Sassari Piemontese

• 1848. Un po’ di storia

Prima di continuare i fatti accaduti a Sassari, toccheremo brevemente di un po’ di storia generale, durante il primo trimestre del 1848; la quale varrà a dare un’idea più chiara degli avvenimenti.
Le riforme domandate con tanta insistenza non appagavano abbastanza i popoli; e quando nel mese di Gennaio scoppiarono dei moti rivoluzionari a Napoli e in Sicilia, Carlo Alberto, spaventato, si decise a soddisfare completamente le aspirazioni de’ suoi sudditi: 1’8 febbraio 1848 egli concedeva una Costituzione – il 4 marzo fu proclamato lo Statuto – e il 16 si stabiliva il primo ministero costituzionale presieduto da Cesare Balbo.
Si notò un risveglio nel giornalismo, e sorsero in quel tempo l’Opinione, la Gazzetta del Popolo, l’Armonia, lo Spirito Folletto e il Fischietto.
Il 29 gennaio anche il Borbone di Napoli fu costretto a concedere la Costituzione a’ suoi sudditi, ben inteso col proposito di violarla più tardi. L’Austria invece volle raddoppiare i rigori nel Lombardo veneto e ciò inasprì gli animi e fece più ardente il desiderio dell’indipendenza. Successero dimostrazioni che si tentò sopprimere con arresti e condanne capitali – e da qui le cinque gloriose giornate di Milano, dal 18 al 22 marzo, che liberarono la patria dagli austriaci e fecero ritirare Radetzki.
Venezia seguiva l’esempio di Milano, e il 22 marzo, per opera del patriota Daniele Manin, cacciò i croati dall’Arsenale e proclamò la Repubblica.
Si pensò allora a far fronte all’Austria che inviperita minacciava irrompere nel Piemonte. La cacciata dei tedeschi da Milano spinge Carlo Alberto a dichiarar guerra all’Austria.
Riservandoci a riprendere la storia generale dal 1° aprile in giù, torniamo a Sassari.

• La Costituzione

La mattina del 15 febbraio arrivarono a Sassari gli esemplari delle sovrane disposizioni dell’8 e 11 stesso mese spediti dal Viceré con raccomandazione di distribuire in elemosine i danari destinati per le pubbliche dimostrazioni di esultanza. La sera dello stesso giorno, alle ore 4 e mezza, il Municipio si reca alla Cattedrale, dove viene cantato il Tedeum per ringraziare il Signore dei benefìzi concessi dal Sovrano ai sudditi. All’indomani, il Municipio spedì al Re il seguente indirizzo per ringraziarlo dei favori impartiti coi R. Rescritti 8 e 1 1 febbraio.
«Sire, nell’esultanza generale dei popoli Sardi e Subalpini per la benefica legge dell’8 febbraio, sancita liberamente da V. M., non è l’ultima la Città di Sassari a partecipare al comune giubilo ed alla comune gratitudine. Ammiratrice delle opere stupende di utile riforma emanata dalla Sovrana Vostra Sapienza in ogni ramo di pubblica amministrazione, Sassari sente ancor essa quanto stia al dissopra d’ogni altro benefizio quello che Voi impartiste ai vostri popoli, concedendo loro uno Statuto fondamentale di governo rappresentativo, che è il frutto politico più consentaneo alla presente condizione dei tempi, ed alla cresciuta e sempre progrediente civiltà degli uomini. La legge dell’8 febbraio è la gloria più splendida conseguita da V.M. in faccia all’Europa ed al mondo intero, ed è insieme la più solida guarentigia della felice unione ed indipendenza d’Italia. Essa suggella con un solo e solenne atto tanti atti generosi del paterno Vostro reggimento e compie in un sol punto i voti, i desideri, e le speranze dei sudditi vostri, e di ogni cuore veramente italiano. Protegga Iddio l’opera vostra, che è l’opera più eccelsa della vera sapienza legislativa e dell’amore di un Re verso i suoi popoli: opera iniziata in questo secolo di lumi e di rigenerazione dal sommo Pio, e compiuta felicemente da altri Principi italiani, dei quali Voi siete il braccio e la spada.
«La Sardegna si riscosse ad un tratto all’annunzio felice di questo fatto solenne ed immortale del generoso Vostro volere, e nell’ebbrezza della sua gioia solleva il grido della sua riconoscenza per l’èra novella di felicità che Voi le dischiudeste. Affratellata cogli altri popoli del Continente a Voi soggetti, mercé la legge dell’11 febbraio che ne rende i destini comuni, essa percorrerà lietamente quest’era di miglioramenti sociali, di concordia, di unione, e di forza nazionale inaugurata dalla Vostra legge.
«E Sassari unendosi alle altre città dell’Isola, ed a quanti col nome sardo hanno lingua e cuore italiano, Vi umilia, o Sire, e vi tributa in quest’atto i sentimenti sinceri della sua eterna gratitudine. Aggraditeli, o Sire, perché se Voi siete magnanimo e grande, essi pure sono spontanei, generosi, incancellabili». Sassari 15 febbraio 1848. Il Consiglio Civico: Conte d’Ittiri e prof. Vincenzo Luigi Serra, Sindaci – Don Gio. Antonio Maria Serra – Don Antonio Maria Marras –  prof. Antonio Crispo – avv. Gio. Maria Oggianu – Andrea Tavolara.

• Esultanze

Sarebbe compito arduo voler descrivere tutte le dimostrazioni di gioia per la fausta notizia della concessa Costituzione; folla entusiastica dappertutto, musica, passeggiate con bandiere, orifiamma, gonfaloni con iscrizioni in onore di Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo II; coccarde sul petto di tutti, d’uomini e donne, di vecchi di giovani, di bambini; inni diversi cantati da studenti, artisti, operai; insomma una vera festa popolare, in cui gli animi entusiasti non erano riscaldati che da vero amor patrio, da vera fratellanza; basti il dire che quattro mesi trascorsero senza che si commettesse un delitto – anzi, senza che una rissa od un’ingiuria si fosse registrata dalla Polizia; fenomeno curioso, che prova quanta virtù abbia nel cuore del popolo l’annunzio improvviso di quella vera libertà che è l’aspirazione continua della creatura umana.
La sera del 19 si riunì il Consiglio Comunale, dove fu data lettura del Dispaccio Viceregio che annunziava la Costituzione. In questa seduta furono prese diverse deliberazioni:
1° – Si vota in L. 5.000 la somma per le pubbliche dimostrazioni, da spendersi invece in elemosine. Si crede opportuno distribuire pane, carne e minestra per tre giorni in tre diversi punti della città per dividere la folla; il rimanente verrebbe ripartito in danaro a domicilio per mezzo di cinque Deputazioni del Consiglio, assistiti dai parroci delle 5 parrocchie. Si comprendono nella somma totale L. 300 a favore del nuovo Ospizio dei Trovatelli.
2° – Si legge la supplica di alcuni cittadini, i quali, animati dalla conservazione dell’ordine pubblico e penetrati dall’affliggente circostanza della miseria in cui giacciono molti individui per mancanza di mezzi di sussistenza e di lavoro, implorano la formazione di una Guardia Civica in via provvisoria sotto il nome di Comitato di pubblica interna sicurezza, dipendente dal Municipio; e dopo aver approvato l’elenco fatto in proposito dalla Giunta, delibera di darsi principio alla formazione della Guardia la stessa notte, eleggendo a Capi il Cav. Don G. Berlinguer e il negoziante Filippo Ponzeveroni; i quali, con l’autorizzazione del Governatore, dovevano occuparsi della formazione dei Ruoli.
3° – Accolse la domanda inoltrata da molti Cittadini e dalla gioventù studiosa per venir aperta in Città e villaggi una sottoscrizione per contribuire alla spesa di una statua in marmo, rappresentate il re Carlo Alberto da innalzarsi nel centro della piazza della Carra, onde eternare con tal monumento la memoria del giorno 8 febbraio. Fu votata ad unanimità, e fu subito nominata una Commissione per eseguirla, composta del prof. F. Cossu, Don Giacomo Deliperi, prof. Crispo, Avv. Pisano Marras e Andrea Tavolara.
4° – Fu altresì deliberato, di chiamare la Carra grande col nome di Piazza Carlo Alberto; l’uscita di piazza Castello col nome di Piazza della Costituzione; la Via Reale, Strada della Costituzione, e quella conducente a Pozzo di Rena Contrada Azuni. Di più fu deciso, di mettere una lastra di marmo in un lato della Piazza della Costituzione, incidendovi gli articoli che formano le basi dello Statuto fondamentale dell’8 febbraio. (Voti 13 contro 2 negativi).
5° – Si propose di accordarsi al Governatore Camossi i diritti di cittadinanza sassarese per aver reso moderati e civili le due feste delle Riforme e della Costituzione. Più si decide di raccomandare a persone intelligenti la pubblicazione, a spese dell’erario civico, di un Catechismo Costituzionale per rendere più popolare la cognizione dei diritti e dei doveri dei popoli.
6° – Si legge una lettera della città di Alghero in data del 14, con la quale domanda a Sassari di concorrere nella spesa dello stradone proponendo, per mancanza di fondi, di ricorrere entrambe al Re per un prestito di 100mila lire.
7° – Si ponderò il desiderio del pubblico in odio ai Gesuiti, e riflettendo agli infausti avvenimenti d’altre città, si decide di supplicare il Re perché allontani quest’Ordine religioso da Sassari.

• Cacciata dei Gesuiti

Sapendoli contrari alle Riforme, e ben descritti dal Gioberti, già da tempo si cominciava a mormorare contro i Gesuiti. Essi, a Sassari, erano continuamente fatti segno ad attacchi d’ogni genere, ora con l’arma del ridicolo, ed ora con quella del più palese disprezzo. Gli studenti specialmente erano gli avversari dichiarati di questi cappelloni (così li chiamavano) che ritenevano come i principali nemici di quella libertà, che veniva da loro rugiadosamente osteggiata, con tutte le mene della scuola gesuitica.
I continui dispetti che da qualche tempo gli studenti facevano ai loro maestri gesuiti, si erano vivamente accentuati nei primi giorni di febbraio, sino a che presero una tinta ostile alcuni giorni prima che pervenisse a Sassari la notizia della concessa Costituzione. Una specie di ribellione ebbe luogo la mattina del 14 all’Università contro i due professori Padre Paolini e Padre Lombardini, polacco. I principali motori furono gli studenti Manca Leoni, Siotto Elias e Marogna, i quali, caldi di libertà e di patriottismo, dichiararono apertamente che non volevano per maestri i Gesuiti. Vi furono manifesti manoscritti dicenti fuori i Gesuiti, scambio di parole vivaci fra studenti e professori, proteste energiche col Rettore Casabianca, il quale non riuscì con le buone né con le cattive a calmare quegli spiriti bollenti che avevano deliberato di farla finita ad ogni costo – Per quel giorno ci fu sciopero, si sospesero le lezioni, e si chiuse l’Università. Il dado però era tratto, e quel primo tentativo incoraggiò gli studenti, i quali ingrossarono le fila, risoluti a continuar la battaglia sino a riuscir nell’intento.
I poveri Gesuiti da quel giorno furono costretti a intanarsi per sottrarsi alle persecuzioni degli studenti e del popolo che li perseguitava. Guai a vederne uno: erano urli, fischi, fuori i Cappelloni! – E si fossero limitati alle sole grida! Ma più d’una rapa e di un palmiccio volò all’indirizzo di quei poveri diavoli che si vedevano attraversando prestamente le vie col lungo cappellone e colla cappa alla Don Basilio, immortalato dal genio di Rossini.
Il 19 si riunì il Consiglio civico, e dopo aver deliberato di supplicare il re perché allontanasse i Gesuiti, avendo essi perduto l’intiera confidenza della cittadinanza, avvertì il pubblico con manifesto, esortandolo all’ordine ed alla calma; ed il 26 spediva al Viceré la seguente relazione:
«Dopo le sfavorevoli ed improvvise dimostrazioni della Gioventù studiosa nella R. Università ai due professori di questo Collegio Gesuitico, è chiaro come pur qui si volesse seguire l’esempio di ciò che avvenne in altri luoghi. Il Consiglio però non credette prendervi alcuna parte, considerandolo puro oggetto che poteva riguardare i Rettori dell’istruzione letteraria».
«Le grida e le voci addivenivano gradatamente moti popolari ben significanti, per cui il Consigliò si riunì in seduta del 19 corrente supplicando il re di voler allontanare i Gesuiti dalla città, come non più favorevolmente accolti né adatti alla condizione dei tempi presenti. Esso provvide all’inazione o insufficienza della forza formando un Comitato di sicurezza in via provvisoria, composto di pattuglie di cittadini che vegliassero al buon ordine ed alla garanzia pubblica. Queste misure sortirono per qualche giorno il loro effetto; ma istigati forse gli animi da una viva corrispondenza, e poco o niente favorevolmente prevenuti ed animati dall’ordine, si resero pressoché fedeli imitatori delle altrui operazioni, ed in apparenza di festa recatisi nel portone di quel Collegio la sera del 23 corrente alle ore 6, chiedevano ivi istantaneamente l’espulsione dei Gesuiti, in modo da far temere funeste ed infelici conseguenze.
«Le vive insinuazioni dei due Sindaci che vi accorsero, e le persuasioni della pattuglia nazionale operarono molto con promesse di adoperarsi presso le autorità. Il Consiglio si rivolse al Reverendissimo Prelato per provvedere all’allontanamento, ed i religiosi si persuasero dell’assoluto bisogno di mettersi in salvo; e per mezzo di una Deputazione provvisoria creata dal detto Prelato, dal Governo e dal Municipio, si presero le chiavi del locale per acquietare gli animi e salvare i Religiosi. Il Governatore fece deporre le chiavi nel Palazzo Civico, sigillandole e tenendole nella cassaforte».
Il 2 di marzo il Rettore dei Gesuiti (Giuseppe Bukacinstei) scrive al Municipio dicendo: che, essendo stati consigliati ad allontanarsi dal paese in seguito ai moti politici ultimamente avvenuti nella città, non esitano ad allontanarsi per la tranquillità; e dolente per il funesto avvenimento e per dover abbandonare un paese a lui caro per la morigeratezza (?) e generosità (?) dei suoi abitanti, parte oggi stesso (2 marzo) con tutta la famiglia religiosa sopra un bastimento a vela espressamente noleggiato, mancata essendo l’ordinaria occasione del Regio piroscafo del 1° andante. Non avendo potuto raccogliere la somma necessaria per il dispendioso viaggio di quattordici persone, per non aver potuto realizzare una porzione di crediti che lascia, ed alcuni oggetti di pronto smercio, per la notoria calamità; mancandogli il danaro per alimentare tante persone per alcuni giorni sul luogo di sbarco, e poi mandare al suo destino ciascun individuo, supplica il Municipio d’essergli caritatevole di un soccorso».
I Gesuiti partirono sopra un bastimento il 2 di marzo. – Il 10 si scrisse al Viceré facendogli noto, che dopo l’allontanamento dei Gesuiti le scuole restarono chiuse, e che si credeva utile venissero prestamente riaperte, affidandole a benemerite e distinte persone; e così pure si aprisse la Chiesa, dove si sarebbero continuati i divini uffici. Il 16 si tornò a pregare di riaprire le scuole e Convitto Canopoleno, già diretti dai Gesuiti.
Il 9 aprile si scrive al Governatore, informandolo: che furono messi in salvo gli oggetti di maggior valore già appartenenti alla Casa e Collegio Gesuitico e relative aziende, e chiuse ivi e murate alcune porte per sicurezza, previa iscrizione fattasi dal segretario civile della R. Governazione, con intervento di tre Deputati. Si riconobbe la necessità di provvedere ai pressanti bisogni del coltivo delle campagne (massime la potatura delle viti ecc. che trascurata potrebbe recar danno) nonché alla vendita del vino ed altre derrate soggette a diminuzione di prezzo. Si domandano provvidenze al Governo, e se sia il caso di nominare un Sequestratario. Ancora una particolarità. Il giorno che in Sassari si festeggiò la concessa Costituzione, la campana di Gesù Maria, chiesa dei Gesuiti, suonava a morto. Era come un tristo augurio che si voleva fare per la nuova istituzione. Si ricorse al Collegio per punire i temerari, ma i Gesuiti risposero che trattavasi d’un anniversario funebre, né potevano mancare al dovere dei loro uffici. E con ciò crediamo esaurita la rubrica dei Gesuiti, sui quali non avremo più bisogno di ritornare.

• Agricoltori

Il 10 marzo il Municipio riferisce all’Arcivescovo che il ceto degli agricoltori, trovandosi in angustie, si duole di non aver partecipato alle grazie sovrane nella distribuzione del grano fattasi con le due vistose partite accordate dal Monarca. Oltre il ricorso fatto, sottoscritto da ben72 individui, gli agricoltori si erano presentati in massa al Municipio esponendo d’essere stati traditi nelle loro speranze per aver spinto al di là delle proprie forze la seminagione, e dichiarando che trovavansi nella dura circostanza di abbandonare i terreni.

• Tumulto

Ecco la relazione dei tumulti accaduti a Sassari il 17 e 18 marzo, spedita dal Municipio al Viceré: «Il popolo, recatosi la sera del 17 verso le sette e mezza al palazzo civico, ebbe a promuovere le più vive instanze in modo imponente perché venisse migliorata la qualità della carne, e provvisto il macello a termine del contratto dell’Impresa, senza riguardo alle esclusioni dell’annata, sulle quali basava l’impresario le sue ragioni per non potersi adeguatamente adempiere. Convenne, dietro questo fatto, spiegare maggior energia ed efficacia, e si pubblicava un manifesto promettendo di ripararvi. Così finiva, per detta sera, la riunione di quella moltitudine nel civico Palazzo; ma essa non si limitò a questa dimostrazione, né si sciolse.
«La sera del giorno seguente, alla stessa ora, assai più numerosa la folla si riversò nel detto palazzo, ingombrando la via, l’andito, la scala; ed ivi nuove e più intense grida venivano fatte sulla distribuzione del grano, sulla piantagione del tabacco, e sul pronto eseguimento dei pubblici lavori, volendo pure che fossero espulsi dal Municipio l’architetto civico Pau e certo Pischedda, beccaio, i quali colla loro condotta dimostravano non potersi più oltre mantenere nella carica loro affidata.
«Essendo il popolo accorso al Palazzo in ora insolita, non si trovava colà che il solo sindaco prof. Achenza ed il consigliere Ponzeveroni, i quali tentarono calmare la moltitudine, che non sentiva ragioni. La folla finalmente sgombrò dal palazzo, ma per riunirsi più clamorosa in altri punti della città.
«L’indomani, 19, il Municipio credette bene pubblicare un manifesto relativo alla distribuzione dei grani; e la mattina dello stesso giorno il Consiglio assisteva al progetto di un riparto di grani in favore degli agricoltori di Sassari; e vedendo che 400 ettolitri non bastavano, trattandosi di un corpo di oltre 240 individui, si supplicò la Reale giunta per portarli a 1.050 ettolitri.
«Si deliberò di destituire il Pau da architetto e il Pischedda da beccaio, e ciò per loro sicurezza, stante il malumore del pubblico – e fu delegato alla direzione dei lavori l’architetto Piretto, il quale era stato acclamato dalla moltitudine.
«Restano ormai a ridursi ad effetto le domande dei pubblici lavori e della piantagione dei tabacchi, per le quali il Consiglio implora disposizioni e provvedimenti dal Governo – sia per le L. 3.000, richieste con foglio del 18, per spendersi nel riattamento delle vie per impiegare i muratori a spasso – sia per venir dispensato, almeno per quest’anno, il sistema Botton nella piantagione dei tabacchi.
«Si pensò, che se vi sono bravi e distinti cittadini che bramano la quiete, non mancano delle persone che, afflitte dalla miseria, od altrimenti scontente, cercano ogni appiglio per promuovere turbolenze».
La mattina del 18 – prima del secondo tumulto – il Municipio aveva scritto al Viceré a proposito dei muratori a spasso: «Stante la mancanza di lavori e le strettezze, i muratori domandano lavoro al Municipio. Questa gente frattanto siede giornalmente qua e là nelle piazze e nelle porte. Quest’agglomeramento di persone oziose, fameliche, mentre da un canto eccitano alla commiserazione così dall’altro mettono in soggezione e fan temere qualche turbamento nella pubblica quiete. Il Consiglio non vede altro mezzo, che impiegare un discreto numero di questi muratori nella riparazione delle vie della città».
Per occupare la classe indigente si era riconosciuta la necessità di riabbassare la strada reale nel perimetro designato nelle Appendici onde renderla adatta alle costruzioni. Il Consiglio, in seduta del 21 marzo, deliberava in via d’urgenza, per i moti popolari, di dar mano al riattamento delle vie, essendo insufficiente per gli operai l’inghiaiamento dei due chilometri di stradone che si stava eseguendo da Santa Maria alle Bombe; di più si proponeva un prestito di L. 50.000 per poter impiegare tanta gente inoperosa.
Noti il lettore come i festini e gli entusiasmi si alternavano coi tumulti per la mancanza di lavoro e per la miseria delle due classi più numerose del nostro popolo: gli agricoltori e i muratori!

• Ripartizione dei grani

Dalle suddette relazioni il lettore avrà potuto farsi una idea dei tumulti accaduti in Sassari; in esse però si tace delle grida, degli insulti, scandali e persecuzioni che ebbero luogo in quel tempo – i quali però si possono immaginare, perocché il popolo, quando è afflitto per la mancanza di lavoro, non ha che un unico modo di manifestare il suo malumore e il suo risentimento. Aggiungerò solo, che tutte le colpe di quei tumulti si fecero ricadere sugli ufficiali montuari, e principalmente sul Cav. Sequi Bertolotti, Reggente l’ufficio diocesano di Sassari. Si accesero allora vive discussioni, e vi furono virulente polemiche fra rispettabili cittadini. Uno degli avversari del Sequi fu il Fulgenzio Delitala che il 10 aprile pubblicò un articolo sul Nazionale di Cagliari, e poi replicò alle osservazioni del Sequi con un opuscolo pubblicato dalla Tipografia sociale di Sassari – Ivi si parla dei tumulti del 17 e 18 marzo, in cui il popolo domandava la distribuzione dei grani mandati da Carlo Alberto, non per particolare speculazione, ma per soccorrere i bisogni dell’Isola. Si accusa il Sequi di avere distribuito la maggior parte di grano a persone non appartenenti al ceto agricolo; fra 244 agricoltori e narbonai sassaresi, soli 9 erano stati ammessi a partecipare della grazia sovrana; di più, nella distribuzione si erano persino posposti gli agricoltori di Sassari a quelli di Oschiri.
Nel 22 aprile il Sequi Bertolotti pubblicò una protesta contro Francesco Michele Dettori, autore d’una scrittura in cui si parlava degli assembramenti del 17 e 18 marzo, incolpandone il Gerente 1’Ufficio Diocesano. Alla protesta del Sequi il Dettori rispose con un pubblico avviso, che fu subito incorniciato di fiori dalla popolazione; né basta. La domenica 23 aprile, (come leggesi in un articolo di cronaca della Sardegna) verso l’imbrunire, il popolo entusiasta gridava per le vie Viva Dettori! Viva il nostro difensore! E come seppe che il Dettori trovavasi nel teatro dei dilettanti (recitando a favore degli orfanelli) corse là, lo chiamò all’onore del proscenio, lo aspettò alla porta, e finito lo spettacolo lo accompagnò a casa coi lumi accesi. Il giorno 24 gli Agricoltori pubblicarono una protesta contro gli ufficiali montuari.
Il Governatore Barone Camossi esortava, con proclama del 24, a cessare dai tumulti in odio ai pubblici ufficiali; egli pregò i cittadini a mostrarsi degni della libertà, e di prepararsi nella quiete alle elezioni; disse che le dimostrazioni, senza raddrizzare alcun torto, non conducono che ai disordini, con vantaggio soltanto dei malintenzionati. Il consiglio fu accolto dalla gioventù, la quale bruciò le scritture ingiuriose, del che ringraziolli il Governatore con proclama dell’11 aprile. A onore del vero bisogna convenire, che nella questione dei grani l’odio di parte non era forse estraneo ai tumulti accaduti; i difensori del Sequi fecero notare, che se non tutti gli agricoltori avevano fruito del grano, era vero altresì che il grano non era stato involato da alcuno, ma bensì distribuito a gente povera e bisognosa. La libertà di stampa, di recente concessa, non era ancora ben compresa, e si trascendeva in polemiche virulente. E fosse ciò accaduto soltanto nel 1848!

• Arruolamenti

Le notizie pervenute della guerra dichiarata all’Austria da Carlo Alberto destarono il fanatismo nella gioventù sassarese. Ripensando alle torture ed alle umiliazioni subìte in ogni tempo dall’Italia, si accese più vivo che mai nel cuore dei giovani l’odio per lo straniero. Un grido d’indignazione contro i tedeschi irruppe da cento petti, e le passeggiate per le vie, e gli inni patriottici e le dimostrazioni entusiastiche si ripeterono da un capo all’altro della città.
Le vittorie di Goito, di Monzambano e di Valeggio raddoppiarono il fervore della gioventù. Furono aperti gli arruolamenti per i volontari, e tutti andavano a gara per incoraggiare i valorosi che volevano accorrere sui campi lombardi, onde combattere per l’indipendenza italiana.
Il giornale La Sardegna, (fondato nei primi del mese di aprile) in cui scrivevano valenti cittadini sassaresi, come il Paolo Martinelli, Francesco Sulis, Francesco Michele Dettori, Nicolò Ferracciu, Gavino Passino, Fulgenzio Delitala ecc. ecc., riporta qua e là alcuni articoli di cronaca sassarese, di cui mi varrò di tanto in tanto, citandone la fonte.
A proposito della simpatia destata dai volontari, si legge nella Sardegna, che trovandosi il Cav. Fancello (maggiore nella R. Armata) in un negozio di chincaglie, autorizzò un volontario, ch’era entrato per provvedersi di piccoli oggetti, a comprare fino a cento lire, lasciando a lui la cura di pagare. Il giovine ringraziò commosso, ma non volle accettare. «Azione generosa! – esclama il giornale – Chi non può col braccio, tenti almeno di concorrere con le largizioni alla grande opera italiana».
Il 28 di aprile era in Sassari un gran movimento per la partenza dei volontari. Si aprivano dovunque sottoscrizioni, che venivano subito coperte. La mattina del 30 la campana del Palazzo comunale suonava a festa, ed il tamburo del quartiere generale chiamava alle armi ottantasei volontari (di cui 61 sassaresi) che dovevano recarsi a Portotorres per prendere imbarco. Scrive La Sardegna, che il Governatore Camossi in Piazza Castello passò in rassegna il drappello dei volontari, a cui diresse entusiastiche parole. Tutti piangevano di commozione. Il F. M. Dettori allora esclamò rivolto ai giovani: – A che vale il pianto? Si corra a sostenere la santa causa dell’indipendenza e della libertà! – «La folla allora irruppe in un grido; Viva l’Italia! viva Carlo Alberto, e morte ai tedeschi!». La banda militare intonò l’inno italiano; e il corteo, con a testa il Governatore, sfilò lungo il Corso sino a Campo di Carra. Le vie erano gremite di persone, e così le finestre dalle quali partirono saluti di gioia e mazzi di fiori.
In Campo di Carra era ad aspettarli un drappello di donne sarde italiane. Prima fra tutte si avanzò la damigella Teresa Binna, tenendo fra le mani il vessillo tricolore, e pronunciò entusiastiche parole all’indirizzo di quei giovani che si recavano sul campo di battaglia. Le rispose Giovanni Biddau, ch’era a capo dei volontari.
II Padre Edoardo Scano delle Scuole Pie si fece anch’egli innanzi e confortò quei volontari alla nobile impresa. – Vi furono allora abbracci, strette di mano, saluti, lagrime di commozione fra i parenti e gli amici – La sera giunsero a Portotorres, scortati dalla musica e seguiti da molti amici e parenti che vollero accompagnarli fin là. L’indomani alle ore 7 del mattino, dopo essere stati passati in rivista, montarono sul vapore che salpò dal porto fra le grida entusiastiche del paese.

• Operai senza lavoro

Lo abbiamo detto: nel 1848 i festini e gli entusiasmi si alternavano con la povertà e la miseria. Il 12 maggio il gremio dei calzolai, spinto dalle strettezze e dall’angustie in cui si trovavano, chiesero al Municipio un prestito in grano od in danaro. Il Municipio era disposto a conceder loro 14 rasieri di grano, però mediante scrittura formale e relativa cauzione. Un mese prima (il 18 aprile) lo stesso Consiglio fece pratiche col Viceré per la concessione di un prestito di lire 100.000, col doppio scopo di ultimare i lavori della strada Sassari-Alghero, e d’ impiegare tante persone povere e vagabonde.

• Altri volontari

Si continuano gli arruolamenti per la guerra dell’Indipendenza. Il 15 maggio la Società filodrammatica offrì una recita a benefizio dei Volontari. Nell’intermezzo il poeta F. M. Dettori declamò un suo componimento di circostanza. Il pubblico inebriato, dai palchi e dalla platea, proruppe in applausi; e, tutti in piedi, intonarono l’inno: Sorgiamo, sorgiamo, con le armi imbrandite. Entusiasmo indescrivibile.
All’indomani, 16, partenza di nuovi volontari, con a capo i fratelli Gavino e Luigi Cesaraccio. La Società filodrammatica regalò loro una bella bandiera, per mano dell’Arcivescovo. Alla notte grande illuminazione per la città; la milizia salutò i volontari con tre scariche. All’alba del giorno seguente partirono da Portotorres. Il 20, poco prima della mezzanotte, appena terminata la recita, i filodrammatici, preceduti dall’orchestra e seguiti da immenso popolo e molte signore, si recarono presso al Quartiere, intonando l’inno Sorgiamo, sorgiamo! – Tutte le finestre del Corso si erano improvvisamente illuminate. (Dalla Sardegna).

• Fuga di prigionieri

Il 29 maggio, alle ore 6 del mattino vi fu una specie di rivoluzione fra i detenuti nelle Carceri di S. Leonardo. Molti prigionieri si avventarono ad uno dei custodi per togliergli le chiavi. Allarme generale in città. I prigionieri scapparono; – molti furono inseguiti ed arrestati per le vie dai cittadini; uno solo fuggì, un certo Falco cieco di Aggius, il quale era evaso altra volta dalle Carceri di Tempio. – Il giornale lamenta lo stato in cui si tengono i prigionieri – li chiama «dimenticati dalla giustizia, stipati in una fogna, lasciati languire senza pietà». – Nel luglio si trovavano dentro quelle carceri 245 detenuti.

• La guerra e i monelli

Si aspettavano con ansia le notizie della guerra; e l’odio per i tedeschi era più vivo che mai nell’animo di tutti. Gli stessi monelli non facevano che cantar canzonacce contro i croati. Nella Sardegna leggonsi due articoli di cronaca che voglio riportare.
Il 1° di giugno, verso le sette, cinquanta e più ragazzi, armati di fucili di legno e di canna, si riunirono nella piazza della Carra, e divisi in due distinte compagnie, imitando gli italiani ed i tedeschi, cominciarono la battaglia. Si batterono a pugni e a colpi di canna; molti di quelli che rappresentavano i tedeschi si diedero alla fuga, o si fecero prendere come prigionieri. «In altra parte della città accadeva altra scena singolare. Venticinque o trenta ragazzi trascinavano un avvoltoio legato al collo da un canape, gridando: abbasso l’aquila tedesca! Poi la spennarono cantando in coro: Già l’aquila d’Austria le penne ha perduto!

• Ancora della guerra

La sera dell’8 giugno si cantò il Tedeum per la vittoria riportata dai nostri a Peschiera nel 30 maggio. Il 15, alla mezzanotte, i rulli del tamburo fecero di nuovo illuminare tutte le finestre del Corso. Era un nuovo drappello di volontari che attraversava la città per prendere imbarco a Portotorres.
La notizia che il Papa avea voltato faccia, insieme ad altri alleati, cominciava già a penetrare nell’orecchio della Gioventù, e specialmente degli studenti, i quali si pentirono di avere il 5 di maggio solennizzato l’onomastico di Pio IX nell’Università, dettando in suo onore un’epigrafe.
L’8 di luglio un negoziante poneva in vendita un fazzoletto, nel cui centro era stampata l’effigie odiata di Ferdinando II. Gli studenti, seguiti dalla folla, costrinsero l’imprudente a ritirare la mercanzia. Nello stesso mese La Sardegna fa menzione di articoli lusinghieri riguardanti il valore ed atto eroico del sassarese Agostino Tiragallo, capitano. Il Municipio, più tardi (il 29 agosto) scrive al Sotto Commissario di Guerra, pregandolo di fargli conoscere i nomi dei volontari che man mano si arruolano per la Guerra dell’indipendenza, nonché di quelli che offrono sussidi; e ciò per farli conoscere al pubblico, e per prenderne nota nel Palazzo civico, volendo onorare un atto sublime esercitato in tempo di vero bisogno ed in vantaggio della causa comune.

• Guardia Nazionale

Il Consiglio comunale, volendo stabilire su basi più solide la Guardia civica provvisoria creata il 19 febbraio per l’interna sicurezza, nominava una commissione, in attesa del R. Editto promosso al riguardo. La Commissione nominata in seduta del 21 marzo era composta dei signori: Sindaco Don Gerolamo Berlinguer, Don Simone Manca, Avv. prof. Ferracciu, Garavetti sottotenente di Piazza, Avv. Lorenzo Castoldi, Stefano Castiglia, e Cav. Avv. Gerolamo Sedilo aggiunto e segretario. Nei primi di maggio il Governatore dà incarico al Municipio di organizzare la Guardia Nazionale; nel giugno si domandano fucili per i due Battaglioni formati di undici compagnie – e se ne accordano 275 (25 per compagnia). Nel luglio nasce l’emulazione nei cittadini, tutti vogliono istruirsi, e chiedono altri fucili per la formazione d’una dodicesima compagnia; si nominano gli ufficiali; si chiede all’Intendente l’autorizzazione di unire in legione i due Battaglioni; si domanda un istruttore al colonnello dei Cacciatori Sardi. Si manda all’Intendente il presuntivo delle spese per la Guardia Nazionale, ascendente a L.10.000, cioè: L. 600 per compra di 22 tamburi a L. 24, e spese accessorie; L. 500 per due bandiere ai due battaglioni; L. 2.600 per la divisa dei 24 tamburini; L.3.960 per soldo a 22 tamburini a L. 15 mensili; L. 2.090 per registri, carta, controlli e minute spese; e L. 230 per conservazione delle armi.
Il 6 agosto la Società Filodrammatica offerse una recita a benefizio della Guardia Nazionale, a cui fruttò L. 326,52: Il Municipio ringraziò con bellissima lettera.
Nei primi dello stesso mese il Capitolo Turritano cedette molti arretrati attivi della sua azienda (circa L. 2.000) per concorrere alla spesa del vestiario della Guardia Nazionale, riconoscendola come la gemma più brillante della Costituzione, e potente baluardo per chi tentasse menomarla. – Il 29 dello stesso mese il Municipio restituisce al Capitolo la Nota degli arretrati dicendogli che non ha potuto riscuotere che una sola somma; lo prega d’incassar lui gli arretrati e di fargli avere la somma in danaro.
Con manifesto del 23 il Municipio chiede oblazioni al pubblico in favore della Guardia Nazionale, e nomina apposita Commissione per regolarla.
II 29 agosto nascono contestazioni fra i due battaglioni di Levante e di Ponente, per l’anzianità e la preminenza. Il Maggiore di Ponente dice di spettare a lui la dritta perché il suo battaglione ha una compagnia di più, e perché trovasi il primo designato nella regia nomina. Il Maggiore di Levante fonda invece le pretese sulla maggioranza del suo grado nelle R. armate, e sulla sua maggiore età – esso invoca un articolo di legge – Il Municipio vorrebbe estrarre a sorte la preminenza, ma finisce per appellarsene all’Intendente Generale. – Da queste contestazioni nacquero gelosie e malumori, né so che cosa accadesse in seguito; pare però che la questione sia andata per le lunghe, perché nella tornata dell’8 maggio dell’anno seguente (1849) il Consiglio, sulla proposta dei due Maggiori, convenne di risolvere la questione per l’alternativa, prendendo ogni battaglione a vicenda il primo posto nelle diverse circostanze che si dovevano riunire.

• Processione turbata

La processione della Madonna degli Angeli (2 agosto) faceva ritorno a S. Maria; allorché, uscita da Porta d’Utzeri, gli stendardi dei muratori, scarpari, viandanti e ortolani si trovavano presso alla Chiesa, alcuni dei più giovani del gremio degli scarpari si strinsero attorno all’operaio che portava il loro stendardo, e ne nacque un parapiglia. Accorsero cavalleggieri, e guardie, ma inutilmente; le conseguenze del diverbio furono: un sergente della Guardia Nazionale offeso nella sua dignità, due fratelli del gremio feriti, e lo stendardo dei calzolai rotto in due pezzi!

• Ospite

Il 10 agosto arriva a Sassari il Deputato Giovanni Siotto Pintor di Cagliari. I sassaresi gli fanno una cordiale accoglienza; molti cittadini gli offrono una serenata e mettono a sua disposizione le proprie carrozze.

• Corte d’Appello

(31 agosto) Il Municipio scrive al Deputato Don Pasquale Tola, raccomandando caldamente diverse pratiche, fra cui l’apertura d’urgenza del Convitto e Scuole di Gesù Maria coi relativi insegnamenti. «Sarebbe pure a desiderare (dice la lettera) che contemporaneamente all’osservanza del Codice Civile e Penale, si stabilisse in questa città la Sezione del Consiglio d’Appello, affinchè non nascano dubbi sulla competenza dell’attuale Magistrato della R. Governazione in materia penale».

• Prestito Nazionale

Invitato dall’Intendente Generale per concorrere al Prestito Nazionale, il Municipio risponde in data del 20 Settembre, che le sue casse sono esauste, e che non può far altro che versare L. 3.000 nella R. Tesoreria in conto della sua debitura.

• Guardie e vendemmie

Stante il richiamo delle truppe in Continente per la guerra, s’invita la Guardia Nazionale ad occupare i Corpi di Guardia del Palazzo Civico e di Porta Rosello, perché di somma importanza, essendo i due punti principali di ritrovo. Il Municipio risponde il15 Settembre, che la Guardia Nazionale si sarebbe prestata volenterosa, anche con sagrifizio, a questo servizio; senonché, avvicinandosi il tempo delle vendemmie, si notavano molte mancanze nei militi, da far temere un totale abbandono; motivo per cui si prega di far intervenire i soldati rimasti nel R. Quartiere per i Corpi di Guardia, lasciando alla milizia nazionale il solo Palazzo di Città.

• Trasloco di S. Catterina

Si scrive all’Arcivescovo pregandolo di traslocare la Parrocchia dalla chiesa di S. Catterina a quella di Gesù Maria – «La chiesa di S. Catterina (si scrive) è indecente e poco dicevole alla maestà della Religione, ed è impossibile migliorarla per la decadenza; di più essa è poverissima, mentre Gesù Maria è centrale, largamente dotata di vistosi fondi, ricca di legati pii, cappellanie, novene, anniversari e feste, che, con la frequenza dei fedeli, accrescono lo splendore della parrocchia, fornita di sacri arredi, suppellettili ed argenterie». – Si scrive pure al Deputato cav. Tola perché si adoperi per questa traslocazione, demolendo la chiesa di S. Catterina, come si era chiesto altra volta al R.Ministero del Culto.

• Scandalo

Il 3 di ottobre il Municipio scrive all’Arcivescovo contro il parroco di Ossi che minacciò rifiutarsi al seppellimento di uno spurio, se prima non gli si sborsava la solita somma di L. 1.20», soggiungendo con termini poco degni di lui, di non dover egli sopportare il peso degli altrui piaceri, e restringendosi poi a seppellire il cadaverino per soli 72 centesimi».