il quale diceva: «per nove mesi dell’anno, ed esclusi quelli d’inverno, si ometterà la illuminazione negli otto giorni di plenilunio di ogni mese, formante un totale di 48 notti in tutto l’anno, pendente le quali i fanali rimarranno smorzati, ad eccezione di tre: quello del Palazzo Governativo, quello delle Carceri e quello della Casa di Città attualmente in costruzione, che saranno accesi ogni notte dell’anno, non ostante il plenilunio sovra citato».

In conclusione: in notte di luna i fanali non si accendevano, e l’appaltatore risparmiava l’olio!

Intanto si era speso un occhio per far venire da Genova 31 lanternoni; più di Ls. 372 per ferri dei fanali alla Bordier; un migliaio di lire per provvista d’olio e così via via. E in tal modo venne inaugurata la illuminazione pubblica, con gioia degli abitanti.

Stabilita la illuminazione nel 1826, venne subito nominato come direttore il Contadore civico Antonio Luigi David, al quale si assegnarono 150 scudi di stipendio annuo.

Nel Novembre 1828 si nominò una Commissione di sorveglianza per i fanali – ma il servizio lasciava molto a desiderare.

1830 (Ottobre). – Il Magistrato Civico è informato che i fanali si accendono troppo tardi e si smorzano troppo presto. Gli accenditori protestano perché manca l’olio, e il Municipio minaccia l’impresario.

1838 (Gennaio). – Si prega il Governatore perché ordini alle pattuglie di dare un’occhiata ai fanali, tenendo conto di quelli che vedono spenti, per riferirne la mattina all’Ufficiale di piazza.

1844 (Marzo). – Il Municipio scrive al Governatore che le pattuglie non sono credute (?), epperciò lo prega di far sorvegliare i fanali dai Reali Carabinieri, i quali godono la confidenza del pubblico.

1845 (Settembre). – Si pregano di nuovo i Carabinieri e l’Ufficiale di piazza perché sorveglino i fanali, e denunzino con un rapporto l’ora e il sito di quelli che vedono spenti.

1846 (Febbraio). – Si torna a raccomandare alle pattuglie tutte, ed a quella sovratutto dei Carabinieri, di segnalare i fanali spentimoribondi, o di luce non vivida e raggiante, promettendo loro il terzo delle multe denunziate. E insieme ai fanali, che sorveglino anche il gettito delle immondezze!

1847 (Febbraio). – Si tornano a pregare le pattuglie, perché guardino i fanali, e perché traggano in arresto quei fanalieri alla cui squadra appartengono i fanali spenti.

E così si venne al 1848, alla Costituzione, alla libertà nuova, sempre con quei fanali spenti o semispenti, sempre con le minaccie di arresto, sempre con gli appaltatori che bevevano la metà dell’olio.

E la Milizia della Nazione, le pattuglie, i Reali Carabinieri, gli Ufficiali di piazza, tutti con la consegna di guardare i fanali spenti o moribondi, ed anche le immondezze che cadevano dal cielo sotto aspetti diversi! Povera dignità militare, così avvilita ed umiliata!

Notizie a spizzico

La impresa della illuminazione notturna, per il triennio 1830-1833, venne deliberata a Giuseppe Zicchina per L. 15.390.

Nel 1837 l’impresa del triennio fu data a Gregorio Boetto per la somma di L. 15.980, poiché il Zicchina ne pretendeva 17.900.

La richiesta dei fanali va sempre aumentando. I cittadini erano impensieriti per i numerosi malandrini che approfittavano dell’oscurità della notte per rubare e per uccidere. Nel Febbraio del 1849, coll’autorizzazione dell’Intendente, si delibera di collocare appositi fanali nel vicolo dove seguì lo sparo di pistola contro il calzolaio Antonio Cossu. Altri fanali si collocano nella traversa dal Collegio alla fabbrica dei tabacchi, e nel portico di Turritana. Se ne vorrebbero collocare altri, ma le finanze civiche non lo permettono.

1851 (Dicembre). – Si domandano fanali dagli abitanti delle Appendici; ed il Consiglio delibera di estendere la illuminazione almeno nelle parti più abitate, specialmente nelle case del negoziante Tavolara, dei professori Crispo e Maninchedda e di Antonio Vincenzo Solinas. S’incarica lo stesso Tavolara per l’acquisto di quattro nuovi fanali da Genova.

1856 (Ottobre). – Essendo andato deserto l’appalto per la illuminazione, si delibera di tenerla in economia. Il personale sarebbe assunto dal Municipio, sotto la sorveglianza del vice Sindaco e del capo fanalista. Ogni fanalista aveva cura d’illuminare un rione con non meno di 20 fanali; lo stipendio assegnato ad ognuno degli otto fanalisti era di L. 2 al mese per ogni fanale, più L. 20 mensili per compenso della sorveglianza. In quest’anno i fanali ad olio erano 180.

1860. – Si appalta la illuminazione per un biennio. Base dell’asta: L. 6.500 per i 73 fanali del mandamento di Levante, e L. 10.500 per i 117 di Ponente. In totale 190 fanali, di cui 12 a quattro becchi, 61 a tre, 34 a due e 63 ad un solo becco. – Continuano le suppliche per accrescere il numero dei fanali, ma il Municipio teme la spesa.

1864 (Gennaio). – La giunta delibera di apporre due fanali ai due lati del monumento di Domenico Azuni.

Ei cittadini di Sassari, per quarant’anni, avevano assistito alla corsa giornaliera dei fanalisti, che attraversavano frettolosi le vie con la scala sulle spalle; avevano udito lo stridore delle catene che scorrevano nelle carrucole, facendo andare su o giù i pesanti lanternoni; avevano scansato di passare sotto i fanali, che gocciolavano con molta frequenza.

Venne finalmente il gas nel 1866, e tutti ne furono lieti: specialmente le pattuglie, i Carabinieri Reali e gli Ufficiali di piazza, i quali non erano più obbligati a sorvegliare i fanali spenti, né quelli moribondi!