• 1794. Angioi
Non avendo la Sardegna, col mandar via i piemontesi, intaccato in alcun modo il potere sovrano, il Re inclinava a concedere amnistia per i trascorsi del 28 Aprile, la cui colpa si fece tutta ricadere sul popolo.
Qui è tempo di parlare del Giudice Cav. Giommaria Angioi, che primeggiava allora nel Magistrato della Real Udienza. I giudizi portati sopra quest’uomo sono disparati; – si fa di lui un eroe – o il più volgare degli assassini. A quest’ultimo giudizio si attiene lo storico Manno, il quale nella sua Storia Moderna è sovranamente partigiano, e a riguardo d’Angioi, un feroce arrabbiato – Il Prof. Avv. Francesco Sulis volle rilevare il povero liberale dalle accuse lanciategli, e colla scorta dei documenti esaminati nei Regi Archivi, nonché cogli stessi libri degli scrittori che contraddice, riuscì a fare un po’ di luce, o meglio a togliere Angioi dagli artigli del Manno, che voleva stritolarlo ad ogni costo, con giudizi, (come scrive il Sulis) dominati dalla paura o dall’ossequio pel dispotismo.
Anch’io ho accuratamente esaminate molte carte, tanto nei Regi Archivi di Cagliari, quanto negli Archivi Comunali di Sassari, e posso dichiarare con tutta coscienza, che il concetto che mi formai dei tempi d’Angioi, fu identico ai giudizi ed all’estimazione dei fatti contenuti nel libro dei Moti liberali della Sardegna pubblicati in Torino dal Prof. Sulis, nel 1859. Riservandomi a dimostrarlo qua e là, nel corso della mia narrazione, comincerò col tratteggiare Angioi colle parole del Sulis.
« Gio. Maria Angioi, uomo dottissimo, se aveva lodato la vittoria contro Francia siccome trionfo di valore nazionale ben anche sentiva che entro quella tempestosa nube francese racchiudevansi i Veri dell’89, e quindi benefizi di progresso, a procurare i quali erano impotenti i sardi Stamenti. Fu dunque suo studio fare acquisto per la patria di quei profitti, unire le forze popolari poste in aperto dalla combattuta guerra e dai recenti casi, ai quali per altro non aveva egli partecipato, e con quelle forze compiere una rivoluzione. Sicuro di suo dominio nel Magistrato, in cui erasi menomata d’assai, ma non in tutto tolta l’autorità politica, seppe con molto accorgimento unire intorno a sé i Membri più influenti delle Cortes, che erano il Cav. Musso – il Canonico Sisternes – l’abate Simon, i quali, cogli avvocati Pintor e Cabras erano tenuti siccome gli oratori politici dell’Assemblea. Non per intéro a tutti rivelò i propri divisamenti, ben tutti invogliò d’una questione di domestico interesse, che lasciò intravedere possibile, e fu quella dell’abolizione dei feudi. Questione che aveva modeste apparenze, eppure era tale da essere buon addentellato a maggiore edifizio. L’Angioi non istava contento a queste cautele; i benefizi da lui immaginati per essere saldi, doveano estendersi per l’isola – Pensò a Sassari, dove ebbe consenzienti alle sue idee molti rispettabili cittadini – ».
Ma di ciò parleremo più tardi
• Pitzolo e il La Planargia
Il 20 Maggio 1794, erano ritornati da Torino i Deputati degli Stamenti, Pitzolo e Sircana. Erano accolti in Cagliari con spari e battimani. Il Pitzolo parlò; lodò la benignità del re coi Deputati; vantò l’ospitalità dei piemontesi, e disse ira di Dio del Ministro Granieri, e peggio della moglie, – dama sassarese, che fra gli altri pregi aveva avuto quello di abbindolare suo marito, tanto da far nascere quasi una rivoluzione in Cagliari per la divisione e tiraggio dei palchetti nel civico teatro.
Il Cav. Pitzolo, però, tornava da Torino colla carica ottenuta di Intendente Generale, che era tra le principali del Regno, e quindi, per lo passato riservata ai soli piemontesi. Volle far credere d’aver di fatto compiuta la sua missione; e diceva il vero, perocché aveva cercato il suo vantaggio, senza punto darsi pensiero del solenne giuramento fatto dinanzi agli Stamenti, prima di recarsi a Torino: di non accettare, cioè, impiego alcuno né ricompensa dal Governo.
Ben si avvide il Pitzolo che un partito progressista, a capo del quale era Angioi, era surto contro di lui, accusatore terribile, giudice severe; e si propose di combatterlo. Fece perciò lega coi feudatari, e non bastando il numero dei moderati a vincere i democratici, pensò coalizzarsi coi retrogradi. – I feudatari avevano ancora la prevalenza negli Stamenti; e spaventati dei danni recati nell’89 ai loro colleghi di Francia, non pensavano che a fortificare i loro domini ed i privilegi, continuamente minacciati.
Capo di costoro era il Marchese della Planargia, feudatario anche esso, di famiglia sassarese, e di recente promosso a Generale delle Armi. Tanto la sua nomina, quanto quella del Pitzolo, erano state fatte dal Governo, nell’intento di riuscire a frenare la sollevazione ed i diversi partiti.
Però, sì l’uno che l’altro di questi due capi partito, erano ritenuti dal popolo come venduti al Governo di Piemonte, e incaricati quindi di far vendetta della cacciata dei piemontesi dall’isola.
Vi era un’altra ragione più potente – ed era la rivalità tra cagliaritani e sassaresi – La popolazione di Cagliari temeva che Sassari finisse per soverchiare la capitale; e più glielo faceva temere la recente nomina, a Giudici della Reale Udienza, dei tre sassaresi Flores, Fontana, e quel Sircana, già compagno di Pitzolo nella Deputazione degli Stamenti a Torino.
Il nuovo Viceré Vivalda, arrivato a Cagliari, trovò dunque la città divisa in due partiti – Moderati e Progressisti, od Esaltati. Tentennante e pauroso, perché la plebe era coi secondi, e perché le truppe erano insufficienti, il Vivalda tenne pei democratici e li carezzò, sperando forse di domarli in seguito.
La Planargia avrebbe voluto con un colpo di stato sciogliere gli Stamenti, dove ingrossava il partito dei progressisti; ma il Pitzolo in ciò non divideva le sue idee, perché agli Stamenti era debitore della sua posizione, e voleva quindi che restassero stazionari, modellati all’antica.
Il Viceré dunque non vedeva di buon occhio questi due Capi, e specialmente il primo che sospettava mirasse a surrogarlo nel posto di Viceré.
«Le tendenze dei partiti erano ben distinte e personificate nei loro capi – scrive lo storico Sulis – Angioi significava il progresso – La Planargia la reazione – e Pitzolo lo statu quo. » – Il primo vagheggiava l’avvenire – il secondo desideva il passato – il terzo si contentava del presente.
• 1795. L’assassinio
I malumori popolari aumentavano sempre, e venivano fomentati dai progressisti, i quali se ne servivano per i loro fini di mutazione radicale. I reazionari erano feroci di sdegno; e i moderati sbigottiti, cedettero al Planargia, il quale affermava doversi rompere ogni indugio, e vincere da una buona volta colla forza la superbia e i rei propositi dei demagoghi.
E – militare energico – così fece. Il 2 Luglio radunò in Castello tutti gli artiglieri, fece preparare i cannoni, e improvvisò una grossa pattuglia di Cacciatori. Tutto ciò a suo arbitrio, come se il Viceré non esistesse.
Si sparse la voce che egli volesse far arrestare i Membri più influenti dello Stamento, e non so quante altre cose.
La mattina del terzo giorno apparvero i cannoni sui sobborghi.
Di qua le mormorazioni, i sospetti, le ire. Il popolo si levò a rumore; i sindaci protestarono col Viceré, il quale dichiarò non aver ordinato alcun armamento.
Il Manno sostiene che i preparativi del Planargia non miravano che a semplice difesa; ma il Sulis nota saggiamente, che a ciò doveva pensare il Viceré che ne aveva il diritto; di più che lo stesso Governatore, nel memoriale scritto il 4 Luglio al Viceré parlava di attruppamenti promossi da pochi sediziosi, i quali a malgrado di tanti movimenti per sedurre il popolo, appena radunarono trenta o quaranta persone. Perché allora tante armi per reprimere quattro sediziosi? Nell’arbitrio del Generale era dunque un segreto disegno che mirava al trionfo del partito di cui era capo!
Il giorno 6 Luglio, negli Stamenti, si fece la mozione di Sospendere dai loro uffici Pitzolo e la Planargia – e la proposta fu accolta.
La concitazione popolare crebbe. Il Pintor consigliò il Viceré di ordinare l’arresto del Generale e dell’Intendente, come unico mezzo di salvezza. Non lo fece, e pregiudicò la condizione di quegli infelici.
La casa del Pitzolo fu assalita con violenza, e con violenza difesa dai famigli dell’Intendente. Finalmente il Viceré diè ordine al Pitzolo che cedesse; ma quando gli fu tratto dinanzi dalla folla, lo rimandò colle parole: « Il popolo lo ha arrestato – il popolo ne disponga! »
Fu la sentenza di morte. Mezz’ora dopo il Pitzolo, sempre in mezzo al popolo, arrivato oltre il Portico di S. Lucia, cadeva colpito con arma da fuoco, da un Delorenzo Usciere della Regia Udienza e maggiore della Milizia, secondo il Manno, – e da un Busu, secondo altri.
All’annunzio del tumulto il Generale la Planargia si recò dal Viceré, il quale lo ricevette freddamente, e lo diede parimenti in mano al popolo che lo condusse nelle carceri vescovili. Si corse allora in sua casa per rovistare le carte. Vi si trovarono memorie compromettenti che si diedero in mano al Viceré perché giudicasse – Fu stabilito di far pubblica lettura delle carte sequestrate negli Stamenti, il giorno 22 Luglio; imprevidente quanto illegale decisione che doveva condurre alla ferocia!
Prima ancora che fosse terminatala lettura di quei documenti, una frotta di furibondi esce dall’Aula, corre ai carcere, fa scendere La Planargia, e, dopo aver scaricato sopra di lui le pistole, fece un barbaro scempio del suo cadavere. Il primo che lo ferì, secondo gli uni fu il sergente Busu, secondo altri un Frassetto pedagogo in casa del Marchese Villamarina.
E le giornate 6 e 22 Luglio 1795 segnarono nella Storia Sarda due pagine di sangue che mai più si cancelleranno!
Gli Stamenti con pubblica scrittura, non solo scusarono, ma legittimarono le due uccisioni. E il Viceré, con dispaccio del 7 Agosto, scriveva nella sua relazione al Ministro Galli:
« – Il popolo è stato indotto agli eccessi dalle minacce, dalle imprudenze, e dai preparativi ostili che minacciavano quasi un totale eccidio. »
Parole che ben moleste dovevano riuscire al Ministro, giacché – scrive il Sulis – il sistema di cui Planargia si fece sostenitore, tutto indica che fosse ministeriale precetto.
Il Manno vuole che della morte del Pitzolo fossero autori l’Angioi e il suo partito; ma di prove e di documenti non si ha ombra. Si parla di un Delorenzo, di un Busu e di un Dais che frequentavano la casa Angioi – ma se ciò fosse – osserva il Sulis – non proverebbe nulla, perché a tutti i partiti possono accostarsi uomini di tristi fatti, senza che perciò si debba ritenere comune la colpa – D’altra parte non si trova traccia di ciò nei documenti; anzi quattr’anni dopo, vediamo lo stesso Governo accordare una pensione di 200 scudi al Delorenzo, designato dagli storici come il primo assassino del Pitzolo.
Il Manno chiama l’Angioi capo occulto della parte popolaresca più guasta e invelenito dell’esaltazione del Pitzolo alla carica d’Intendente Generale, da lui ambita. Ne basta; nelle sue Note Sarde, pubblicate nel 1868, scrive con un umorismo crudele, che quell’assassinio ebbe a movente primitivo un Illustrissimo Signore ed un Devotissimo Servitore omessi in una lettera scritta da Pitzolo all’Angioi.
Il vero assassino dei due alti Funzionari non fu che uno solo: – il Viceré Vivalda che diede in mano al popolo fremente quei due infelici, perché venissero massacrati!
• Il Marchese della Planargia
Il Marchese della Planargia non era nato in Sassari (come afferma il Tola ed altri) ma in Cagliari. Era bensì di famiglia sassarese e dai sassaresi molto amato; come lo prova una lettera scritta dai nostri consiglieri al Viceré il 22 Settembre 1783, nella quale è detto:
« Per la promozione del Marchese La Planargia, il quale sebbene nato a Cagliari la famiglia trovasi da secoli in Sassari domiciliata, come lo contesta il Privilegio di Carlo V in data 9 Giugno 1544, spedito a Francesco Paliaccio, e lo dichiara cittadino sassarese, il pubblico Magistrato di Sassari, per attestare le comuni contentezze lo annunzia col suono della campana civica e accendendo un gran fuoco sulla piazza della Casa di Città, come lo fece ogni qualvolta il Re si è degnato presciegliere a posti distinti un suo patrizio, e come lo fece recentemente, allorché l’attuale Vescovo di Bosa fu promosso al Vescovado, e quando il Marchese Conquista fu dichiarato Reggente e il Conte di Monteleone decorato della Gran croce. Si prega il Viceré a considerare questa maniera, non come una novità, ma come un effetto ecc. ecc. ecc…»
Anche il Planargia aveva dell’affetto per Sassari. Ho sott’occhi una sua lettera scritta ai Consiglieri il 24 Settembre 1794 (20 giorni dopo arrivato a Cagliari, e dieci mesi prima divenir assassinato) nella quale, ringraziando il Municipio delle congratulazioni per la sua luminosa carica, dice: che « la mia viva consolazione si può desumere dal pregio che sempre feci del Corpo di una Città, in cui tanti e tanti miei antenati avendo avuto la loro nascita, mi gettarono nel sangue la geniale e rispettosa affezione per la medesima, del che credei di dargliene un qualche contrassegno, con avervi riposto le vecchie insegne d’onore del Reggimento Sardegna, statomi da S.M. confidato – ».