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Autorità e cariche

Il Podestà

Il Podestà era il Capo – una specie di Presidente della Repubblica. Esso non poteva essere un sassarese; si eleggeva fra i cittadini di Genova, e veniva mandato a Sassari, dove stava in carica un solo anno – precisamente come i Podestà che inviava la Repubblica di Pisa quando Sassari si reggeva a Comune sotto la sua protezione, e come sempre usarono tutte le Repubbliche di quel tempo; perocché un Podestà straniero presentava maggiore guarentigia, non avendo rapporti d’interessi e d’amicizia co’ cittadini.

Come abbiamo veduto nella Convenzione, il Podestà doveva condurre seco un coadiutore, un notaio, dieci donzelli d’armi, e vari altri famigli; di più aveva dritto a quattro cavalli, ed entrava in carica nella festa dei SS. Simone e Giuda, cioè il 28 Ottobre – giorno in cui nella Repubblica di Genova si solevano mutare annualmente i Capitani del popolo. – Su questa prescrizione fatta per Sassari dai Genovesi, il Tola dice:

«Ecco dunque il motivo per cui la solenne processione di San Gavino, (che si fa a Sassari) invece del 25 Ottobre (che è il giorno della festa) viene celebrata nel 28 Ottobre dedicato ai Santi Simone e Giuda. – I nostri antichi padri la ritardarono di tre giorni per solennizzare l’ingresso del Podestà in ufficio con una funzione religiosa. La pia usanza pervenne inalterata a noi, dopo quasi sei secoli dalla sua istituzione».

E noi quindi, ogni anno, ai 28 di Ottobre (quasi senza saperlo!) festeggiamo sempre la Repubblica Sassarese!

Il Podestà dipendeva in molti casi dal Consiglio Maggiore, e gli erano solamente riservati certi bandi dipendenti da repentini avvenimenti. Ad esso d’altronde appartenevano il potere giudiziario e l’eseguimento delle leggi – però le cautele per frenare ogni suo arbitrio erano molte.

Espongo ora il sunto di alcuni principali articoli degli Statuti che hanno rapporto col Podestà:

Art. 1. – Formula del giuramento del Podestà. Egli dinanzi al Consiglio Maggiore giura a sancta Dei Evangelia di disimpegnare bene e lealmente il suo ufficio, facendo giustizia a tutti, mannos e pizinnos (grandi e piccoli) ed attenendosi scrupolosamente agli Statuti del Comune.

Art. 6. – Si proibisce al Podestà di far notte fuori Sassari senza licenza del Consiglio Maggiore, e di mandare, in alcun caso, ambasciatori in nessuna parte della Sardegna e fuori.

Art. 8. – Egli non può metter mano su alcuno; e se ciò facesse, sia sindacato in lire 100 di Genova.

Si noti che il Codice, nelle pene che infligge, ha sempre per tutti la parola condannato – per il solo Podestà è detto sempre sindacato. Lo trattavano coi guanti, ma lo punivano come gli altri!

Art. 84. – Ogni Podestà è tenuto fare le correzioni e le nuove aggiunte al Codice, tre mesi prima di scadere dal suo ufficio.

E ciò perché il Podestà che sottentrava potesse giurare sugli articoli emendati.

Art. 95. – Il Podestà non può domandare in Consiglio, né in modo privato, alcuna masnada (uomini d’armi); e se farà contro, paghi lire 100. Se poi qualche Giurato, in Consiglio o fuori, facesse la proposta di aumentare la masnada, paghi lire 100.
contro

Questa legge – nota il Tola – era sancita per impedire che il Podestà potesse colla forza armata opprimere la libertà dei Sassaresi.

Art. 113. – Che il Podestà non possa fare più di quattro caccie all’anno; cioè, una in Carnevale, una a Pasqua d’Aprile, la terza in Maggio, e l’ultima in Agosto. E in occasione di caccia non si possa mai spendere dalla Cassa del Comune; e se il Massaiu (Tesoriere) facesse la spesa, paghi del suo.
Massaiu

Art. 114. – I Maggiori ed i Giurati della Romangia e Fluminargia non possano fare alcun presente al Podestà né ad alcuno della sua famiglia, salvo i soliti presenti delle feste del Natale, del Carnevale e della Pasqua di Resurrezione.

Art. 116. – Che nessuno della famiglia del Podestà possa accusare persona alcuna di malefizio; nel caso ciò accadesse, non valga la testimonianza, né l’accusato venga condannato.

Art. 118. – Che nessuna persona di Sassari possa pranzare col Podestà, salvo negli inviti che si fanno nelle due Pasque; e chi farà contro, paghi al Comune lire 100.
farà contro

Curiosi! non chi invitava, ma l’invitato si puniva! A nessuno certo in quei tempi saltava il ticchio di farsi invitare, o di accettare un pranzo dal Presidente della Repubblica. Quel pranzo gli poteva costare ben caro!

Art. 137. – Che durante l’ufficio, nessun Podestà possa uscire fuori del Distretto di Sassari per nessuna ragione con o senza la volontà del Consiglio; e se controviene a questa ordinazione sia sindacato in lire 100 ogni volta; e colui che andrà con esso paghi pure lire 10.
sindacato

Manco male! Questa volta almeno erano puniti insieme!

Art. 151. – Che il Podestà, il Cavaliere ed il Notaio non possano trattar negozi, né per conto proprio, né per conto d’altri; e se ciò facessero, paghino lire 500 di multa da destinarsi a benefizio del porto di Torres. E se qualcuno parlerà di tali affari col Podestà o in Consiglio, paghi a benefizio dello stesso porto lire 100.

Art. 152. – Che il Podestà non possa prendersi alcun arbitrio; stia alla Convenzione, altrimenti paghi lire 500; e 500 lire paghi pure chi osasse parlare di ciò in Consiglio. E le multe vadano a profitto del porto di Torres.

Art. 17. (Libro II). – Il Podestà sia tenuto a rendere ragione ad ogni persona tre volte la settimana, dopo richiesti a Corona i Giurati cui spetta.

Art. 131. – Che alcun Podestà, Cavalleri, Notaio, né alcuno di loro famiglia, o chi per essi, possa domandare, né faccia domandare in Consiglio, o fuori Consiglio, alcuna provvigione, o beni del Comune; e se ciò accadesse, senz’altro parlamento o sentenza, siano tolte dal salario del Podestà lire 200 per ogni volta – e il Cavalleri, Notaio, o alcun di loro famiglia, paghino lire 100. E che nessun uomo di Sassari o del distretto, chierico o laico che sia, debba nel Consiglio Maggiore, o privatamente, far parola di questa provvigione da accordare in più del salario, dai beni del Comune; e chi a ciò contravvenisse, se chierico si scacci da Sassari e dal distretto – se laico sia condannato a pagare lire 200, e alla privazione di ogni ufficio e benefizio del Comune. – E qualunque Consigliere non prenda la parola in Consiglio, o voterà in favore, oppure non saprà lasciar la sala quando si trattasse di tal provvigione o grazia dei beni del Comune, se sarà Sindaco paghi lire 200, se semplice Giurato lire 100. E queste multe vadano in favore del molo di Genova. Si faccia eccezione per il Podestà che ha finito il suo tempo e deposto il comando; al quale, ove il Consiglio creda che abbia disimpegnato il suo ufficio bene e lealmente, si potrà dare beni del Comune o provvigione in lire 200, et non plus. Chi decreta somma maggiore di questa, paghi le suddette multe.

A quanto risulta da questo articolo, pare che i Chierici sotto la Repubblica non godessero tutte le franchigie ed i privilegi che ebbero più tardi dagli Spagnuoli. Sembra, d’altra parte, che fra i 28 Podestà che precedettero Cavallino de Honestis (dei quali non si conosce che il nome di uno solo, cioè di un Rolando di Castiglione, nell’anno 1313) – oppure fra i Podestà antecedentemente mandati dalla Repubblica di Pisa, fosse invalso l’uso di estorcere dal Comune la provvigione o le terre, oltre lo stipendio; e ciò si desume dall’introduzione del suddetto articolo 131, che io traduco alla lettera, e qui trascrivo:

«Desiderando schivare il gran danno e la vergogna, il quale e la quale sopportavano gli uomini di Sassari – delle provvigioni cioè delle Podesterie e loro famiglie, alle quali erano usi provvedere, non al termine del loro reggimento aspettando le buone opere che avrebbero fatto, ma per lusinghe e preghiere fatte dallo stesso Podestà e da altri suoi amici durante il suo ufficio, mentre cioè teneva in mano il bastone della signoria, lasciando molte volte di far ragione in giovamento di quelli per i quali nel provvedimento potevano essere favoriti, ordiniamo il presente capitolo: che ecc., ecc.».

A quanto pare, prima di ritornarsene a Pisa od a Genova, i Podestà cercavano di beccare qualche soldo, in vista forse della miseria dello stipendio che percepivano.

Il Podestà, come consta dalla Convenzione, aveva lire 600 annue di stipendio; cioè: lire 300 il 28 Ottobre, giorno in cui entrava in carica; lire 150 al 1° Marzo, e le altre 150 al 1° Luglio dell’anno della sua podesteria. Il Tola dice:

«Non si creda troppo meschino siffatto stipendio, avuto riguardo al luogo ed al tempo in cui si fissava; perocché nel 1303 il Podestà di Genova (da non paragonarsi con quello di Sassari!) non aveva che sole lire 1.200. – Dunque la metà!»

E Augusto Boullier, da noi parecchie volte citato, scrive a questo proposito:

«Ce traitement de 600 livres était assez élevé à une époque ou la Couronne de Sardaigne était vendue 24.000 livres par l’empereur Frederic au juge Barisone».

Su Cavalleri

(Il Cavaliere). Veniva da Genova insieme al Podestà; era il suo gentiluomo, il suo coadiutore ed assessore, ed aveva ai suoi comandi la forza del Comune. Era pur chiamato su Cumpagnone dessu Potestat, e prestava anche lui il giuramento di fedeltà.

Su Notaiu

 (Il Notaio). Oltre l’ufficio di pubblico tabelliere, riempiva quello di Segretario del Consiglio e di Attuario della Podesteria. Giurava fedeltà, e se mancava ai suoi impegni veniva dichiarato spergiuro. Egli riceveva le denunzie che gli facevano, e le trascriveva negli Atti del Comune. Si eleggeva ogni anno, nel mese di Febbraio, dagli Anziani e dai Sindaci, ed era pure incaricato di scrivere le entrate e le uscite del Comune. Doveva essere nativo di Sassari, o almeno figlio di padre o madre sassarese. Percepiva lire 35 annue di stipendio, né poteva ricevere alcun regalo per il suo ufficio, pena 10 lire, con perdita dell’impiego. – Doveva sbrigare le liti e le contese, e mandare ad effetto le sentenze, secondo gli Statuti. Eccovi per curiosità i diritti che doveva percepire per gli Atti e le Carte da lui distese:

Per l’esame di ciascun testimonio, danari 4. – Per ogni firma di Carte di pagamento, secondo la somma, da 12 danari fino a 3 soldi. – Per cercare qualche Carta, danari 4. – Per vendita di ufficio (gli uffizi dunque si vendevano?) fino a soldi 10. – Per cercare qualche legge negli Statuti gli era proibito di percepire somma alcuna.

Il Notaio non poteva far notte fuori di Sassari, né andare fuori della città oltre due miglia.

Il Podestà, su Cavalleri ed il Notaio componevano la Podesteria, e facevano rispettare i loro Atti da una forza armata di cittadini.

Consiglio Maggiore

Il Consiglio Maggiore era composto di cento cittadini, ed i mancanti si rinnovavano con voto, a maggioranza dei Consiglieri. Colui che non aveva mai fatto, né faceva servizio, né era contribuente, non poteva essere del Consiglio Maggiore, né poteva ottenere ufficio o benefizio di sorta. Il Podestà non aveva facoltà di convocare lo stesso Consiglio senza la volontà degli Anziani in maggioranza.

La giurisdizione, è vero, dipendeva dal Podestà, ma nell’approvazione dei giudizi era necessaria l’approvazione di un maggiore o minor numero di Consiglieri, a seconda la maggiore o minore importanza dell’oggetto. L’adunanza si chiamava Corona. – I cittadini potevano solo domandare l’appello quando il numero dei Giurati era minore di 17; nel qual caso, la Corona che dicevasi compiuta, esercitava i dritti di un tribunale supremo. Era obbligo del Podestà di congregare tre volte la settimana le Corone ordinarie, ed una volta alla settimana la Corona maggiore. Non si teneva conto delle ferie e delle feste solenni. Le ferie erano: sette giorni innanzi al Natale e alla Pasqua d’Aprile, e otto giorni dopo; dal 1° di Giugno fino al mezz’ Agosto, e dal 1° Settembre al 15 Ottobre.

Gli Anziani

Erano 16, e se ne eleggevano 4 per ogni quartiere. Nessuno poteva essere Anziano se non apparteneva al Consiglio Maggiore. Essi si nominavano per speciali attribuzioni e per i bisogni giornalieri. Facevano presso a poco l’ufficio che oggi fa la Giunta Comunale. L’articolo 99 spiega il modo con cui si eleggevano:

«Perché discordie e malumori non nascano nei cittadini per la elezione degli Anziani del Consiglio ordiniamo di fare come segue: – S’inscrivano tutti i cento Consiglieri in altrettante schede segnate col bollo del Comune, le quali si pongano in quattro bussolotti, uno per quartiere. Questi bussolotti sigillati si diano in custodia al Guardiano dei frati di Santa Maria; nell’uscita di ogni Anziano si mandi per il detto Guardiano, il quale porterà i quattro bussolotti, da ognuno dei quali si toglieranno a caso quattro Anziani ogni due mesi fino all’esaurimento delle schede. Terminate queste, si scrivano da capo i nomi dei cento Consiglieri e si ricominci l’altra estrazione».

Ogni Anziano stava dunque in carica per un anno; perocché 16 Consiglieri per bimestre ammontano precisamente a 96.

I Sindaci

Erano otto buoni uomini nati nella terra di Sassari; e se ne sceglievano due per quartiere. Si dava loro il nome di Sindicos, oppure defensores dessu Cumone. Essi erano incombenzati dell’amministrazione, (spese ed entrate) del pubblico tesoro e dell’ispezione segreta della Cassetta che esisteva nella pubblica Loggia del Palazzo del Comune. – In questa Cassetta (di cui parleremo in altro luogo) era lecito ad ognuno, non di depositare quelle scritture di criminale denunzia (come dice il Manno) per le quali sì famose furono altrove le buche destinate ad accogliere le imputazioni della calunnia o le querele della timida verità, ma solamente era permesso d’introdurre le polizze che ammaestravano il Comune dell’abbandono e dell’occupazione fatta di qualcuno dei suoi dritti o di qualche parte delle sue entrate.

Essi giuravano pure di mantenere e difendere sollecitamente i beni mobili e immobili, le entrate e le uscite, le ragioni e le giurisdizioni del Comune, curando l’entrata del Tesoriere di Sassari e di Romangia, e costringendo i morosi al pagamento. – «E siccome (dice l’articolo 29 con bellissima sentenza) è maggior virtù il conservare le cose acquistate, che l’acquistarle, così ordiniamo che delle entrate del Comune nessuna cosa si debba concedere o donare, né accordare per grazia e favori, né consentire per amore».

I Sindaci dovevano pur vigilare acciò si stesse alla Convenzione. Loro incarico era inoltre sindacare periodicamente il Podestà, ed applicare le pene. Se essi operavano con frode o malizia, tanto in pubblico, quanto in privato, erano condannati dall’art. 29 ad essere infamati pubblicamente, e privati in perpetuo di onore e officio del Comune. Si eleggevano nel mese di Febbraio, entravano in carica il 1° Marzo, e duravano in ufficio un anno. Se qualcuno di loro era negligente o non voleva sindacare, pagava lire 25 di multa.

Elettori

L’articolo 97 degli Statuti prescriveva, che i cittadini chiamati all’elezione di qualunque uffiziale del Comune, dovessero giurare sul Vangelo di non votare per alcuno che preventivamente glie ne avesse fatto preghiera, o fatta far preghiera da altri. L’elettore doveva dare il voto con coscienza, non votare per impulso di amici. E questo articolo di Statuto si leggeva sempre nella sala delle elezioni, dove ognuno faceva il giuramento.

Ed oggi invece – dopo sei secoli – si vota tanto facilmente per preghiera di terzi, per interessi propri, o per lusingare le ambizioni dei parenti, degli amici ed anche dei creditori; i quali, in vista dell’urna, si decidono ad accordare dilazione ai pagamenti. E’ vero che, anche in quei tempi, come oggi, dal detto al fatto sarà corso un gran tratto!

Su Massaiu

Era così chiamato il Tesoriere perché custode delle masserizie e del danaro del pubblico. I 16 Anziani, dopo aver giurato alla Podesteria, chiamavano due buoni e leali uomini da ciascun quartiere, i quali alla presenza del Podestà giuravano alla loro volta di chiamare seduta stante un buono e savio uomo Massaiu del Comune, che fosse nativo di Sassari. – Fatta da loro l’elezione, il Podestà mandava per l’eletto, e lo si costringeva, anche suo malgrado, a fare il Tesoriere per due mesi. E dopo avergli fatto giurare un mondo di roba, e consegnatigli due registri, di entrata e di uscita, il Tesoriere era bell’e fatto!

Il suo stipendio per quei due mesi era di 21 soldi al giorno; e doveva stare la maggior parte della giornata in Corte, sotto la Loggia, per disimpegnare il suo ufficio, cioè: dal mattino fino a terza, e da nona fino a Vespro. Era obbligato a far scrivere l’entrata e l’uscita dal Notaio del Comune, alla presenza del quale doveva sempre dare i conti. – Se ciò non faceva, pagare lire 5 di multa per ogni volta. – Non poteva ricevere regali di sorta da chicchessia, e se li accettava, doveva pagare lire 5 di multa, coll’umiliazione di restituire il presente a chi glielo aveva offerto. La cauzione che prestava era di lire 500.

Nello stesso articolo 28, che riguarda il Tesoriere, è detto, che: chi è stato Massaiu una volta, non possa più esserlo, se non passati 10 anni; e gli otto buoni uomini che lo hanno eletto non possano richiamarsi ad altra votazione prima di un anno. Per ultimo (cosa originale, quanto previdente!) se il Tesoriere pagava dal proprio per non avere momentaneamente danari in Cassa, non poteva aver mai dal Comune alcun rimborso.

Majores de chita

Il Tola crede che il chita possa essere abbreviazione di cinta, come pure potrebbe significare settimana. L’uno e l’altro vocabolo torna al caso.

Questi Maggiori di cinta (o di settimana) dovevano essere otto (due per quartiere) e venivano chiamati dagli Anziani; il loro ufficio durava quanto quello di questi ultimi: due soli mesi. Non potevano essere richiamati in servizio che dopo un anno.

Erano incaricati di sorvegliare le mura della città, e giuravano di comandare le guardie con buona fede, senza frode, senza odio, né amore, né guadagno. La loro età non poteva essere minore di 30 anni. Essi dovevano comandare le guardie delle mura; alle quali incombeva di visitare ogni giorno all’alba (prima de entrare sole) le torri e le muraglie. Questi Maggiori non potevano comandare in servizio un cittadino più di una volta al mese, salvo che il Comune non facesse oste, over cavalcata; nel qual caso le guardie si comandavano ad arbitrio del Podestà o del Comune.

Tramontato il sole, i Maggiori dovevano verificare se le guardie erano tutte a posto, o no. Se la guardia mancava, dovevano surrogarla subito con un’altra, che si pagava a spese del mancante. – E ciò vorrebbe dire, che i cittadini sassaresi qualche volta se la svignavano per accudire alle proprie faccende!

Guardia Nazionale

Tutti i cittadini, dall’età di 14 anni fino ai 70, erano obbligati alla guardia; si faceva solo eccezione per gli Anziani e Consiglieri del Consiglio Maggiore, per gli uomini che avevano cavallo per conto del Comune, per tutti coloro che avevano cavallo in casa (!), per i figli che stavano col padre, e per i fanti ed i servi che dovevano stare col loro padrone (cum sos dominos issoro). – Chi poi si rifiutava a fare questa guardia oppure non voleva offrire un cambio equivalente era punito con la multa di 2 soldi in tempo di guerra, e di un soldo in tempo di pace.

Per due soldi, via, i pusillanimi potevano risparmiarsi molti mal di capo! – La tenuità della pena ben dimostra che i cittadini della Repubblica di Sassari adempivano con amore ai loro doveri.

Tutti i padroni di cavalli (secondo l’articolo 144) dovevano fare inscrivere le loro bestie e tenerle a disposizione del Comune, tanto per le spedizioni, quanto in tempo di guerra.

La Prussia e la Francia hanno in questi ultimi tempi fatto una simile legge. I nostri Padri Repubblicani erano ben previdenti e sagaci nei primi anni del secolo XIV!

Uffiziali delle Guardie

Erano quattro (uno per quartiere) e venivano eletti ogni anno dagli Anziani del Consiglio per comandare le guardie in diversi luoghi della città. Ogni notte essi mandavano due uomini di guardia nei luoghi stabiliti. Ogni cittadino-guardia non poteva essere comandato più di una volta al mese, e se ricusava andare, l’ufficiale doveva sostituirlo con altra persona, a spese del riottoso.

L’ufficiale aveva per salario 10 soldi al mese, né poteva percepire altra retribuzione, pena 5 lire, con perdita dell’impiego. – Era proprio una carica lucrosa questa!

Sergentes

(Sergenti). Erano presso a poco come i nostri Carabinieri; arrestavano i malfattori e davano la caccia ai banditi. Percepivano di stipendio un tanto, a seconda dell’importanza dell’arresto. Per esempio, l’articolo 45 del Libro II, assegna 20 soldi per l’arresto di un bandito per pena leggiera: e lire 3 per l’arresto di un bandito giudicato ribelle e condannato a morte. – I banditi ai tempi della Repubblica erano a buon mercato!

Giurati di giustizia

La Podestà, Sindaci e Anziani, chiamavano ogni anno due buoni uomini legali per cercare e provare tutti i furti e i danni fatti in Sassari e distretto, tanto di bestiame quanto di altre cose. Essi dovevano denunziare furti e danni al Podestà, e farli poi inscrivere in apposito libro dal Notaio del Comune.

Ufficiali della stadera

Erano preposti al peso pubblico. Al cospetto del Podestà ed Anziani venivano chiamati 12 buoni uomini, i quali dovevano nominare due buoni Pesatori, d’età non minore di 30 anni, ed erano incaricati di stare alla Stadera Comunale per verificare la vendita delle merci e dei commestibili. Insieme a loro si nominavano due buoni e legali scrivani che giuravano di verificare e scrivere bene i risultati, con buona fede e senza frode secondo l’uso antico. Il peso, prima d’usarsi, era scandagliato dal Podestà e dagli Anziani.

Sensali

Venivano scelti dal Podestà, ed era loro proibito di far commercio e d’ingerirsi in affari per proprio conto. Essi erano rigorosamente sorvegliati, e non potevano percepire per ogni centinaio d’orzo, di grano od altro, che due soldi dal Venditore e due soldi dal Compratore.

Doganiere

Il suo obbligo era quello di sorvegliare. L’articolo 62 proibiva a qualunque cittadino di introdurre sale in Sassari senza licenza del Doganiere. Chi comprava il sale da altri, e non dalla Dogana, doveva pagare al Doganiere soldi 5 di multa per ogni rasiere. – Fin da quei tempi il sale era un genere di privativa del Governo! – Abbiamo pure notato nella Sassari pisana la lapide trovata, in cui, sotto l’anno 1213, si parlava del ristauro del magazzino del sale per gli appaltatori che provvedevano la Città e Provincia di Sassari.

Ambasciatori

La Podestà e gli Anziani sceglievano gli Ambasciatori da spedirsi, secondo lo esigeva il bisogno. Si mandavano a spese del Comune, ed il salario che si dava ad ognuno di essi era di soldi 5 per ogni cavalcatura che portavano seco (il cui numero e qualità venivano stabiliti dal Podestà e Anziani) e di soldi 8 per la cavalcatura della persona sua. – Se per caso poi si mandavano gli Ambasciatori fuori di Sassari, si accordava loro 15 soldi al giorno pro ispesas suas et dessa famiza sua. E non potevano avere che questo semplice salario, contro multa di lire 25 se alcuno di essi, pubblicamente o privatamente, parlava di aumenti o di provvigioni: multa che andava a benefizio delle muraglie della città.

Gli Ambasciatori dovevano far registrare negli Atti del Comune il giorno dell’andata a quello del ritorno, e non dovevano recar con loro meno di due fanti. Al lettore sembrerà troppo modesto il salario di 15 soldi al giorno per mantenere con decoro un ambasciatore, la sua famiglia e i suoi cavalli nel Continente, e così pare anche a me; ma il Tola nota, che il salario non sembrerà così tenue quando si rifletta a quello che il Comune di Firenze pagava, 160 anni dopo, all’ambasciatore Nicolò Machiavelli!

Messi del Comune

Dovevano essere otto, ed avevano 10 soldi al mese di stipendio per ciascuno. – Oltre i Messi vi erano pure il Gulta (?), il Trombetta e il Banditore, i quali percepivano 20 soldi. Oltre questo salario, si dava loro ogni anno una Gunnella (tunica o vestito in genere) alla festa di Pasqua di Resurrezione. Di più dello stipendio, questi Messi avevano altri diritti; essi potevano percepire i seguenti proventi: – per ogni richiesta che verrebbe fatta dentro la terra di Sassari, un danaro (!); e se fuori di Sassari, per gli orti vicini da due danari fino a sei, in ragione della distanza – e dagli orti in là secondo i pagamenti. Per ogni staggina che facevano spettava loro due danari, e per ogni pegno altri due danari. Poveretti, erano ben pagati!

Rispetto agli ufficiali

Tutti gli ufficiali nominati dal Comune godevano la stima dei cittadini, e la legge li faceva rispettare. L’articolo 120 degli Statuti puniva con pene severe colui che rivolgeva parole ingiuriose, o ardisse metter mano sopra una persona che disimpegnava un ufficio qualunque del Comune.

Ciò non accade certo al giorno d’oggi fra noi. Le nostre guardie municipali, per esempio, e gli altri ufficiali di grado inferiore, vengono di sovente maltrattati con parole ingiuriose, se pure le mani non prevengono la lingua!