Sassari Piemontese

• Vittorio Emanuele II
Vittorio Emanuele II, per l’abdicazione di suo padre, dietro la disfatta di Novara, salì al trono il 23 marzo 1849 – nel giorno della sventura. Il 29 giurava fedeltà allo Statuto dinanzi al Parlamento.
• 1849. Un po’ di storia
Diamo un sunto degli avvenimenti principali ch’ebbero luogo l’anno 1849, a cominciare dall’abdicazione di Carlo Alberto.
I duchi di Modena e di Parma, il Granduca di Toscana, Ferdinando di Napoli, l’imperatore d’Austria re del Lombardo Veneto, il Papa Pio IX, tutti avevano soppresse le nuove costituzioni liberali. Vittorio Emanuele, solo, volle tener alta la bandiera tricolore, e mantenne salde le concessioni di Carlo Alberto. Genova, non volendo a nessun costo assoggettarsi alle paci con l’Austria, insorge fieramente nel 31 di marzo; e l’esercito piemontese guidato da Alfonso Lamarmora la richiama al dovere, e semina il lutto bombardandola il 3 di aprile.
Al disastro di Novara e di Genova seguì l’eccidio della valorosa Brescia, che cedette il 1° aprile, dopo essersi ribellata per dieci giorni ai tedeschi, sperando nella vittoria degli italiani, con uno dei più formidabili conflitti che ricordi la storia.
Poco tempo dopo seguirono la stessa sorte Bologna ed Ancona.
Il 24 aprile i francesi sbarcano a Civitavecchia sotto il comando del generale Oudinot – e nel luglio entrano alla spicciolata in Roma.
Il 19 maggio Garibaldi sconfigge le truppe borboniche a Velletri.
Il 22, sulla piazza d’armi di Torino, viene fucilato il generale Ramorino, accusato di tradimento. Gli uni vollero crederlo un capro espiatorio delle altrui colpe; gli altri una vittima della vendetta del generale polacco Czarnowsky, suo antico emulo.
Il 3 giugno cade combattendo sotto le mura di Roma il giovine Goffredo Mameli, l’autore dell’inno immortale Fratelli d’Italia.
L’8 agosto il Senato decreta a Carlo Alberto l’appellativo di Magnanimo.
La Camera, eletta nei comizi del luglio, chiamata ad approvare il trattato definitivo di pace con l’Austria, fece un’opposizione così accanita, che il 20 agosto Governo e Re sciolgono l’Assemblea.
La Lombardia era ricaduta in mano degli austriaci; e costoro avevano sottomessa Bologna, e più tardi Ancona, con assedio e bombardamento; Venezia e Roma, governate a repubblica, poterono durarla un po’ più a lungo, ma anch’esse soggiacquero. Venezia, con Manin a capo del governo, stremata dalla guerra, dalla fame e dalla peste, il 22 si vide costretta a patteggiare la resa, e il 30 ricadde sotto i tedeschi. La repubblica romana, col triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi, fu vinta dalle truppe francesi capitanate da Oudinot. Pio IX, per tornare a Roma, aveva invocato l’intervento delle truppe francesi, spagnuole e napolitane; ma, a buon conto, fu alla Francia che il Pontefice dovette il suo ripristinamento sul trono, poiché le truppe napolitane furono battute a Velletri, e le spagnuole retrocessero.
Il 15 novembre venne pugnalato a Roma Pellegrino Rossi, il ministro di Pio IX.
E gli italiani videro spirare l’anno1849 insieme alle loro più belle speranze. Essi, sconfortati, credettero per un momento perduto il frutto di tanti sagrifizi e di tanto sangue versato sui campi di battaglia e per mano di tiranni carnefici; ma invece da quel sangue doveva germogliare più tardi quella libertà e quella unità della patria che per tanti secoli erano state il sospiro della bella penisola.
Ed ora riprendiamo le notizie di Sassari.
• Bersaglieri nazionali
Un decreto reale del 24 marzo autorizza la formazione in Sassari di una compagnia di Bersaglieri nazionali, non minore di sessanta individui. Trascorse però circa un anno prima di venir organizzata.
• Decime
Il Municipio pubblica la ministeriale disposizione perché venga continuato il pagamento delle decime; e ciò per combattere il falso errore di una prematura anticipata dispensa. (Aprile)
• Satta in libertà
Il tribuno Antonico Satta, e i sedici suoi compagni di fede, languivano da parecchi mesi in carcere; e già era inoltrata l’istruzione del processo, quando l’indulto per i reati politici, concesso da Vittorio Emanuele per il suo avvenimento al trono, li pose tutti in libertà.
Una folla di popolani andò sotto alle finestre del Satta per acclamarlo con grida entusiastiche; ma lui, indignato, affacciossi alla finestra, e rivolto alla folla pronunciò una parolaccia, aggiungendo: non voglio più saperne di voi! – non ci si può fidare sulle vostre proteste!
Il 9 di maggio, il Municipio rispondendo con lettera al Satta, gli faceva conoscere di non poterlo inscrivere nelle liste elettorali, perché il certificato da lui presentato non comprovava la qualità di Geometra, per la quale intendeva esservi compreso.
Il Satta partì per Genova, dove più tardi diresse un giornaletto repubblicano, col titolo Italia e Popolo. Due anni dopo – nel marzo 1851 – ebbe contesa nella stessa città col direttore d’altro giornale di opposto partito. Erano in piazza; dalle parole vennero ai fatti, e l’avversario gli diede una puntata alla faccia con l’ombrello che teneva in mano; lo ferì gravemente al naso, in modo che sopravvenne il tetano, e morì dopo pochi giorni.
Fu questa la fine di Antonico Satta, un uomo a cui forse si diede più importanza di quella che meritasse, e che forse era più insensato che colpevole. Era stato un temerario, un imprudente che non seppe mai frenare i suoi impeti; un uomo pieno di passioni, impressionabile, intollerante; capace talora di chiedere denari a questo e a quello per soddisfare i propri bisogni; capace tal’altra di dare quanto aveva a chi glielo domandasse; un misto di generosità e di alterigia, di buono e di cattivo. Si notò in lui un cambiamento troppo repentino – passò dalla calma alla tempesta con troppa precipitanza; e la causa bisogna cercarla in altri. Antonico Satta era stato punto, deriso, inasprito; qualche volta aizzato – sempre messo innanzi, sicché dovette con frequenza scontare falli non suoi. Tuttavia può dirsi, che quell’uomo, oggi ritenuto come un pazzo, s’impose a una gran parte della popolazione, e segnò col suo nome quasi tutti gli avvenimenti del ‘48 e ‘49. Si potrebbe forse giudicarlo con le stesse parole di Gavino Passino, pubblicate nel 1848: «Il Satta fu calunniato, o malamente inteso; ché se gli si volesse rimproverare un poco d’improntitudine e soverchio zelo, si pensi che tutti i mali nostri erano troppo radicati, ed abbisognavano forza e prontezza per svellerli».
• Triduo
Negli ultimi di giugno perviene la notizia della malattia di Carlo Alberto in Oporto; e il Municipio dispone per un triduo nella Cattedrale.
• Banda cittadina
Il 29 giugno si tiene una seduta in casa di Francesco Porcellana, promotore della banda nazionale, per azioni private. I diversi soggetti furono scritturati nel 15 agosto, e si cominciò a suonare il 1° di ottobre.
• Candelieri
Fin dallo scorso anno si erano sostituiti i grossi ceri ai candelieri nella processione di mezz’agosto. Nel luglio di quest’anno il Municipio si rivolge all’Arcivescovo perché conceda di continuare nell’innovazione. E provato – si scrive – che i cambiamenti e le innovazioni apportati alla festiva solennità, sono più coerenti al gusto del secolo, più proprie a conservare la decadenza, o, a meglio dire, la pompa che deve accompagnare, e far rispettare le funzioni religiose».
• Bagni
Si scrive a Prospero Besson per richiamarlo allo strumento del 4 marzo 1848, per lo stabilimento pubblico dei bagni, per il quale il Municipio cedeva l’area gratis, nonché la privativa per dodici anni – Il Besson, però, fa il sordo, né ascolta gli eccitamenti continui del Consiglio.
• Morte di Carlo Alberto
Si convoca il Consiglio in seduta del 23 agosto per la commemorazione della morte di Carlo Alberto «l’autore dello Statuto, il formidabile guerriero, il generoso propugnatore dell’Indipendenza italiana, che moriva lontano dai figli, non tanto per la crudescenza di morbo, quanto vittima dell’interno travaglio, cagionatogli da un’irreparabile sventura».
Nel 1° settembre si tenne servizio funebre nella chiesa del Rosario in memoria del re Carlo Alberto. Intervennero il magistrato d’appello, il tribunale di prima cognizione, altri ufficiali subalterni dell’ordine giudiziario, gli avvocati e i procuratori.
• Timori di peste
Nel settembre perviene la notizia che è scoppiato il cholera a Marsiglia, Celte e Venezia. Il Municipio dà ordini rigorosi per togliere l’incompatibile sudiciume delle vie, degli anditi e dei pianerottoli delle case. Nomina trenta cittadini (cinque per Rione) per la sorveglianza; più altri trenta divisi in pattuglie per impedire gli sbarchi clandestini nei litorali. Delibera un cordone, tra la torre del Falcone e quella delle Saline, e dalle Saline ad Abbacorrente, destinadovi guardie che verrebbero somministrate dagli abitanti di Sassari e della Nurra; più dispone che gli abitanti dell’Asinara sorveglino i loro litorali.
• Lazzaretto
Il 22 settembre si manda un accentuato ricorso al Ministro dell’Interno contro 1’arbitrio della Consulta sanitaria di Cagliari, la quale con le sue proposte, sotto l’ombra di tutelare la pubblica igiene, versa a sgarbo e rovina tutto il paese, e in specie il Capo di Sassari. Espone i particolari degli inconvenienti; dice che Cagliari esenta dalla guardia i suoi cittadini, e la prescrive solamente agli abitanti del litorale, ed ai suoi doganieri, mentre Sassari è costretta mandarvi la Guardia Nazionale che vi prende le febbri; dice che Cagliari, profittando dei mali comuni, chiude il varco, con le misure, allo smercio delle derrate sarde, avvilendone i prezzi, stante la miseria dei raccolti; più riconcentra in sé ogni avanzo di utile, poiché qualunque legno può veleggiare a quel solo Lazzaretto, rendendo i commercianti sassaresi soggetti a due noli gravosi – a quello, cioè, da Genova a Cagliari, e da Cagliari per terra a Sassari, con avaria delle merci. Chiede, per riparare al danno, che venga almeno abilitato il Lazzaretto di Alghero, per dare anche al Capo settentrionale un mezzo facile e men pericoloso nel recapito delle mercanzie.
Un mese dopo – nel 15 novembre – si torna a scrivere al Ministro, domandando l’erezione del lazzaretto progettato nel 1836 ed approvato con disposizione ministeriale del 23 gennaio 1838. Quello di Alghero era stato accordato nel 1722.
Il 31 dicembre abbiamo altro ricorso al Ministro, contro Cagliari, denunziando la condotta di quell’Intendente Generale, il quale aveva impedito al piroscafo, salpato da Cagliari il 24, che toccasse Portotorres. «La concessa riforma – è detto nella lettera – non che lenire le antiche piaghe dei sassaresi, le ricrudeliva sempre più: colpa l’essersi operata una divisione di parole, non di fatto; per cui la sognata indipendenza fu giudicata per essi una vera utopia, confermandoli sempre più nell’idea che Cagliari non mai deporrebbe quello scettro di ferro, che, per vendetta di antiche gare e per insegna d’alto dominio, sbatteva sul capo ai fratelli, angariandoli, opprimendoli».
• Funerali di Carlo Alberto
Il 1° ottobre, per cura del Municipio, ebbero luogo i funerali per Carlo Alberto nella Cattedrale. Del discorso funebre era stato incaricato il Sacerdote Cav. Gaetano Gutierrez, professore di teologia; delle iscrizioni l’Avv. Paolo Martinelli; del catafalco il pittore Bossi. La chiesa era parata a lutto. Ufficiò l’Arcivescovo, e intervennero alla cerimonia l’Intendente generale, il Magistrato d’Appello, il Generale comandante lo Stato maggiore, tutta l’ufficialità della Guardia nazionale, il Corpo accademico, ecc. ecc.
La guardia nazionale fece il servizio attorno al catafalco; la milizia era schierata nel piazzale della chiesa, e fece le salve.
II catafalco era in forma di tempietto, d’ordine dorico-greco, quadrilatero; sopra uno zoccolo elevato quattro colonne scannellate sorreggevano 1’architravata; il cielo del Tempio era sormontato da una specie d’attico su cui posava la statua in piedi di Carlo Alberto in uniforme di generale, stringendo con la sinistra il vessillo dell’Indipendenza, e con la destra tentando sollevare l’Italia giacente, la quale risvegliata alla voce del suo re, spezzava le secolari catene. Quattro trofei con gli stemmi di Savoia e bandiere nazionali coi nomi di Goito, Peschiera, Pastrengo e Governolo, decoravano le quattro facce dell’attico, con quattro vasi funerari agli angoli. Il sarcofago posava sotto al tempietto, nel cui mezzo vedevasi la cifra raggiante di Carlo Alberto. Sopra una delle due facce maggiori leggevasi: Era re, morì cittadino; esule, ma non schiavo; sull’altra: Urna di libertà, dolore e gratitudine.
Il discorso del Cav. Guttierrez era elaborato, e fu encomiato da tutti. Fra gli altri cito i seguente periodi:
«…Siasi pure, o vagheggiatori del passato, o amatori del presente, consoliamoci, confortanti tutti l’anima afflitta pel miserabile caso; sperando, quali Abrami fedeli, sulle nostre sorti future, e sperando persino contro la speranza stessa». (Qui ha accennato ai due partiti che esistevano!)
«…Coronati del mondo, e voi pure veri cerberi di maldicenza infernale, affissate ora lo sguardo sulla polvere regale, che calda ancora ribolle di leali, generosi affetti; dite ora, se quel generoso Campione lo ambizioso ei fu; se il gran sagrificatore delle affascinatrici beatezze dei diademi e degli ostri, di due amati augusti figliuoli, se il gran tradito della fortuna e degli uomini, sia egli della patria e degli uomini il traditore assurdo!» (E qui alludeva a gravi accuse che da taluno si mettevano in giro.)
Il lungo discorso, che si componeva di otto parti, conchiude con queste parole: «…Ascoltatori, è forse esaudita la prece. Tramontino pure gli astri benefici del firmamento italico; si converta, se così vuolsi, la benigna stella d’Italia in infausta cometa; ed ascondasi dietro ai gioghi Carpazi cruccioso il sole agli Ungheri; balenino anche di luce non ferma in loro cammino i nipoti di Camillo e di Germanico, e passino quasi abbaglianti meteore le improvvisate repubbliche; – colà frattanto, in riva alla Senna (consoliamoci!) gli angeli convennero alla quiete del mondo nel Congresso degli amici della pace; oh quanto diversi da quelli Anfizioni del Consesso di Vienna! – Già già l’Inghilterra col Belgio stringerà a Francia la mano – America stringeralla ad Europa: come in bel cosmorama ci vedremo, ci riconosceremo compatriotti di una patria sola. Il 24 agosto, triste anniversario della sanguinosa notte di San Bartolomeo nella esterrefatta Parigi, si è ivi reso testé il giorno insieme di ben augurate paci a retta indipendenza e libertà universale. Una torre allora, con notturna sanguinolenta campana, suonò, per man degli Accabbi, dei nostri traviati fratelli la strage: – suona or tra noi pacifica la campana di Torres; e i suoi funebri tocchi, pel gran Defunto suonano fratellanza e pace – non tenzonamenti fatali, non disperanze e guerra, ma quietezza e progresso. Chi nega redimitore un progresso, la Provvidenza redentrice ei nega!».
Queste ultime parole, pronunciate dal sacerdote liberale, avevano allora un significato che non poteva passare senza le censure e le mormorazioni di più d’uno; e lo desumo dalla dedica di sette sonetti, pubblicati in elogio del Gutierrez, la quale diceva:
«A Voi, che come Consigliere Divisionale osaste intrepido aprir delle vie al bene del civile progresso; a Voi, cui per sì bella cagione muovono guerra spiriti torbidi e menti stravolte, le quali hanno male inteso i vostri scritti; a Voi, oggimai reso invendicata vittima di sarcasmi e di calunnia, per sin dalla cattedra del Vangelo!
Fatto è, che se il discorso funebre del Gutierrez ebbe le censure dei retrogradi, si ebbe pure infiniti elogi dai liberali. Il Municipio gli scrisse una bella lettera, ringraziandolo; gli mandò 150 lire, e sapendo che il discorso doveva darsi alle stampe, ne ordinò cento copie per poterle distribuire.
• Scongiuri
Fin dal settembre fece viva impressione in paese la notizia della proposta fatta in Senato per l’abolizione dell’Università di Sassari, perché esuberante e di nessuna utilità in un’isola povera di abitanti. Si scrive in proposito al Deputato Cossu, il quale nell’ottobre assicura il Municipio che sarà mantenuta, insieme alla Corte d’Appello, parimenti minacciata. Si ringrazia il 27 settembre il Ministro d’Istruzione Pubblica per le difese sostenute per mantenere l’Università.
Allo stesso Deputato, si fanno nella stessa lettera vive raccomandazioni per la costruzione di nuove Carceri, stante lo stato indecente e crudele in cui si trovano i prigionieri a San Leonardo; si prega di far mettere in attività il Lazzaretto di Alghero, e di sollecitare il trasferimento della parrocchia da Santa Catterina a Gesù Maria.
• Delitti e attentati
Le condizioni della sicurezza pubblica erano tristissime nell’anno 1849 e nei due seguenti, e il Municipio ne era seriamente impressionato. Il 22 ottobre esso manda un ricorso al Presidente dei Ministri esponendogli la situazione. Eccone alcuni brani:
«Giustamente commosso ed allarmato per i continui, e in questi ultimi giorni spaventosamente cresciuti delitti ed attentati alla vita e proprietà dei pacifici cittadini, il Consiglio Delegato di Sassari crederebbe mancare al proprio dovere ed al mandato conferitogli dal voto di questa popolazione, se non risvegliasse, per quanto sta in lui, l’attenzione del Governo sullo stato infelice in cui trovasi questa città e provincia. Nessuno oramai degli onesti e pacifici abitanti osa sortire tranquillo a visitare i suoi poderi, perché ognuno teme che la palla di un sicario, di un nemico, di un malfattore lo colpisca per via; e se questo stato di cose ancor per poco si prolunga e cresce, non si ha dubbio che fra breve la Sardegna vedrà rinnovare per lei quell’epoca luttuosissima, e non molto lontana, in cui le campagne furono intieramente abbandonate e lasciate incolte, non essendovi più alcuno che si attentasse di sortire dall’abitato per coltivarle Troppe già sono le piaghe che affliggono questo sciagurato paese, senza che si aggiunga quella maledizione delle vendette private e dei partiti, nemici implacabili d’ogni civiltà, industria e prosperità».
Il regio delegato crede trovare la vera sorgente del male. « – Il rinnovamento delle vendette private, degli assassini e dei furti data dal tempo in cui un’amministrazione improvvida sostituì all’arma di polizia dei R. Carabinieri (arma temuta e che aveva reso tanti servigi al paese) quella dei Cavalleggieri di Sardegna, aggiuntasi la diminuzione di guarnigione, ridotta pressoché al solo Corpo dei Cacciatori Franchi…».
Non si approva il disarmo, perché i soli buoni deporrebbero le armi; e i banditi e i tristi le conserverebbero, invece, a maggior danno dei primi, i quali non potrebbero neanco discendersi.
Altra lettera fu scritta in proposito, nello stesso giorno, al Deputato Cossu, ed altra all’Intendente Generale, in cui è detto: «…I cattivi nascondono le armi in casa, in campagna, nelle mura, nelle siepi, nelle caverne; e le cavano al momento di servirsene… È occorso di fratturare la porta di un carcere, ed un evaso detenuto armar più colleghi a poca distanza, estraendo le armi, ed ogni cosa relativa, da incogniti nascondigli».
• Porto
Il 9 di novembre si scrive al Presidente dei Ministri e al deputato di Sassari per intraprendere i lavori di spurgo del porto di Torres, i quali erano stati interrotti. Si continua a scrivere, nel febbraio dell’anno seguente, ai Ministri della Marina e delle Finanze, reclamando provvedimenti – e si ricevevano promesse: sempre promesse!
• Digiuno
Il Municipio scrive all’Arcivescovo il 22 di dicembre, supplicandolo d’intercedere per i sassaresi dal Pontefice la facoltà di poter cibarsi di carne e di latticini nella prossima quaresima, tanto per misure di salute, quanto di risparmio; poiché la sola carne ed i latticini sono in Sardegna i cibi che alimentano con la minima spesa, e forniscono al popolo laborioso il più sano e sostanzioso alimento. Non permettendone l’uso, sarebbe lo stesso che esporre il precetto ad una sicura violazione, e compromettere le coscienze. Parlavan chiaro: o dateci la dispensa, o ce la prendiamo!
• 1850. Pubblica sicurezza
I delitti vanno sempre più moltiplicandosi, specialmente in campagna, e mettono in pensiero la popolazione, e il Municipio. Quest’ultimo si rivolge al Ministro della Guerra e Marina, con un ricorso di cinque pagine, in data del 9 marzo Si parla del «rapido crescere e propagarsi d’uomini demoralizzati e di mal affare; dell’effrenata licenza con cui manomettono ogni sacrosanto diritto d’individualità e proprietà».
«È destino di questa nostra terra – si scrive – che qualunque istituzione sacrosanta venga funestata ed offuscata dalla cattiveria degli assassini e dall’energia degli scellerati, i quali ben lungi dal rinfrancarsi all’ordinato libero reggimento, violando la sicurezza personale e reale, ne stanno minando l’esistenza… Qua semplici grassazioni, là accompagnate da omicidio; quivi il ribaldo che attraversa armata mano l’azione esecutiva della legge; ivi l’assassino ed il sicario che compiono un’ingiusta vendetta… Non sono molti giorni che agenti incaricati del pubblico servizio, mentre recavansi ad eseguire le relative attribuzioni, cadevano atterrati nelle vicinanze ed in pubblico stradone dalla palla d’un sicario, o d’un ingiusto vendicatore».
Si dice che la guardia nazionale è insufficiente a mettervi riparo, e si domandano provvedimenti.
Il 12 si scrive altra lettera all’Intendente, a riguardo dei suddetti agenti (due campari civici, l’uno morto, l’altro moribondo) chiedendo forza contro alla baldanza dei facinorosi, che specialmente sono i custodi di greggie. Si partecipa pure che sul luogodel delitto si vedono giornalmente aggirarsi intiere squadriglie di malviventi, che attaccano tutti indistintamente, per grassare o assassinare.
• Mancanza di lavoro
Il 19 marzo si scrive all’Intendente partecipandogli che il gremio dei muratori ricorse in massa al Municipio per aver lavoro; che i miseri proprietari non hanno danaro, né per costrur case nuove nelle Appendici, né per continuare le cominciate. Si prega di far mettere in attuazione la costruzione delle nuove Carceri e della Caserma, per le quali il Municipio cede gratis le aree nelle stesse Appendici. Gli si rammenta, che le truppe sono sparse per le chiese o in privati stabilimenti, e che gli operai corrono sfaccendati per le vie. «Si teme che la miseria li renda feroci, e che si assembrino per tumultuare. Siffatti terribili movimenti è raro non trovino chi sommamente li apprezzi e li affretti…». Si provveda.
• TeDeum
La domenica, 28 aprile, il Capitolo Turritano cantò il Tedeum per ringraziare l’Eterno del ritorno del Pontefice a Roma. Furono a tal uopo invitate, a nome dell’Arcivescovo, tutte le autorità civili e militari – ma invano. Il Consiglio comunale rispose con un no, che fece eco presso gli altri Corpi; e la Chiesa rimase deserta. All’arrivo di Monsignor Arcivescovo fu fatta una congiura per accoglierlo a fischi e per scacciarlo. – Allora, da altri, fu chiesto il permesso di fargli una dimostrazione di contento; ma 1’Intendente rispose: – Come? Temete la congiura, e volete eccitarla con un moto reazionario? Ebbene, io vieto persino che si suonino le campane all’arrivo di Monsignore!».
– E così avvenne. Monsignore arrivò alle ore 5 e mezza di mattina, sine caerimoniis solitis solitoque campanarum strepitu. (Corrispondenza alla Gazzetta Popolare di Cagliari.)
• Circolare ai parroci
Il Pubblico Ministero, nel 28 maggio, ha proceduto contro Monsignor Arcivescovo per una sua circolare diretta ai Parroci. Le circolari furono sequestrate presso i parroci, taluno dei quali protestò. In casa di Monsignore ebbe luogo una felice perquisizione, praticata dal giudice istruttore e dal Sostituto Avvocato Fiscale di prima cognizione. Il Segretario vescovile voleva difendere il suo padrone, dicendo ch’era ammalato, ma invano. Monsignore tentò scappare per mezzo del vapore salpato il 20 da Portotorres alle 8 di mattina; però il Fisco (Pietro Serra Sirigu) ne fu avvertito in tempo, e, con ordine subito spiccato, lo fece suo malgrado ritornare in Sassari con le robe ch’erano già sul vapore.
«La mattina del 2 giugno, alle ore 9, il Battaglione dei Cacciatori Franchi era schierato in Piazza Castello, perché si aspettava da Portotorres il Generale Alberto Lamarmora. Sopraggiunse d’improvviso la pioggia, e i soldati si ritirarono – Il Lamarmora entrò in Sassari alla sera, scortato da soli otto carabinieri; e saputo che il suo amico Varesini era tra le unghie del Fisco, dovette acconciarsi a prendere stanza nella Locanda d’Italia. Il povero uomo aveva paura di congiure, e tenne un discorso al popolo sassarese.
«La Camera di Consiglio del Tribunale, dichiarò il 13 giugno di non farsi luogo a procedere contro l’Arcivescovo Varesini. Monsignore continuava intanto ad essere in arresti; e il popolo plaudiva alla fermezza del fìsco, e sdegnava la debolezza della Camera di Consiglio».
«Il 4 di luglio il Magistrato di Appello, nel dibattimento, condannava Monsignor Varesini a un mese di carcere e nelle spese di procedura».
Così nelle corrispondenze alla Gazzetta del Popolo, scritte con tono un po’ irrisorio, accennante più ad un trionfo di partito che a puro articolo di cronaca.
• I Saba e i Careddu
Con la partenza da Sassari di Antonico Satta, nel giugno del 1849, erano bensì cessate le guerriciattole fra i due partiti, ma gli odi non si erano spenti. La parte colta ed intelligente si era calmata in apparenza, aspettando forse migliore occasione per tornare all’assalto; la parte popolana, invece, non riusciva a dimenticare le umiliazioni e gli insulti ricevuti; onde, senza curarsi menomamente dello scopo semi-politico che li aveva fatti schierare sotto i rispettivi capi, non lasciavano sfuggire occasione senza manifestarsi a vicenda, e con minaccie, i rancori che nutrivano. E venne il giorno che le ire scoppiarono, ed i bravi si distrussero fra di loro.
Comincio col riportare l’articolo di pura cronaca che si legge in proposito nella Gazzetta Popolare:
«Il 10 giugno, alle ore 6 di sera, Francesco Saba con la moglie e i loro figli Salvatore, Gavino e Giovanni, e con molti altri, restituivansi a Sassari, dal molino idraulico di Donna Teresa Deliperi, sito in Baddi Pedrosu. Mentre passavano nell’oliveto del Conte di S. Elia, i figli del Saba vi si introdussero per le solite precauzioni. Erano già nell’attiguo predio del Cav. Passino, quando si viddero assaliti da varie persone, che i fratelli Saba denunziarono essere Antonio Careddu di Sassari; Antonio Santu Careddu di Sennori; Gavino e Francesco Vacca d’Osilo; Battista Lutzu di Sedilo, pastore di Antonio Careddu; Antonio Delogu di Giave, servo del Lutzu; Francesco Deferra di Tiesi; e Antonio Tolu di Ploaghe. Accadde sanguinoso conflitto, in cui rimasero estinti Salvatore Saba, il Lutzu ed il Delogu; feriti Francesco Saba (gravemente), Gavino Vacca e Francesco Vacca; il quale ultimo fu ferito presso Porta Rosello da Giovanni Saba, che sin là lo inseguì. Questo e i due Vacca sono stati arrestati e messi in carcere. – Non sappiamo il motivo di tale attacco; da quanto ci si scrive non è che una privata vendetta. Ci duole però, che tanto debole sia la forza della Polizia, che in pieno giorno non abbia potuto sapere di tanta accolta d’armati di vari paesi nelle vicinanze di Sassari».
A complemento di questi particolari, mandati sollecitamente dal corrispondente di Sassari al giornale di Cagliari, aggiungerò: che i Saba, falegnami costruttori di molini, erano stati con arte chiamati in campagna, per far pranzo, e divertirsi nell’esercizio del tiro; che i nemici avean loro teso un agguato in un oliveto sito nel fossu di la nizzòla; che il figlio Salvatore non ebbe che il tempo di gridare: salvati o padre, e cadde fulminato. E qui la tragedia.
La sera furono portati a Sassari quattro uomini, distesi sopra fasci di frasche: tre morti, ed uno ferito gravemente. I cadaveri dei primi furono esposti lungo il muro della chiesa della Trinità, dove si solevano esporre i colti da morte violenta.
Si erano inseguiti i nemici sin dentro alla Porta Rosello, dove si scambiarono parecchie fucilate in mezzo alla folla; né basta. Fu tanto l’ardire e la ferocia, che qualcuno andò a comprar palle di piombo in una bottega di via Capo Leoni, senza che alcun cittadino, o carabiniere, accorresse per impedire la feroce battaglia.
Bisogna ora che io noti: che la inimicizia di queste due squadriglie risaliva a qualche tempo prima dei fatti del ‘48 e ‘49; anzi, che allorquando si erano offerti come bravi a due partiti politici, essi non fecero che provocare un pretesto per sfogare gli antichi rancori: sicuri e fidenti – come abbiamo già detto – nella protezione dei grandi e potenti, sotto la cui ombra militavano.
L’origine dell’inimicizia era stata la solita – una donna. Salvatore Saba amoreggiava con una bella fanciulla nipote di un Maccioccu, che abitava in Pozzo di Villa. Indispettito di un rifiuto per parte dello zio, chiamò un giorno la bella alla finestra, e le mandò una fucilata, che per fortuna non la colse. – Nacquero allora le inimicizie, e si formarono le squadriglie da una parte e dall’altra. Il Maccioccu aveva per cognato un Careddu, ricco pastore della Nurra, il quale disponeva di molti servi nelle sue terre; i Saba, anch’essi, avevano i loro aderenti ed amici – e da qui le continue aggressioni, che sarebbe lungo enumerare. Uno dei Saba, un giorno, dicesi avesse freddato, certo Farina, giovane calzolaio, mentre lavorava dinanzi al suo panchetto in Campo di Carra; gli aderenti del Maccioccu, alla loro volta, tesero un agguato ai Saba (mentre la processione di San Donato sboccava in Piazza dal vicolo di S. Andrea) ma senza effetto. E così di seguito. Vedremo più tardi altra scena sanguinosa di questo dramma – che pertanto non fu l’ultima!
• Legge Siccardi
«Il Consiglio Comunale, in merito al programma già pubblicato per le sottoscrizioni volontarie di tutti coloro che approvano e fanno plauso alla Legge Siccardi* (confermata ai presenti tempi di libera istituzione e progresso, e annullante gli antichi privilegi) in seduta del 24 luglio, delibera di concorrere per 500 azioni, in L. 120.
*(Le leggi Siccardi erano delle leggi di separazione fra Stato e Chiesa del Regno di Sardegna: la legge 9 aprile 1850 n. 1013 e 5 giugno 1850 n. 1037, che abolirono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico, allineando la legislazione piemontese a quella di altri stati europei. ndr)
• Soppressione Armi speciali
Il Municipio, impensierito dal progetto di legge presentato al Senato per l’abolizione delle armi speciali di Cavalleria, Artiglieria e Bersaglieri nazionali; e facendo considerare che, dietro l’autorizzazione ricevuta con Decreto 24 marzo 1849, molti cittadini sassaresi avevano fatto ingenti spese per la divisa dei bersaglieri, alla quale inclinavano (!), il 31 luglio supplica perché non venga soppressa. I bersaglieri nazionali erano già in funzione a Sassari; tanto è vero che, per mancanza della forza dei Franchi, il Municipio aveva deliberato di far fare le pattuglie notturne ai bersaglieri, le quali cominciarono dalla notte del 24 del suddetto mese.
• Funerali
Il 29 agosto si fanno sontuosi funerali in S. Maria per l’anniversario della morte di Carlo Alberto. Il 5 settembre, altri funerali nella stessa chiesa per la morte del ministro Pietro di Santa Rosa. L’8 novembre, nuovi funebri nella chiesa di S. Andrea per i martiri della libertà ed indipendenza italiana.
• Corte d’Appello
Supplica in data del 31 ottobre al Ministro dell’Interno per il progetto di legge di un nuovo ordinamento giudiziario, per il quale si annullerebbe la Sezione di Appello residente in Sassari. Se ne espone la necessità ed utilità per l’isola; si fa notate, che dal febbraio 1849 al 1° settembre 1850 vennero rimessi in diverse volte alla Sezione di Appello di Sassari, da quella di Cagliari, 385 cause criminali riguardanti reati di omicidio; più 83 cause civili spedite da Cagliari nel luglio 1849, e 79 libelli venuti in via d’appello dai due tribunali di prima cognizione: in totale 162 cause civili. Si grida contro gli uomini della centralizzazione, che vogliono redivivo un tristo passato, che manomettono l’isola all’arbitrio ed al potere di un’azione sola, la quale diverrà sempre più fatale. Si scongiura che ciò non accada!
• Emigrati
Si offre una recita nel teatro diurno, a totale benefizio degli emigrati stanziati in Sassari. Gli emigrati, il 10 luglio, fanno pubblicare un articolo nella Gazzetta di Cagliari, per ringraziare tutti i sassaresi, la banda musicale, e il proprietario del teatro, delle gentilezze loro fatte in tale occasione.
• Ai danneggiati di Brescia
Nel novembre si apriva una sottoscrizione per offerte in favore dei danneggiati bresciani, facendo tre distinte liste: una nel Palazzo civico, e due nei Caffè Bossalino e Longiave. II 22 dicembre, per lo stesso scopo, si diede una serata al Teatro Civico, che riuscì brillantissima.
• 1851. Giuochi d’azzardo
Il Sindaco, nel 2 gennaio, richiama l’attenzione della Polizia sullo smodato abuso dei giuochi d’azzardo che si praticano, tanto dai padri, quanto dai figli di famiglia, nei caffè e in altri siti occulti. «Siffatta viziosa e abbominevole pratica, rovina di non poche famiglie anche agiate, è oggimai venuta a tal segno di sfrontatezza e d’inveterata prava abitudine, che anche i vagabondi ed i ragazzi di ventura si sorprendono giuocando nelle pubbliche vie. Avvenne infatti, che una guardia civica sorprese due ragazzi che giuocavano ad interesse; e, avendoli arrestati, i loro padri insolentirono la guardia, reclamando la libertà dei propri figli».
Pare che reprimere il giuoco fosse una delle serie preoccupazioni del Municipio. Alla fine di quest’anno – e precisamente il 29 dicembre, si ritorna sullo stesso argomento; ma questa volta sono i padri che la lamentano, ed accusano l’abuso che fa la gioventù delle carte e del bigliardo nei pubblici caffè. – Si dice che i figli, non potendo far fronte agli impegni del giuoco, rubano ai padri quel po’ di danaro che serve alla sussistenza della famiglia.
«Più grave ancora quando il giuoco entra nelle abitudini dei capi di famiglia; molti dei quali, specialmente artigiani, contadini, e braccianti, vedonsi avventurare sui tavolini somme superiori a quelle che possono guadagnare col lavoro. Nel primo caso i figli rovinano i padri: nel secondo i padri, col mal esempio, assassinano i figli nella roba, e nell’anima». S’invoca l’autorità legislativa.
• In campagna
(30 gennaio). L’Intendente prega il Sindaco che spedisca un po’ di militi nazionali al Molino di Tiragallo, in Mascari, dove fu commesso un assassinio con incendio. La Guardia Nazionale si rifiuta ad uscire in campagna, e risponde che è disposta ad occupare i diversi corpi di guardia in città, per lasciar campo a recarvisi ai militari che volessero assentarsi.
• I Saba e i Maccioccu
Era il lunedì penultimo di carnevale. Il ballo del Teatro Civico (solito farsi alla domenica) si era protratto più del consueto; e le maschere, alle otto di mattina, salivano o scendevano nel Corso, chiacchierando allegramente sulle peripezie del veglione.
Ad un tratto s’intesero quattro fucilate verso l’oratorio di S. Andrea, seguite da grida di spavento. Un uomo boccheggiante giaceva disteso a terra, immerso nel proprio sangue, vicino alla chiesa. Un altro uomo fuggiva chiedendo soccorso; altro fanciullo stramazzava sulla soglia di una casa vicina. La folla era accorsa tutta là, a quel secondo teatro, dove si svolgeva il dramma più sanguinoso. Che cosa era accaduto?
La famiglia Saba stava di casa verso il viottolo di S. Andrea, e le si tendevano continuamente agguati dalla squadriglia dei nemici Maccioccu. La mattina del lunedì, avuto avviso che i Saba dovevano attraversare il Corso, una squadriglia composta di sette od otto individui, tutti mascherati, s’impostarono sotto al portico che prospetta il vicolo di S. Andrea, aspettando il passaggio dei nemici. Comparvero finalmente i tre Saba – il padre Ciccio, e i due figli Giovanni e Gavino; né si ebbe riguardo di far loro fuoco addosso, malgrado la gente che attraversava il Corso. Giovanni cadde, né più si mosse; Gavino fu ferito gravemente, si mise a correre come un disperato, ed entrò grondante sangue nella chiesa di S. Sisto, gridando a voce alta: confessione! confessione! – La quarta palla andò a colpire un povero fanciullo di otto anni, figlio di un fabbricante di paste, che se ne stava sulla porta della bottega, guardando le maschere. Egli cadde ferito mortalmente; e difatti morì, fra atroci spasimi, dopo alcuni giorni.
Gavino fu trasportato a casa, dove morì poche ore dopo, dicendo al padre, in presenza del giudice istruttore Garzia: – O padre! Ecco i tuoi quattro figli morti di piombo! Ecco il frutto dell’averci educati all’ozio e alle battaglie fratricide!
Il vecchio Saba morì nel 1855, e dicesi che alla sua morte non fosse estraneo il maleficio; il Careddu fu ucciso nella Nurra dal piombo di incognita mano; i due Vacca salirono il patibolo; e qualche altro fu gettato nell’ergastolo. La Giustizia non si diè molta briga per punire i colpevoli; essi si erano uccisi fra di loro, risparmiando al carnefice la fatica, ed al Governo i quattro scudi che soleva spendere per ogni esecuzione! – E su quel dramma – benché ingiustamente – echeggiò sempre, come un rimprovero minaccioso, il ricordo dei fatti del ‘48 e ‘49, sposato a nomi di rispettabili persone, che non intinsero mai in simili nequizie; e parlo di tutti, compreso l’Antonico Satta.
• Gelosia strana
Il 4 di aprile un giovane pittore, nell’atrio della chiesa dei Padri Osservanti, vista la moglie di un sarto parlare con un frate, la chiamò, e le vibrò cinque colpi di stile. Credendola estinta, entrò in un vicino oliveto e s’immerse più volte lo stile in petto. Non morì; fu arrestato, e condannato a molti anni di carcere.
• Diligenze
Il 26 luglio di principio le corse giornaliere della diligenza da Cagliari a Sassari, e viceversa. Il francese Salvan, nel 1843, aveva ceduto l’impresa per tre corse settimanali al Manunta di Cagliari. La Società Senno-Manunta durò sino al 15 luglio 1851. Volendo però il Governo, nell’ottobre del 1850, aumentare le corse, rendendole quotidiane, stipulò l’atto col solo Manunta, il quale tenne l’impresa sino al 31 luglio 1856. Al Manunta successe l’impresa Calvo – ed a questo la ferrovia, inaugurata per tutta la linea il 1° luglio 1880.
• Bagno penale
Il 30 aprile si scrive al Ministro, a proposito della notizia pervenuta che il Bagno di Portotorres verrebbe soppresso per richiamare i galeotti a Cagliari. Si fa considerare, che essendo i galeotti i soli che tolgono dal mare quel po’ di alga e bruttura che ammorba gli uomini e guasta il porto, sarebbe utile che non venissero tolti da Portotorres.
• Demolizione Santa Catterina
Si rinnova nel giugno la pratica della demolizione della chiesa parrocchiale di S. Catterina; oggetto delle reiterate instanze del Consiglio comunale, confortato potentemente dall’Intendente Generale Cav. Pasella, e dai deputati Ferracciu e Sulis, L’autorità ecclesiastica fa invece ritardare il trasloco della parrocchia, e pone inciampi.
• Sicurezza nella Nurra
Torna in campo nel luglio il lamento per la sicurezza pubblica. Si scrive al Ministro dell’Interno esponendo la condizione deplorevole di Sassari e suoi territori. «Insomma – si dice – alla sicurezza della proprietà rispondono i continui devastamenti: alla sicurezza delle persone rispondono i continui delitti». Nel solo mese di giugno si lamentarono dieci omicidi nella Nurra, tutti per vendetta. Il Consiglio comunale si riuniva straordinariamente in seduta dell’8 luglio, per deliberare sulle continue contestazioni fra i pastori della Nurra.
• Corte d’Appello e Università
Nuova supplica nel 9 di settembre al Ministero, per essersi vociferato che quanta prima, per nuovi ordinamenti, andrebbero soppresse a Sassari la Sezione di Corte d’Appello e l’Università.
• Guardia Nazionale
Il 9 settembre si procedeva alla rosa per la nomina del Capo Legione della Guardia Nazionale; la qual carica era rimasta vacante dopo le dimissioni date dal Cav. Simone Manca nell’ottobre del 1850.
Ecco i dieci candidati, e i voti riportati: – Porcellana voti 64 – Ferracciu 26 – Solinas Salv. 23 – Solinas Mossa 23 – Valdettaro 22 – Binna Domenico 19 – Loriga Dottore 19 – Tanda avvocato 17 – Pisano Marras 17 – Frazioli 17. – La nomina di colonnello cadde sopra il Porcellana.
I Bersaglieri nazionali, anch’essi facevano pompa col famoso cappello all’italiana e col pennacchio cadente sulla spalla destra. Nel maggio si chiedeva all’Intendente l’autorizzazione di poter fare una passeggiata militare sino a Sorso. Era una smania! Tutti avrebbero voluto essere bersaglieri!
• Leva
(19 dicembre). Si ricorre dal Municipio al Ministro della Guerra per l’ingiustizia e irregolarità che riscontrano negli inscritti per la leva; e di ciò causa il cattivo metodo e la mal tenuta dei libri parrocchiali, e la mancanza negli uffici comunali di registri di stato civile per controllare e accertare le omissioni dei parroci. Con basi così incomplete non potevasi riuscire che alla confusione; a Sassari furono molto pregiudicati i giovani della classe 1831, chiamati dal Governo.
Il numero degli inscritti a Sassari era in origine di 389; da cui dedotti dieci morti, rimanevano 379; e in base a questa cifra ripartivasi dall’Ispezione generale di Leva il contingente per il comune di Sassari. Ma questo risultato era infedele – si scrive al Ministro – perché un numero ragguardevole d’inscritti, nati di passaggio o per accidente, nonché i molti bastardi e poi spariti per ignoranza di parenti o domicilio, non fecero che pregiudicare la estrazione; e quindi mormorazioni ed ire di Dio!
• Capo d’anno
Verso la fine di dicembre si pubblica dal Municipio un manifesto, invitando il pubblico a concorrere ad una sottoscrizione in favore dell’Ospedale civile, col benefizio di potersi sottrarre alle visite ed ai complimenti del capo d’anno. – Questo nuovo sistema di dispense era già stato messo in pratica altra volta.