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Palazzo provinciale

Nel passato

Lo abbiamo detto altrove: la prima sede del Governo, o del Podestà sotto la repubblica di Pisa e di Genova, fu nel Real Palazzo, che probabilmente è anche stata la sede fissa o temporanea dei Giudici Turritani. In seguito i primi Governatori aragonesi presero stanza nel Castello, e di qua passarono di nuovo al Palazzo Reale, abitato in seguito dai Governatori spagnuoli e piemontesi fino al 1848.

Quando il Palazzo minacciò rovina, i Governatori passarono nella vecchia casa di Piazza Azuni, già del Duca di Vallombrosa, ed in seguito acquistata dai fratelli Bossalino. Di là l’Intendenza (Governazione e poi Prefettura) fu traslocata al Palazzo Ducale, insieme agli uffici della Provincia.

Parve però poco decoroso che la Prefettura e l’Amministrazione Provinciale rimanessero locatori di un privato; e fu allora che si pensò alla costruzione di un Palazzo a spese della Provincia.

Preliminari

Non appena deliberata la costruzione del Palazzo Provinciale, il Municipio decretò la cessione gratuita dell’area nella piazza d’Italia (31 Dicembre 1872).

Il progetto ed il disegno del palazzo sono dell’ingegnere Sironi, riveduti e corretti dal comm. Borgnini, ingegnere Capo del R. Genio Civile. La spesa presunta per escavazioni, opere murali, volte, tetti, opere in legname e in ferro, ecc., era indicata in L. 510.000; in seguito, però con gli abbellimenti, decorazioni e mobili, il costo superò un milione.

Il 18 Ottobre 1873 fu collocata solennemente la prima pietra, presenti il prefetto Achille Serpieri, il sindaco Nicolò Pasella, e diverse altre autorità.

Il Palazzo Provinciale è grandioso; ha due cortili ed un giardino nella parte posteriore. La parte superiore in marmo, con la nicchia dell’orologio e le quattro statue, fu eseguita e collocata dall’impresa Daneri. L’orologio, provveduto dalla ditta Granaglia di Torino, costò oltre 3.000 lire, pagate dal Municipio, e cominciò a funzionare dal 10 Luglio 1880.

L’edifizio ha un piano terreno e due superiori: nel piano terreno sono gli uffici della Pubblica sicurezza, l’Ufficio postale e quello dei Telegrafi. Il primo piano è destinato agli uffici della Provincia ed all’alloggio del Prefetto; il secondo piano a tutti gli Uffici della prefettura.

Le diverse sale

Le sale, i gabinetti ed i corridoi, destinati agli uffici di prefettura nel terzo piano, sono comodi, arieggiati, ben distribuiti, ma nulla hanno di speciale.

Le sale del prefetto e quelle dell’Amministrazione Provinciale sono per la maggior parte dipinte dal pittore genovese Dechiffer, valente decoratore e specialista nel trattare i fiori; egli fu coadiuvato dal pittore Dancardi, a cui si devono gran parte delle riquadrature, dei paesaggi e degli ornati. Le sale più degne di nota sono quella da ballo e quella dei ricevimenti, arredate con lusso e decorate dal Dechiffer.

Bella fra tutte, elegante e civettuola, è la camera che ha il soffitto e le pareti decorati a fiori ed ornati di stucco; è chiamata la camera della Regina, perché vi passò una notte Margherita di Savoia, quando nell’Aprile del 1899 venne a visitare Sassari in compagnia del re Umberto. Gli eleganti mobili, eseguiti dallo stabilimento Clemente, sono degno ornamento a questa stanza graziosa.

Lo scalone

Lo scalone principale, ampio e grandioso, è a due rampe, con parapetto di marmo. La volta è riccamente decorata a rosoni di stucco. In una delle pareti venne collocata una grande lastra di marmo, in cui leggesi:

«Regnando Vittorio Emanuele II nell’anno III dalla italica unità, a maggior decoro della Provincia, il Consiglio, in seduta del 16 Dicembre 1873, deliberava l’erezione di questo edifizio. Erano consiglieri i signori comm. N. Pasella presidente; S. Pirisi Siotto vicepresidente; Marogna A. segretario; Madau; Manca Don Simone; Deliperi Misorro; G. Dettori; P.P. Flores; A.O. Otgiano; Francesco Rugiu; Gaetano Mariotti (Deputato provinciale)». Indi seguono i nomi degli altri 29 Consiglieri; ed in ultimo, quello del Prefetto avv. Achille Serpieri.

Salone delle sedute

Questo vasto salone, destinato alle sedute del Consiglio provinciale, è veramente sfarzoso per le sue preziosissime decorazioni, per il pavimento a mosaico, per gli arredi che lo compongono. A metà altezza della sala (che abbraccia i due piani) è una svelta galleria placcata in marmo, sostenuta da cariatidi rappresentanti dodici mori bendati, che posano sopra erme di marmo bardilio. I fregi delle imposte a vetriate, i banchi ed i seggi dei Consiglieri, vennero eseguiti con buon gusto ed accuratezza dallo stabilimento dei fratelli Clemente. La sala è illuminata a luce elettrica, a cominciare dal 1899.

Fin dal 1877 era stato bandito un concorso fra i pittori italiani per gli affreschi e le decorazioni di questo salone. Il concorso venne vinto da Giuseppe Sciuti di Catania, che nel suddetto anno si accinse all’opera. Descriverò brevemente le decorazioni e i tre quadri principali del valente artista.

Nell’affresco della volta (lunga circa 10 metri e larga oltre 9) lo Sciuti ha voluto ritrarre la sintesi della storia d’Italia, dall’epoca più remota fino all’entrata di Vittorio Emanuele in Roma.

Il quadro comincia da destra dell’osservatore. Sopra un cielo fosco, debolmente illuminato dalla luna, errano alcune nuvole che assumono figure umane, quasi per significare la notte dei tempi, l’epoca mitologica ed incerta. Seguono altri gruppi di figure allegoriche alludenti all’epoca cartaginese ed alla romana; indi il medioevo, la lotta tra il Papato e l’Impero; i Crociati; i Comuni italiani, e così fino a Vittorio Emanuele che entra trionfante in Roma. L’insieme del quadro è d’un’armonia e di un equilibrio meravigliosi.

Intorno al quadro, in grandi lettere d’oro, leggesi la terzina di Dante: La luce divina è penetrante – Per l’universo, secondo che è degno – Sì che nulla le puote essere ostante; – ed il verso di Virgilio: Jam redit et virgo – redeunt Saturnia regna.

Negli angoli del quadro sono quattro medaglioni in finto argento coi ritratti di Domenico Alberto Azuni, Giovanni Spano, Pasquale Tola e Giuseppe Musio.

Stupendi gruppi si ammirano ai quattro angoli della volta; essi rappresentano la Sardegna nei periodi cartaginese, romano, medioevale e moderno. Tra questi busti notansi alcuni bassorilievi in finto bronzo, raffiguranti la unione delle Provincie Italiane. In alto, dentro nicchie, le figure allegoriche, in grandezza naturale, della Giustizia, della Verità, della Fortuna, della Fama, della Sapienza e della Forza.

Negli spazi fra le aperture delle porte e delle finestre abbiamo altri bassorilievi in chiaroscuro, rappresentanti la Civiltà e la Barbarie, la Libertà e la Schiavitù, e gli stemmi delle città di Alghero, Nuoro, Tempio ed Ozieri.

Al di sopra del seggio presidenziale è il quadro in affresco rappresentante l’ingresso trionfale in Sassari di Gio. Maria Angioi, nel 28 Febbraio 1796. – Angioi si avanza a cavallo, seguito da miliziani e da molta folla; i canonici scendono dalla gradinata del Duomo per benedirlo. Sul davanti del quadro un gruppo di contadini armati di fucile fiancheggiano Gioachino Mundula, l’ardente tribuno che impugna una bandiera. Tra gli assistenti alla sfilata è un vecchio zappatore che si appoggia al bastone, ed una bella contadina di Bono che mostra al figlio l’Angioi, quasi orgogliosa di essere sua compaesana: nota indovinatissima, degna di rilievo.

Il quadro è bello… ma il bozzetto era migliore. L’artista dovette modificarlo per consiglio di Don Simone Manca. Il muro di cinta, aggiunto in fondo, toglie alla composizione molto effetto.

Le decorazioni del Salone, secondo il progetto, erano già ultimate nel principio del 1880, quando il Consiglio provinciale diede allo Sciuti l’incarico di dipingere un nuovo quadro in affresco, di fronte a quello di Angioi. Il soggetto prescelto fu la proclamazione della Repubblica sassarese nel 1294, e il valoroso artista catanese si accinse all’opera, decorando la sala con un capolavoro. Quando nel Luglio del 1881 il pittore De Sanctis visitò il salone, egli esclamò con ammirazione: « – Questo quadro vale quanto il palazzo».

L’affresco di Sciuti rappresenta il Consiglio Maggiore e gli Anziani del Comune, riuniti nell’antico Palazzo Civico, intenti alla lettura della Convenzione con Genova del 1294. Lo stemma di Sassari coi cavalli, apposto al di sopra del Podestà, è una stonatura storica, di cui l’artista non è certamente responsabile.

Oltre le suddette decorazioni, lo Sciuti fu incaricato di eseguire i trasparenti per le finestre del salone, ed anche questi hanno un alto valore artistico. Essi rappresentano: Eleonora d’Arborea sul trono; Amsicora sul campo di battaglia, dinanzi al cadavere del suo figliuolo Josto; un ballo sardo attorno ad un trofeo, dopo una sconfitta toccata ai saraceni; ed un sardo pellita che trascina per mano un cartaginese, ferito alla testa e da lui fatto prigioniero.

Sono questi gli affreschi e le decorazioni della Sala Sciuti, i quali attirano l’attenzione e le lodi di quanti visitano il Palazzo Provinciale di Sassari.