I Francesi in Sardegna

• 1792. Preparativi

Le truppe francesi, nel 27 Settembre 1792, invadono Nizza e Savoia. La Sardegna a tal nuova s’inquieta, perocché, in quei tempi, la sua forza armata era più che debole. Non restava altro, che ordinare a difesa e a disciplina le scarse milizie nazionali. In Sassari, per esempio, non erano che due compagnie del Reggimento svizzero di Courten, ed una compagnia di Dragoni.
I tristi fatti della Rivoluzione francese dell’89 erano filtrati dappertutto e la Sardegna stava soprapensiero. Uno solo era, in generale, il pensiero dei sardi: – opporre viva resistenza ai francesi, i quali erano odiati.
I sardi tutti facevano generose profferte; – chi offriva danaro, chi frumento e derrate, chi soldati nazionali o pedoni armati, sostentati a spese dell’offerente – In Sassari, Tempio, Iglesias e Alghero si formarono con spontanee oblazioni magazzini di viveri per le milizie.
I baroni – primi fra tutti, forse nel pensiero della sorte toccata ai baroni francesi nell’89 – avevano offerto gran copia d’uomini armati, da trarsi dai oro feudi: i baroni in quei tempi avevano molti uomini e molte bestie a disposizione! —
A Sassari era molta agitazione ed inquietudine. Leggo in Sisco: « – Il Governatore di Sassari, colla direzione e consiglio del Giudice Flores, fece murare la Porta d’Utzeri il 20 Dicembre 1792, e restò così murata fino al giorno 10 Febbraio 1793 – qual sia stato il fine di questo movimento (continua il Sisco) nessuno potè mai penetrarlo! – ».
E il motivo era chiaro: – per diminuire le porte d’accesso alla città, e convergere le forze in pochi punti per respingere il nemico.

• 1793. Clero e Stamenti

La mattina del 3 Gennaio 1793, l’Arcivescovo di Cagliari col Capitolo si presentava al Viceré perché affrettasse i mezzi di difesa, che si erano ritardati, ed offrivano 12 mila scudi, e, se abbisognassero, anche tutti gli argenti delle chiese. Il clero come la nobiltà, in quella circostanza si mostrarono tenerissimi della difesa della patria contro l’invasore francese, ripensando sempre a quella benedetta rivoluzione francese, della quale erano stati causa unica. Essi pensavano più al loro interesse, che a quello dei Vassalli e delle pecore!
Lo Stamento inviò lettere di convocazione al Duca dell’Asinara di Sassari, perché invitasse a raccolta tutti i nobili del Logudoro per intervenire alle future Congreghe, dove si sarebbe pensato ai provvedimenti per la difesa del Regno nell’imminente invasione.
Il Viceré però tirava per le lunghe, e già cominciavasi a mormorare di tradimento.

• I francesi in Carloforte

La Repubblica francese intanto, che avea adocchiato la Sardegna e pensava alla sua conquista, vi inviava il navilio comandato dai Contrammiragli Trugut e La Touche Treville. La squadra era copiosa di navi da guerra e legni di trasporto.
Il primo sbarco fu a Palmas. L’8 Gennaio s’impadronirono di S.Antioco. Piantano a Carloforte l’albero repubblicano e gettano a terra la statua marmorea di Carlo Emanuele, fondatore di quella colonia.
Gli abitanti di Sant’Antioco rispondono per le rime; quindi, quasi sterminio generale. – Gli schioppetti sardi avevano fatto prove di valore per la giustezza del tiro.
I tre Stamenti si erano messi tutti d’accordo. Mentre però eravi unanimità nei tre ordini, lo Stamento più operante minacciava scindersi in due parti – per quella rivalità municipale fra le due città primarie (come scrive il Manno) che ha già segnata di triste note la storia antica, che sarà argomento nella presente di luttuose rimembranze, e che corromperà anche in avvenire ogni buon disegno di nazionale prosperità, insino a che non sia profondamente diradata.
Il Duca dell’Asinara aveva risposto all’inviatagli lettera di convocazione facendo conoscere quale fosse sui pubblici bisogni l’opinione dei gentiluomini della sua provincia; quasiché fosse loro permesso (aggiunge il Manno) di manifestare legalmente un’opinione, separati dallo Stamento. E quest’ultimo deliberava, che la distribuzione delle lettere convocatorie fosse commessa all’autorità giudiziaria di Sassari, e ciò per non perdere il tempo inutilmente in chiacchiere.

• I francesi in Cagliari

Intanto, all’alba del 22 Gennaio, undici grossi Vascelli, collo stendardo repubblicano, si schieravano nel Golfo di Cagliari – Sul bastione, rasente al molo, si dava intanto dal Clero la benedizione; in nome di Sant’Efisio, che il popolo religiosamente chiamava il Generalissimo.
Strana fatalità! Un giorno prima, quasi alla stess’ora, nella Piazza di Grève, a Parigi, la ghigliottina troncava la testa al re Luigi XVI!
La mattina del 24 si manda a fondo una lancia francese che si accostava alla riva con 32 uomini armati. Non fu certo prodezza da inorgoglire!
Il 27 Vincenzo Sulis, il gran tribuno cagliaritano, con uno stratagemma fa conciare due scialuppe di francesi – e ne cadono tra morti e feriti più di quaranta.
Si comincia allora il bombardamento dai francesi; ma le bombe cadevano tutte in mare, e ciò si ascrisse a miracolo di Sant’Efisio. Il popolo festante e curioso assisteva dalla piazza allo spettacolo.
Anche le bombe sarde cadevano in mare, ma si diede la colpa alla polvere umida e guasta.
La mattina seguente (22) il fuoco fu feroce; bombe, granate, palle si lanciavano in città. Tremavano gli edifizi di Cagliari e dei dintorni alla distanza di 40 miglia. Pure il danno fu lievissimo. Cinque sole persone rimasero colpite mortalmente, e poche case ebbero guasto notevole.
Lo storico Padre Napoli taccia di esagerati (al suo solito!) gli storici che parlano del numero dei tiri.
« – Io però – egli scrive – con altri correligiosi, con due mostre alla mano, ci misimo a bella posta (!) a contare tacitamente il numero dei tiri… Erano 15.000 nel primo attacco; 12.000 nel secondo – e più 3.000, in vari altri giorni. Totale 30.000 tiri fatti dai francesi, fra i quali un migliaio di bombe! – »
Ben inteso: fra queste ultime non va compresa la bomba del Padre Napoli, ché è la più grossa di tutte !
Dopo due giorni di bombardamento le navi francesi si ritirarono, per riparare ai danni sofferti; ed accadde una tregua di due settimane.
Il 7 febbraio la flotta era cresciuta a 27 navi di guerra tra vascelli, fregate e corvette, con 42 legni di carico sopra i quali erano 6.000 soldati di fanteria.
I francesi subirono perdite considerevoli.
Il Mimaut, nella sua Storia di Sardegna scritta nel 1825, cerca di impicciolire la vittoria dei sardi. Non bisogna però dimenticare che era un francese, e un antico console di Francia in Sardegna. Ecco quanto egli scrisse a proposito di quella battaglia.
« Si pubblicarono diverse relazioni ampollose dell’attacco e della difesa di Cagliari, dove si esagerò, come di ragione, la perdita del nemico, e si diminuirono, secondo l’uso, quelle dei sardi; e dove si rappresentarono come valorosi quelli, che erano stati i primi a fuggire ed a nascondersi. »

• I francesi alla Maddalena

Al nostro Capo, intanto, alla Maddalena, accadeva l’altro attacco dei francesi. Essendo state le forze maggiori dirette alla Capitale, l’attacco della Maddalena ebbe un’importanza secondaria in quanto alla battaglia; ma importanza storica maggiore, perché il giovine ufficiale che comandava quella spedizione era nientemeno che Napoleone Bonaparte, di soli 24 anni.
« – Era così suo destino – scrive il Manno – che si cominciasse con un disastro nell’isoletta della Maddalena, quella gigantesca carriera che doveva chiudersi disastrosamente nell’isoletta di Sant’Elena – »
La flotta della Maddalena era capitanata dal Generale Cesari, nipote del famoso Paoli, corso, e le soldatesche sommavano a quattro drappelli di 200 uomini ciascuno.
Cominciò il fuoco. Bonaparte stesso puntava i cannoni sulla Maddalena, e gettò sul paese ben 60 bombe, che riuscirono quasi tutte fatali, cagionando molti danni. Una di esse penetrò nella chiesa parrocchiale e si fermò sull’altare senza scoppiare.
Fatto è, che nel giorno 25 i francesi fecero un dietro-front – e nella ritirata furono inseguiti dalla scialuppa di Millelire, che mandò loro alcune cannonate, alle quali si unì il fuoco di moschetteria di 150 Miliziani, ch’erano nel Capo di Caprera.
L’isola nostra dunque, dopo 24 giorni di guerra, di cui 5 di bombardamento, respinse il nemico.» – La Francia possente – scrive Manno – invase la Sardegna; e la Sardegna fiacca, volle e seppe resisterle – ».

• I francesi… a Sassari

In Sassari si stava inquieti, e ansiosi di notizie sull’esito della guerra. Trovo nel manoscritto del Sisco una memoria sull’invasione francese, che io riporto.
« – Il 30 Gennaio, per l’invasione francese, si trasferirono processionalmente i SS. simulacri di S. Gavino, S. Proto e S. Gianuario dalla Basilica di Portotorres alla Cattedrale di Sassari. Restarono esposti nel Duomo sino al 7 Giugno dello stesso anno; nel qual giorno con altra solenne processione, si restituirono a Portotorres, accompagnati dal Capitolo Turritano, Comunità Religiose, Confraternite, Gremi, molte Dame coi ceri accesi ecc, ecc.
« Non posso lasciare di dire (nota il Sisco) benché con molto mio rossore, che a questa Processione non intervenne il pubblico Magistrato, quantunque avvisato. Era Capo Giurato in quell’anno Don Antonio Paliaccio Deliperi.
« Questi simulacri (chiude il Sisco) erano fatti da molti secoli, e furono rinnovati esternamente (?) qui, a Sassari, a spese di S.E. Don Antonio Manca, Duca dell’Asinara».

• Ricompense alla vittoria

Il re Vittorio Amedeo fu pienamente soddisfatto dell’esito della guerra sarda e della prova di fedeltà datagli dagli isolani; scrisse subito al Viceré Balbiano, perché gli facesse conoscere i nomi di coloro che si erano distinti nella difesa, i quali voleva premiare – Il Viceré non si contentò di partecipare la lieta novella agli Stamenti, ma di suo arbitrio consigliò di sporgere quelle domande che credevano più convenienti per il bene dell’isola.
E gli Stamenti allora, giù dimande in abbondanza: – la convocazione decennale delle Corti – conferma d’antichi privilegi- creazione a Torino di un Ministero per gli affari sardi, e a Cagliari un Consiglio di Stato presso il Viceré – e, la maggiore di tutte, la riserva ai sardi delle Prelature ed Impieghi civili e militari, escluso il Viceré.
In premio della eroica difesa il re aveva già accordato 24 doti di 60 scudi da distribuirsi a zitelle povere; fondazione di 4 piazze gratuite nel Collegio dei Nobili di Cagliari; l’assegno di 1.300 scudi allo Spedale della stessa città; il condono dei delitti commessi prima della chiamata alle armi, ecc, ecc. ma non si era contenti; si volevano esaudite le suddette domande, incoraggiate dal Viceré Balbiano – E aggiungete, che per le ricompense accordate a individui, vi furono malumori, perocché l’intrighi, e la predilezione, misero al solito lo zampino in questa faccenda. Fra i premiati furono omessi coloro che più erano degni di premio – e fra gli altri il Cav. Girolamo Pitzolo, il quale, (come osservano Manno e Martini) aveva veramente salvato la patria, infiammando alla pugna le milizie nazionali.
Il Viceré Balbiano però, nel suo carteggio politico col Ministro, finì poi per voltare le cose, – e scrisse che la bella difesa non si doveva ai cagliaritani, che fecero nulla, o poco e male, ma essa era tutta merito suo, e delle palle che aveva fatto arroventare. Intanto però ribatteva presso lo stesso Governo sull’argomento degli impieghi distribuiti smodatamente ai piemontesi, da riservarsi invece ai sardi, se si voleva salvare la nazione.
Gli Stamenti, lusingati dall’incoraggiamento del Viceré, si convocano in sedute animatissime, discutono, si arrabattano, e finiscono per nominare una commissione da spedirsi a Torino per perorare le famose dimande. I deputati sono Pitzolo e Simon per lo Stamento militare – il Vescovo Aymerich e il Canonico Sisternes per lo Stamento Ecclesiastico – Sircana, sassarese, e l’Avv. Ramasso per lo Stamento Reale – Si volle da loro il giuramento di non accettare beneficenze di sorta dal Governo durante la missione, e si fecero partire.
Il Ministro Granieri si mostrò avverso alle domande; e cominciò a dare una buona lavata di capo al Viceré per la pillola di zucchero che aveva cacciato in gola agli Stamenti. Sotto la supplica della domanda degli Impieghi scrisse di proprio pugno: solite ripetizioni!

• 1793. Intermezzo

Prima di occuparci della cacciata dei piemontesi, do una notizia religiosa che estraggo dalle memorie del nostro buon frate Sisco.
« In quest’anno i Padri Domenicani e i Padri Osservanti fecero un convenio di fratellanza. Questi ultimi si obbligarono di condurre la statua di S. Francesco nella chiesa del Rosario, per visitare San Domenico nel suo giorno festivo; e i Domenicani di condurre il loro santo alla chiesa di San Pietro, per far visita a San Francesco il giorno della sua festa.
« E il tutto fu eseguito con solenne processione, lasciando i relativi santi nella chiesa del festeggiante per tutta l’Ottava della festa.
« Il detto convenio si era anche stabilito al tempo che regnava l’Arcivescovo Bernardino Ignazio Rovere, cappuccino, (1730-41) ma senza il suo beneplacito. E diffatti, il 3 Ottobre, vigilia di S. Francesco, fu portata la statua di San Domenico alla chiesa degli Osservanti; ma, ciò saputo, l’Arcivescovo chiamò il Guardiano di San Pietro, gli diede una lavata di capo, e ordinò subito, e senza dilazione, che la stessa sera fosse messa la statua di S. Domenico in un calesse, e senza accompagnamento di religiosi venisse ricondotta privatamente (?) in sua Casa. Da quel giorno non si parlò più del convenio, o fratellanza, fino a quest’anno, né so fino a quando durerà!».

• 1794. Cacciata dei Piemontesi

In attesa frattanto dei Deputati, il popolo era in ansietà. Si moltiplicarono sempre i malcontenti, i brontoloni, gli aizzatori – e gli impiegati piemontesi erano tenuti di mira; perocché la loro tracotanza, il contegno poco corretto, le satire e le insolenze continue avevano da qualche tempo indisposto l’animo dei sardi.
Il re Vittorio Amedeo non volle sapere di domande e d’impieghi; e il Pitzolo cominciò a scrivere da Torino agli Stamenti, che era meglio si cacciassero i piemontesi.
I rumori crebbero, e crebbe l’irritazione. Odi ed ire contro i Governanti di Cagliari e di Torino – ferocia contro i piemontesi – e risentimento per la scarsa ricompensa della difesa del Regno.
Cominciarono i sospetti. Persone autorevoli di Cagliari si unirono a qualche caporione degli artigiani, e congiurarono una insurrezione, che due volte venne sventata.
Il 28 Aprile 1794, il popolo insorge, assale le truppe di presidio, scala il Castello, rompe le porte, invade la reggia, e fa scappare il Viceré Balbiano, il quale arbitrariamente aveva fatto arrestare due avvocati cagliaritani amati dal popolo, Pintor e Cabras. Fuori i piemontesi! – fu il grido generale. In sulle prime si trattava di far allontanare i soli pubblici ufficiali, ma il popolo cieco, feroce, non vuol far distinzione di sorta – Meno le donne e l’Arcivescovo Melano, uomo assai amato, si vogliono tutti fuori. Si comincia l’arresto di essi, e si mettono nei monasteri, a guardia dei frati.
Fra la R. Udienza e gli Stamenti si studiano intanto i mezzi del pronto imbarco. Si pagò loro l’intiero stipendio a saldo; e il 30 Aprile 1794, il Viceré con altri 514 impiegati, accompagnati con tutto rispetto fino alla darsena da molte notabilità del paese, partivano sopra tre navi; mentre un gruppo di popolani, nel porto, ballava il ballo tondo.
Il movimento si estese per tutta l’isola, la quale seguì l’esempio della Capitale per impulso dei promotori.
L’azione non è troppo bella – e per quanto necessaria in quei tempi – pure non è una pagina generosa che faccia onore alla decantata ospitalità sarda.
Anche da Sassari si fece un’esportazione di piemontesi; anzi dubbiandosi che il Governatore Cav. Merli fosse per mostrarsi renitente a riconoscere il novello ordine di cose, il Magistrato, costretto dal popolo, aveva dovuto piegarsi ad ordinare al suo Commissario l’arresto e la traduzione a Cagliari dello stesso Governatore, qualora non fosse partito. In Sassari fu arrestato il Direttore della Posta, signor Mora, ed esiliato in Alghero e in Castelsardo l’Assessore Civile D. Andrea Flores e il pro. Avvocato D. Giuseppe Belly.
E così ebbe fine quella famosa cacciata.
Mandato via il Viceré, il governo dell’isola, per gli ordinamenti legali, fu concentrato nel Supremo Magistrato della Real Udienza, e negli Stamenti, nelle cui congreghe si indirizzavano le cose dello Stato; le quali sentivano l’influenza del popolo, che se ne stava armato con una guardia nazionale detta Centurie, capitanata da Vincenzo Sulis.