I tempi d’Angioi – 2

 

• Il Governo di Angioi.

Fu scritto dai detrattori dell’Angioi, che il suo governo in Sassari fu famoso per atti violenti e per vandalismo; e ciò è una calunnia. Lo stesso Manno, che dedica una pagina a questo riguardo, non potè fare a meno di notare, che «la prima cura di Angioi, giunto a Sassari, era stata quella di cattivarsi i sassaresi con provvedimenti di diffuso benefizio che risultano agli occhi di tutti. L’annona era manchevole in Sassari, e scarsi più che mai, dopo quelle politiche agitazioni, presentavansi i mezzi ai poveri popolani di locare utilmente le loro opere. Scrisse adunque e riscrisse caldamente al Governo di Cagliari per avere pronte provvigioni di frumento, ed ebbe pane a buon mercato. Dispose pubblici lavori per migliorare l’aspetto della città, e un po’ di danaro girò in tal guisa nelle mani delle classi inferiori». Il governo d’Angioi fu temperato. Angioi non taglieggiò i patrimoni dei baroni fuggiaschi, non usò violenze, né di alcuna cosa che sapesse d’arbitrio e di prepotenza; per le spese degli Urbani contrasse prestiti nel Contado. Nei tre mesi dell’amministrazione angioina (descritti come nefasti per oppressione sfrenata e molti vizi) non accadde a Sassari che un solo omicidio; e fu quello di Antonio Bene, il quale aveva tradito e abbandonato una donna; – non accadde che un furto, e fu quello del negoziante Paolo Pompeiano; ma chi arrestava i ladri e ricuperava porzione dei danari rubati fu appunto il giovine medico Sini, Capitano degli Urbani. E ben lo prova un dispaccio governativo (trasmesso il 16 Maggio 1796 dal Magistrato della Reale Governazione al Viceré) nel quale è detto: – «Possiamo assicurare V. E. che falsi sono ed inventati dalla malignità i disordini e gli eccessi che diconsi praticati sotto i nostri occhi e nelle ville di questo Capo, mentre ci abbiamo fatto la più scrupolosa premura di renderla in ogni occorrenza consapevole di quanto accade in questa città e nel Capo, e quindi tutto è finto quanto di soprappiù si scrive». Perché dunque, il nostro principale storico, scrive che le milizie di Angioi si componevano di quanto trovavasi di mal capitato, di più sfrenato e più spavaldo nella giovinaglia? – Perché scrive che Angioi ammetteva alla sua famigliarità e faceva suoi custodi gli uomini più famati per mala vita, bruttati già di sangue, spaventatori a faccia sinistra, e, se il caso venisse, anche accoltellatori? – Avesse almeno dichiarato che nelle Milizie urbane vi furono taluni di dubbia fama, come anche accadde nelle Centurie di Cagliari, e come di frequente accade nella primitiva formazione di consimili milizie! E, per ultima prova, basta il fatto: che, allorquando si rizzarono i patiboli e si aprirono gli ergastoli a vendetta dei cosìdetti Regi (come nota il Sulis) tutti furono condannati per aver voluto cambiare il governo politico del Regno in Repubblica (come dice la sentenza) nessuno però fu giudicato a titolo di assassinio o di furto!

• Il Vicerè si desta.

Il Viceré, incerto per qualche tempo sui veri disegni d’Angioi, aveva cooperato colla sua autorità a secondare molti provvedimenti presi dall’Alternos; avvedutosi, poi, che gli affari prendevano una brutta piega, mutò stile e, stimolato dagli Stamenti, fece ad Angioi qualche rampogna. Gli chiese conto di molti atti arbitrari e illegali, eseguiti senza darne alcuna relazione. Angioi dissimulava sempre, e dava risposte evasive, dicendo che gli autori dei disordini che si commettevano non erano che i feudatari.

• L’occupazione di Alghero.

Abbisognava ad Angioi un atto ardimentoso. Gli parve che l’occupazione di Alghero, munita di bastioni e di artiglieria, fosse stanza opportuna ad armamenti stabili. Stimolo all’ardita impresa furono i suggerimenti dei fratelli Simon, algheresi; e non pochi democratici, di buona fama, erano preparati ad aiutare il nuovo governo. Contrario era il Governatore Carroz, vecchio soldato fedele alla consegna, il quale non comprendeva chiaro quest’affare d’Angioi; e guardando con occhio diffidente i liberali, protestava pubblicamente che avrebbero in lui trovato un osso duro. L’Angioi, prendendo pretesto dalla comparsa di alcune vele nel golfo di Porto Conti, diè voce che bisognava custodire la marina; e il 18 Marzo mandò verso Alghero molte squadre capitanate dal Rubattu, a cui si associò il parroco Murroni, sempre pronto a qualunque impresa per la causa della libertà. Il Carroz però chiuse le porte della Città; e minacciò il fuoco delle artiglierie ai non graditi ospiti. La Città fedelissima non voleva sapere di Alternos, né di nuovi governi.  E le squadre fecero ritorno a Sassari. La mancanza dei viveri cagionò disordine fra le schiere armate, le quali si gettarono sui bestiami che rinvennero negli altrui pascoli. Il Manno aggiunge, che molti individui avevano scrupolo di mangiar carne, essendo il Venerdì della settimana di Passione; ma il parroco Murroni, valendosi del suo sacro ministero, autorizzò le turbe a rompere il divieto della Chiesa. Il fallito tentativo dei democratici rinfocolò i dissidi nella cittadinanza algherese. Il Sindaco e i Consiglieri protestarono contro il Governatore che aveva respinto colle armi 1’autorità legittima dell’Alternos; ma il Governatore, duro come un tedesco e fedele alla consegna, chiamò ribelli i Consiglieri ed il Sindaco. Le milizie angioine tentarono riprendere con assalto notturno la città d’Alghero; ma il Carroz stette all’erta, e seppe schivare l’assalto di cui era stato avvertito segretamente da alcuni studenti algheresi, partiti da Sassari – scrive il Manno. Quest’inaspettata resistenza sdegnò l’Angioi; egli ne scrisse al Viceré, dicendo che non si voleva ubbidire ai comandi dati per l’ordine pubblico. Il Viceré si tolse d’impaccio, dando tutte le colpe al maggiore di piazza. Ad ogni modo, il fatto della resistenza di Alghero, non superata dai democratici, menomò il concetto della possanza ed autorità Angioina presso i nemici di essa, i quali ebbero desiderio di sangue e di vendetta.

• Una congiura a Sassari.

Dicesi che una congiura fosse organizzata in Sassari per uccidere l’Alternos. Fu indicata la casa di Don Antonio Deliperi, cavaliere di casato baronale, siccome luogo di convegno per i congiurati. Principali autori dell’intrigo si designarono un Avv. Giovanni Usai, un Don Ignazio Quesada e i due fratelli Gavino e Stefano Agnesa. Il fatto però fu messo da alcuni in dubbio, perché proveniente da un prete, che affermò aver saputo la trama e i nomi degli autori nel segreto della confessione – Ad ogni modo i sospetti esistevano, e difatti si arrestarono alcuni nobili, compreso il Deliperi con due suoi figli, e il professore di fisica Sircana, algherese. La città di Sassari fu di nuovo in agitazione; alcuni nobili che avevano emigrato prima dell’arrivo d’Angioi, e che erano rientrati in paese, abbandonarono nuovamente la loro patria. Gli arrestati furono prontamente rimessi in libertà, per ordine del Viceré. Non possiamo qui tacere di un atto arbitrario e biasimevole commesso dall’Angioi in quella circostanza. Lasciandosi trasportare dalla passione, egli diè il bando da Sassari al Cav. Deliperi ed al suo figlio primogenito. Non avendo prove per condannarli, abusò della sua autorità e volle punirli per proprio conto. Fu un’azione indegna, la quale non fa certo onore ad Angioi!

• Emigrati.

Dò ai lettori, per semplice curiosità, l’elenco degli emigrati da Sassari, ai tempi d’Angioi. Sono in numero di 32, che io tolgo dai R. Archivi di Stato. – Duca dell’Asinara – Marchese di Muros – Marchese di Busacchi –   Marchese di Sedilo, col fratello Don Filippo e col nipote Don Bartolo Rocca Serra – Il Conte d’Ittiri – Barone d’Uri – Il signor Arciprete, rettore di S. Catterina – Don Francesco Maria Manca – Don Felice Deliperi – Don Giambattista Martinez – Don Francesco Quesada –  Don Raimondo Quesada – Don Giuseppe Belly – L’Ufficiale delle Compagnie Franche – Cav. Garrucciu – Don Ignazio Sircana –  Don Gio. Maria Delitala – Professor Fontana – Avv. Francesco Maria Fontana – Avv. Diego Manfredi – Notaio Gaetano Piretto –  Notaio Francesco Manca, e suo figlio Ignazio – Pietro Manca Sequi, massaio – Carlo Tiragallo – Il sotto Custode di queste R. Carceri, Nicolò Serra – L’Aiutante di questa Piazza, Gavino Pinna Santino.

• Angioi va innanzi.

I tentativi mal riusciti, nell’occupazione di Alghero, non scoraggiarono 1’Angioi. Aizzò nuovamente i vassalli, e tornò alla guerra feudale. Spingevalo anche a ciò – scrive il Manno – la notizia della pace conchiusa a Parigi il 15 Maggio tra il re di Sardegna e la Repubblica francese. Egli confidava che la Francia, divenuta amica del re, proteggerebbe un suo vecchio partigiano. Sperava ancora (è sempre il Manno che lo dice) che si sarebbe concessa un’amnistia, in cui sarebbe compresa anche la sua impresa mal’andata. E i partigiani di Cabras, in Cagliari, mettevano in mala voce l’Angioi, per fargli perdere terreno, chiamando artifizio di personale ambizione le sue aspirazioni liberali. – Cabras e Pintor cercarono di ottenere la benevolenza del popolo, e primo di tutti il Sulis, che colle adulazioni avevano tirato alla loro parte.

• Il Re risponde.

Nell’aprile giunsero finalmente lettere dell’Arcivescovo Melano, col sospirato rescritto del re, in data 30 marzo. E il re – per orpellare il rifiuto delle chiestegli concessioni- adoperava parole tali che, se testimoniavano la benignità del suo animo, significavano anche la ferma volontà di non voler cedere dell’assoluto suo potere – Scriveva frasi sibilline sulla chiesta amnistia, dicendo che l’avrebbe data, ma coi dovuti riguardi alla giustizia; – sulla riunione delle Cortes scriveva che provvederebbe, ma che voleva lontani le discordie, i tumulti, gli interessi e gli odi privati; – sulla domanda che gli impieghi dell’Isola si concedessero ai soli sardi, rispondeva di voler sostenere per essi le sole nomine degli impieghi subalterni.  Insomma, Vittorio Amedeo dichiarava, con bella maniera, di voler mantenere le dottrine dell’assolutismo, senza alcuno scrupolo per le commozioni accadute, o da accadere. Le risposte del re erano molto magre. I baroni sardi esultavano –  ma i moderati furono malcontenti e sfiduciati. Cabras, Pintor, Sisternes, Musso, Ghisa, e gli altri adepti, consultarono la loro coscienza… e si appagarono.   I due primi – dice il Sulis – sursero per opinare che gli Stamenti decretassero grazie al Sovrano, dichiarando che accettavano senza chiosa le deliberazioni tutte che al Monarca piacesse prendere! – I membri delle Cortes chinarono la fronte, a meditare sull’eccitamento a servitù che lor davano quegli uomini; i quali avevano prima congiurato con Pitzolo – poscia stretta la mano ad Angioi sulla tomba del caduto – eransi quindi separati da lui per ordinare lo Stato a mitezza di moderazione – e che ora, ad ultima vergogna di versatile ingegno, sorgevano campioni di Monarchia assoluta!». Un angioino – l’abate Simon – sorse risoluto per ragionare sulla necessità in cui si trovavano gli Stamenti di mantenere la loro petizione; e il suo discorso fu così caldo e patriottico, che venne decretato, a maggioranza, di ripetersi l’ossequio e l’omaggio al re, per ottenere ciò che avevano chiesto. Fu incaricato lo stesso Simon per redigere la nuova rimostranza, che fu spedita a Monsignor Melano acciò la presentasse al Monarca. Fra i molti atti delle Cortes – scrive il Sulis – il più dignitoso fu questo, che compì il 29 Aprile 1796. Gli Stamenti però, consentendo alle inimicizie di Cabras e di Pintor contro ad Angioi, nelle dispute dei fatti d’Alghero, e votando nel 29 Aprile l’animosa proposta dell’angioino Simon, non obbedivano che all’ambizione della propria supremazia. Quanto ad Angioi, anche nella pompa della sua dignità officiale, veniva ritenuto come avversario implacabile, e lo chiamavano Giacobino – E se al Simon prestarono ascolto, fu solo perché li lusingò col tasto delle famose domande, prima delle quali quella degli impieghi.

• Angioi alle strette.

Il Viceré, finalmente, ruppe ogni indugio, si atteggiò ad imperio, e scrisse all’Alternos che obbligasse colla forza i contumaci ai tributi baronali. Si pretendeva con quel comando che colui che aveva suggerito e patrocinato la lega dei Comuni contro i feudatari, la violentasse per annullarla. – Angioi, sdegnato, rispose al Viceré di non aver l’officio di esattore baronale, né mai lo accetterebbe, e, già indispettito per le deliberazioni prese dagli Stamenti per la questione d’Alghero, tolse argomento per eccitare gli odi dei democratici. Il Viceré cominciò coll’accusare Angioi di disubbidienza. Il Reggente Cocco accomodò gli screzi, e, forse d’accordo col Viceré, pregò con lettera Angioi che smettesse la carica d’Alternos; la quale, per fatalità di tempi, faceva precipitare in ribellione. E lo esortò a tornare a Cagliari, per riprendere il suo seggio di magistrato. Angioi ricusò l’invito.    Intanto gli giunse notizia delle vittorie francesi del 14, 16 e 20 Aprile. Il successo della Francia esaltava tutti i liberali; e perciò nuovo stimolo ne risentì l’Angioi; deliberò l’ultima risoluzione per tanto tempo promessa, e celata. Pure, volle tenere ancora la maschera; e scrisse al Viceré, che egli aveva vivo desiderio di comporre i dissidi del Logudoro – e a tal fine aveva stabilito fare un giro nel contado per studiare gli animi e ridurli a tranquillità – Egli, così, proponeva far capitale de’ suoi partigiani, approfittando dello scoraggiamento dei moderati di Cagliari per la sventura del re piemontese.

• Angioi lascia Sassari.

Il 29 Maggio, con magnifico apparato di Miliziani, di dragoni, ed amici, Angioi usciva dalla città di Sassari, diretto per Tissi, Ossi, ed Usini, dove ferveva l’elemento propizio a’ suoi disegni. Egli lasciava al governo di Sassari quel Gioachino Mundula – dice Sulis – il quale, se non possedeva l’arte delle cose militari, ne aveva l’istinto. Gettandosi Angioi nel pericoloso esperimento di guerra, si privava di colui, che forse gli avrebbe prestato un valido aiuto.

• Viaggio di Angioi.

Il ricevimento fatto ad Angioi nei diversi villaggi fu trionfale. Dappertutto fu onorato, alloggiato, festeggiato – Cessando finalmente dalle cautele fin allora usate, egli sorgeva animosamente tra la calca delle genti, e le eccitava a definitivi propositi, chiedendo recisamente che i popolani si pronunciassero, sei volessero, o non, la libertà; giacché, se la volevano, essere allora il momento di procacciarsela – Angioi si fermò in Tissi; poi in Florinas, dove il parroco Murroni conchiudeva, che bisognava armarsi, e colle armi combattere per Angioi contro Viceré, Stamenti, e il mondo tutto. L’entusiasmo cresceva, e crescevano le squadre; ma col numero cresceva la confusione, mancando affatto l’organamento dei comandi, delle provvigioni, e della disciplina. Erano masse di gente volonterosa, entusiasta, ma senza direzione alcuna – E coi discorsi perdevasi intanto un tempo prezioso. Il 6 Giugno furono a Macomer, dove incontrarono resistenza. E le masse indisciplinate, con dispiacere dell’Angioi, ebbero a combattere co’ partigiani dell’avv. Pinna e di Salvatore Tola, che si dichiararono i contrari. Dopo un vivo scontro, nel quale quei del paese ebbero un morto e due donne ferite, e gli angioini più morti e più feriti (come dice il Manno) questi ultimisi diedero a saccheggiare il villaggio come se si fosse trattato di nemici. «Fu grave fatto – nota giustamente il Sulis – il quale palesava di quanto quei legionari somigliassero meglio a vendicatori di private passioni, che a sostenitori di un’idea politica».  Nella mattina seguente (7 Giugno) Angioi avviossi a Bortigali; ma saputo che in quel villaggio gli abitanti si erano armati per resistergli, continuò la strada diretto a San Lussurgio, dove aveva molti partigiani, diretti dalla possente famiglia degli Obino. Nuove schiere ingrossarono colà la sua armata rivoluzionaria, la quale si diresse ad Oristano.

• Angioi in Oristano.

L’otto Giugno 1796, Angioi entrava senza contrasto, nella città d’Oristano, a capo delle sue milizie, le quali cantavano in coro la celebre canzone della tirannia feudale. Prima cura di Angioi, appena arrivato, fu di scrivere una lettera al Viceré, nella quale, professando devozione, parlava pur di minacce. Gli proponeva un luogo di convegno per udire i reclami del Logudoro; e se ciò gli tornava a disagio, gli proponeva che mandasse due giudici della R. Udienza e due membri di ciascun Stamento per ottenere il chiesto parlamento. Prima però che la lettera fosse pervenuta a Cagliari, il Viceré era stato avvisato del vero motivo della mossa di Angioi; oltre l’avvertimento di guardarsi, datogli dal cav. Mearza di Ozieri e dal cav. Cordiglia di Bosa, due Dragoni, disertati dal campo oristanese, informarono il Viceré dei disegni dell’Angioi. Il domani, giorno 9, l’Angioi tolse addirittura la maschera, e scrisse apertamente la seguente lettera, che io tolgo dal R. Archivio di Cagliari.

« Eccellenza
« Avendo presentito che possono essere state intercettate le mie lettere, mi fò premura di chiuderle copia di esse, pregandola della pronta risposta. « Essendo stata ultimamente conchiusa la pace dal Nostro Re colla Repubblica francese, il Logudoro desidera interporre la sua mediazione con S.M. per accomodare e terminare le nostre vertenze; ne scrivo separatamente agli Stamenti ed al Supremo Magistrato; in ogni caso che non si voglia aderire a questa risoluzione, la Provincia del Logudoro farà una deputazione separata a detta Repubblica per quest’oggetto, ed allo stesso tempo ne informerà pure S.M. e speriamo che la nostra ambasciata avrà un esito felice che ci procurerà la sospirata pace e tranquillità, che è stata turbata da certi spiriti –  torbidi e nemici ugualmente del Sovrano e della Patria. In questo caso di non voler Cagliari aderire a questa risoluzione, e di non voler tenere il proposto abboccamento, per non esporre il Capo (Logudoro) a nuovi pericoli e disordini di guerra civile, si manterrà e governerà separato da Cagliari. Siamo sicuri che S M. gradirà queste determinazioni e che le ravviserà, come infatti sono, giuste, savie, prudenziali ed utili allo Stato ed anche ai di Lei interessi; e nel mentre con profondo rispetto mi dò l’onore d’essere
« Di V. Eccellenza
Umil. Devot. ed Obbed. Servitore
ANGIOI.
Oristano, li 9 Giugno 1796.

• A Cagliari.

Ricevuta la lettera, il Viceré riunì in congresso straordinario la Reale Udienza e gli Stamenti; e la deliberazione presa fu quella di deporre Angioi dalla carica di Alternos, perché non potesse trovare in essa scusa, né difesa. Fu stabilito che ad Angioi si surrogasse l’avvocato fiscale della R. Udienza Delrio, assistito dai tre membri degli Stamenti Pintor, Guiso, e Musso. Questi dovevano muovere, con schiere armate, contro gli insorti; e difatti, tutti e quattro partirono in quello stesso giorno alla volta di Oristano – L’atto dell’Angioi dovrebbesi riguardare come frutto di poco senno, se le condizioni del tempo non dessero ragione del suo operato. Scrive il Sulis, che bisogna valutare l’effetto contemporaneo delle vittorie francesi; la prostrazione delle regie sorti in Piemonte, la relativa confusione degli animi dei governanti cagliaritani, per non sembrare avventato, né insipiente il messaggio d’Angioi al Viceré. Certo è, che se l’Angioi, invece di perdere tempo in viaggio, fosse piombato addirittura in Cagliari, la sua opera sorse sarebbe stata coronata da un pieno successo, né si sarebbe oggi chiamata vana quanto insensata. Lo stesso Manno scrive: – «Se Angioi traeva diritto alla volta della capitale, forse lo scompiglio dell’improvvisa sua comparsa, e l’illusione del timore non preveduto, che magnifica sempre i pericoli, conducevano le cose sarde ad altre sorti Poco mancò che un timor panico non occupasse le menti dei cagliaritani al primo porsi mano a questi vigorosi provvedimenti; perché si divulgò la voce che già l’esercito angioino, di cui moltiplicavasi la forza, fosse a Serramanna… I nemici dell’Alternos, paventando la vendetta che loro cadrebbe in sul capo, non trovavano modo di affrettarsi bastantemente a porre in salvo sé e le cose loro. E chi poteva allogare persona e denaro sopra qualche nave, era dei più fortunati; e chi voleva trasferirsi a lontana stanza, e chi celarsi… Tuttavia debbo qui dire, che se Angioi si fosse veramente avanzato a Serramanna, in quel giorno di fresco avviso e di precipitata deliberazione, il timor panico di alcuni potea comunicarsi rapido a molti». Mediti il lettore su queste righe del Manno, e vedrà che l’Angioi nei suoi disegni non operò a caso. La paura, o la perfidia, de’ suoi partigiani di Cagliari compromesse il suo colpo! Insieme alle diverse lettere scritte dall’Angioi al Viceré, una ve n’era diretta ad un fido amico di Cagliari; al quale lo stesso Angioi raccomandava di mettere in salvo la persona delle sue tre figlie damigelle, e le altre sue cose preziose. Tutte queste lettere (come giustamente sospettò Angioi) furono intercettate dal Delrio, che fermò a mezza strada il servo che le portava.

• Ultimo colpo.

Chiesto ed ottenuto dagli Stamenti che Angioi fosse deposto dalla carica di Alternos, il Pintor e gli altri suoi compagni (i quali si erano separati dai democratici) di buona voglia decisero di affrontare colle loro genti l’armata nemica che minacciava prendere d’assalto la città di Cagliari. Intanto il Viceré si affrettò a rispondere alle lettere di Angioi con due pregoni: – con uno metteva in avvertenza il popolo, perché si guardasse dalle persone malintenzionate che avevano turbato la tranquillità pubblica, e concedeva amnistia ai seguaci di Angioi, purché rivolgessero le armi contro di lui; – coll’altro metteva addirittura una taglia sul capo di Angioi, cioè: a chi lo consegnasse morto si davano 1500 lire sarde; e lire 3000, oltre l’impunità per qualunque altro delitto, a chi lo consegnava vivo. In pari tempo, 2300 uomini a cavallo, armati, uscivano da Cagliari guidati dal Pintor, democratico convertito. Avevano con loro tre cannoni serviti da 50 artiglieri, e un seguito numeroso di miliziani, congregati per cura del Marchese di S. Tomaso. – «Il peggio si è – scrive il Sulis – che tra le file dell’armata si accettarono i delinquenti che per reati, anche atrocissimi, erravano pei nascondigli de’ monti. Infamia e vituperio incredibile, se non se ne avesse la prova in una memoria, in data 5 Marzo 1797, scritta dal Ghisu e sottoscritta dal Pintor e Delrio, nella quale, proponendosi i premi pei principali aiutatori della vittoria regia, proponesi anche doversi graziare gli inquisiti che servirono in tutte le spedizioni. Ivi è detto, che alla loro intrepidezza e coraggio si deve pure attribuire la buona riuscita dei più ardui e pericolosi incontri. Essi furono obbligati inoltre a rondare nella città di Sassari; e scortare il corriere del regno e i prigionieri; insomma, sono essi stati di grandissima utilità, e non possono che riconoscersi affatto degni della grazia che hanno comprata a costo di evidenti pericoli, di stenti, di fatiche e di sangue!» E questo per provarvi quanto era morale il governo di quei tempi!! – Lo stesso Sulis osserva: « – il non essersi adoperata da Angioi nequizia uguale, o simile, è altro argomento per provare l’onestà dei modi di suo governo, i quali ingiustamente furono dappoi vituperati. » L’armata di Pintor (ch’era stata regolata da Vincenzo Sulis) uscì da Cagliari col grido: Viva il re, e morte ad Angioi!— Nuovi fatti, però, accaddero in Oristano; i quali risparmiarono al Pintor ed alla sua armata la desiderata, o la temuta battaglia.

• Scompiglio a Oristano.

Le truppe d’Angioi in Oristano tennero una condotta tutt’altro che esemplare. Esse non fecero che generare la diffidenza ed il risentimento nei cittadini. La mancanza dei viveri e il ritardo delle paghe spinsero le masse a levarsi a tumulto— L’ozio stesso in cui vivevano da quattro giorni era causa dei loro lamenti e della loro indisciplina. Alcuni soldati ruppero ogni ritegno, e si gettarono alla ventura qua e là, nelle case cospicue, per derubare quanto capitava sotto le loro unghie. La popolazione, giustamente indignata, prese le armi per reprimere quegli ospiti sgraditi. In quel punto l’Angioi fu informato del nessun effetto dei suoi partigiani in Cagliari; seppe dell’armata del Pintor che veniva ad assalirlo; vide le sue schiere assottigliarsi per i disertori; udiva i lamenti dei cittadini ed i reclami del Municipio per i danni che cagionavano i soldati; – e decise di formare il suo Quartiere generale nel vicino villaggio di Massama. Nella notte dell’Il Giugno fece uscire le sue truppe da Oristano, lasciandovi un presidio dei più costumati miliziani – Il giorno seguente mandò alcuni esploratori ad Oristano. Questi attaccarono briga con diversi oristanesi; si venne alle ingiurie, poscia alle mani, e ne nacque una lotta micidiale – La città era in combustione, e l’Angioi spedì alcune squadre per ricuperarla. Gli oristanesi questa volta fecero una viva resistenza; e ne nacque una mischia sanguinosa La peggio toccò agli angioini, i quali fuggirono verso Massama, lasciando al suolo molti cadaveri, che vennero gettati nel Tirso dai vincitori. Era il 12 Giugno 1796. Fu subito dato avviso di quel fatto ad Angioi, che trovavasi nel suo Quartiere generale di Massama. Questa nuova bastò per destare la confusione nelle squadre, diggià tanto irrequiete e di malumore. Si esagerarono le cose – si gridò al tradimento – si sparse la voce che trattavasi della regia armata che era alle porte d’Oristano; si parlò di massacro, di numerose forze, di nemici potenti. Insomma: le fantasie accese e gli animi turbati; il malumore da una parte e l’indisciplina dall’altra; il malcontento nato dall’ozio e dal disagio, fecero sì che le schiere cominciassero qua e là a sbandarsi. Rimasto solo con pochi fedeli, Angioi carezzò un’ultima speranza. Montò a cavallo e partì di corsa, col proposito di rifare la sua armata e di ritentare l’impresa da lui compromessa, coi lunghi indugi e col tempo perduto.

• Ore angosciose.

Figgendo gli sproni nei fianchi del suo cavallo, Angioi correva, correva sempre. Si fermò in diversi villaggi; parlò co’ suoi antichi amici; scrutò gli animi delle popolazioni – ma invano: trovò dovunque paura, fiacchezza, diffidenza; la febbre che bruciava il suo sangue gli facea parer di ghiaccio ogni persona cui parlava. Tutto il giorno seguente (13 Giugno) continuò ad errare da un paese all’altro, quasi alla ventura, in cerca di riordinare un nuovo esercito. Al cader della giornata cominciò a persuadersi che la sua fiducia era un delirio. Al suo impeto generoso, alla sua ansia febbrile, era sottentrata la calma e lo sconforto; si avvide bentosto che, come Cristo, tutti lo avevano abbandonato nell’ultim’ora! — Dopo aver errato qua e là, tutto solo, lasciando andare il cavallo alla ventura, giunse il 14 nel villaggio di Tiesi, dove sostò alquanto. A notte inoltrata rimontò a cavallo e uscì da quel paese, diretto verso Sassari. Oh, quali e quanti pensieri dovettero attraversare la sua mente in quell’ora misteriosa! Quanto dolore nella sua anima! Quali angoscie nel suo povero cuore! Tutti i suoi sforzi inutili – tutte le sue speranze deluse – tutti i suoi sagrifizi perduti! In quel giorno fatale, nel silenzio della notte, nella solitudine di quei luoghi deserti, egli forse riandò i tristi casi della sua vita. Meditò i gagliardi propositi del passato, lo sconforto del presente, l’incertezza dell’avvenire! – Con quanto affanno, nel cuore di quella notte, avrà guardato i lontani profili de’ monti del Goceano, che si perdevano nell’orizzonte! Erano i monti di Bono – della sua terra nativa, che non doveva più rivedere! Il pensiero delle sue dilette figlie, che lasciava a Cagliari non confortate dall’ultimo bacio paterno, dovette per certo amareggiare quell’anima incompresa. Abbandonato – solo – in mezzo a quei monti, Angioi chinava al suolo quella nobile testa, già messa a prezzo dagli antichi suoi amici, or diventati suoi persecutori. Aveva un nobile nome, un ricco censo, una cara famiglia: e tutto aveva sagrificato sull’altare della patria. Ramingo, calunniato, doveva andare, come un maledetto, a cercare in terra straniera il pane della carità! Non doveva, neppure dopo morte, aver il conforto della riconoscenza de’ suoi connazionali. Poco mancò che una storia partigiana non incidesse sulla pietra del suo sepolcro il marchio d’infamia, che, sul campo dei morti, pur si risparmia al più volgare assassino!

• Angioi rivede Sassari.

I due bandi del Viceré, che riguardavano la destituzione d’Angioi dalla carica di Alternos, nonché la taglia posta sul suo capo, erano pur pervenuti a Sassari; ma il Mundula (che reggeva in quel tempo la Città) non era tal uomo da permetterne la pubblicazione. Notizie varie e confuse si divulgarono nondimeno per la città; e quando la sera del 15 Giugno si vide comparire in Sassari l’Angioi, senza alcun seguito e senza alcuna pompa, tutti indovinarono la sciagura da cui era stato colpito. La tempra d’Angioi non era però quella di un uomo volgare, e il tristo successo non ottenebrò le sue idee. Egli chiamò subito a consulta i suoi amici, per discutere sul da farsi. Era impossibile, nel momento, riunire nuove forze; poiché l’armata era sciolta, la maggior parte dei partigiani smarriti e scoraggiati, e tutto il prestigio perduto. Si deliberò pertanto di tradurre in atto la minaccia fatta al Viceré in Oristano. Fu stabilito, che l’Angioi, in nome del Logudoro, si presentasse alla Corte, scemata in baldanza perle vittorie della Francia, e che esponesse nettamente le cose. Insomma, si riponeva la pratica nell’influenza che esercitava il governo francese sul Piemonte, e sulla comunanza delle libere idee del nuovo regime.

• Fuga di Angioi.

La sera del 16 uscì Angioi di casa con gli abiti consueti, come per fare la solita passeggiata fuori delle mura. Gli facevano compagnia gli assessori Solis e Sotgia Mundula, i fratelli Aragonez, un canonico turritano, e il parroco di Sennori. Si diressero tutti verso lo stradone di Portotorres. Nel punto detto San Baingeddu erano ad aspettarli gli amici Gioachino Mundula e suo figlio; il causidico Antonio Luigi Petretto coi tre figli Antonio Vincenzo, Ignazio e Francesco; l’avvocato Antonio Maria Carta, alcuni popolani che avevano sostenuta con calore la rivoluzione, ed Emanuele Crobu segretario d’Angioi. Erano tutti scortati da un drappello armato. L’Angioi abbracciò tutti quelli che dovevano tornare in città, e li confortò a sperare nell’avvenire. Indi montò, insieme ai suoi compagni, sui cavalli che erano stati colà apprestati, e si diressero alla volta di Portotorres. Il giorno 17 Giugno salparono tutti dal porto, sul bastimento napolitano di Patron Salvatore Trama; col quale, in segreto, era stata combinata la partenza.