Guerra agli angioini

• 1796. Gioia in Sassari

Il giorno stesso (17 Giugno) si seppe in Sassari la partenza di Angioi e de’ suoi compagni. Le milizie, prive dei loro capi, si sbandarono. Fu esposto, subito, il quadro del Re, nella Casa Comunale; e una turba di famigli e di baroni, seguita da molti curiosi e monelli, sempre pronti a schiamazzare quando si presenta un’occasione, si portarono alla casa del Cav. Nicolò Pilo, sergente maggiore di Fanteria miliziana, e di là, prendendo tre vecchi stendardi, percorse le vie della città, con candele di sego, gridando a squarciagola: Morie ai Giacobini! – Tornino i Baroni, i Marchesi e i Cavalieri, e morte ai birbanti e ai traditori della patria! La festa terminò con parecchie scariche di fucili, prima dinanzi al Palazzo di Città e poi dinanzi alla chiesa di S. Catterina. La notte si fecero fuochi e vi furono balli.

• I primi arresti

Dai famigli dei baroni, e loro seguito, furono tratti in arresto alcuni sospetti di angioismo. L’Intendente Fois s’interpose in favore dei perseguitati; ma la folla si alzò a tumulto circondando l’abitazione dell’Intendente, e, non contenta di mandare ingiurie al suo indirizzo, minacciò di gettare a terra le imposte della casa. L’infelice cedette, protestando che le catture erano illegali. Gli agitatori continuarono a cercare per ogni dove i seguaci di Angioi, e ne arrestarono alcuni, fra cui un Gio. Battisa Demurti, un Sebastiano Dachena, un Gio. Devilla, e un Giovanni Gioia, tutti in fama di ardenti liberali. «Da quell’infausto giorno – scrive il Sulis – molte vendette private si attuarono, giacché rendevansi sicure, sol che si colorissero coi vanti d’odio al giacobinismo; molte viltà d’improvvise conversioni si celebrarono con iperbole di lodi, perché siffatta è l’arte per inneggiare le apostasie politiche; infiniti pianti e rammarichi dolorosi si udirono, poiché, se gli strazi dei giudizi di sangue e le feroci gesta del carnefice diedero gaudio ai persecutori, gittarono nei lutti della vedovanza, dell’orfanezza, della disperazione, donne, fanciulli, famiglie molte, le quali da quei danni e terrori non si riebbero mai! Furono fatte, per tre giorni consecutivi, pubbliche illuminarie, e si cantò dai canonici un solenne Te Deum per la partenza di Angioi – quello stesso Te Deum che gli stessi Canonici avevano cantato il 28 Febbràio per la venuta dello stesso Angioi. Col primo si ringraziava Domeneddio del buon arrivo – col secondo lo si ringraziava della cattiva partenza. Povero Dio! – come puoi uscir d’impaccio nella volubilità dei desideri umani? Gli uomini ti costringono a mutar d’opinione, a seconda il vento che spira!

• Nuovo governo

Nella famosa seduta in cui gli Stamenti e la Real Udienza tolsero ad Angioi il titolo di Alternos avevano nominato per Delegato Regio in Sassari il Giudice Avv. Fiscale Don Gio. Antonio Delrio, con amplissima facoltà, insieme ai tre Deputati degli Stamenti: Ghisu, Musso e Pintor, già democratici con Angioi, ed ora contro Angioi dichiarati. Essi si erano mossi da Oristano per Sassari, non appena avevano appreso la fuga d’Angioi. Il 28 Giugno arrivarono a Sassari, a fan i prodezze, non di guerrieri – dice il Sulis – ma di carnefici, tanto più atroci ed infami, che si consumarono conculcando le amnistie giurate in trattati solenni. » Erano seguiti dai marchesi di Villamar, di San Tomaso e di Santa Maria, e dai Cav. Grondona, Villamar e Mameli. Essi entrarono in città con ottanta cannonieri ed altre truppe del loro seguito, per ristabilire l’ordine. E le cose furono ordinate, perché il Viceré mandava a Sassari il feroce Cav. Giuseppe Valentino, Giudice della Reale Udienza, per disporre contro gli Angioini. Molti villaggi si affrettarono a dichiarare sommessione ed ammenda, e cercarono scusarsi protestando ingenuamente che essi avevano solo ubbidito, credendo in buona fede che l’Angioi avesse sempre operato coll’approvazione del Viceré. Fra gli altri, fu esiliato da Sassari, e mandato in Alghero, il Vicario Turritano Roich, reo di essere zio dell’Angioi. Si cominciò col prendere di mira Bono, patria di Angioi. Quivi accadde un serio incontro fra popolani e soldati. – Osilo oppose viva resistenza; e così pure Ossi, Tissi e Usini. Per parecchi mesi vi fu qua e là qualche tentativo di sollevazione per parte del prete Murroni, di Cosimo Auleri e di altri Angioini; ma erano gli ultimi slanci di quegli ardenti liberali, che furono repressi dalla forza. Di tanto in tanto qualche voce facevasi udire; né si quietava mai. Le popolazioni erano irrequiete, paurose, impazienti. A furia di spedizioni si finì per ristabilire un po’ d’ordine nel Logudoro; e allora il Viceré richiamò a Cagliari i tre Delegati, lasciando a Sassari il solo Valentino, bastevole per tener vivo il terrore. E bastava davvero! I suddetti voltafaccia, ed altri molti di ugual calibro, in premio della loro bravura si ebbero cariche e promozioni- ma nessuno le invidiò loro!

• Angioi a Livorno e a Genova

Diamo ora un breve cenno sull’Angioi, prima di abbandonarlo al suo destino. Se ci siamo fermati sulla sommossa popolare dell’80 e sui fatti degli angioini, fu solo perché questi due avvenimenti sono i più ragguardevoli, accaduti nella nostra città sotto il governo dei reali di Savoia. Giommaria Angioi approdò prima in Corsica, di là a Livorno, poi a Genova – lasciando su quelle terre i compagni affinché ivi mantenessero occultamente corrispondenza cogli Agenti francesi. Come vedesi, l’Angioi abbandonava la Sardegna, ma non l’idea di renderla libera: idea che vagheggiò anche in esilio, sino al giorno della sua morte. Non tardarono a pervenire al Viceré le relazioni sul conto d’Angioi e dei suoi compagni. Trovo nei R. Archivi parecchie lettere che informano il Viceré delle mosse di Angioi durante il suo viaggio. Sono tutte lettere di preti e di frati, dirette ad altri frati e ad altri preti. Ma perché nelle mani del Viceré? Com’erano premurosi della salute pubblica questi reverendi! Trovo una lettera di Fra Alberto Campus Carmelitano, scritta da Genova colla data 27 Giugno 1796; altra del Rettore di S. Catterina, da Sestri in data del 7 Luglio; altra da Livorno in data 11 Luglio, di fra Antonio Pellegrini. Da queste lettere si ricavano alcuni dati. Fra Alberto scrive: «Appena arrivati a Genova, gli angioini si sono chiusi in una locanda fuori mano, perché nessuno sapesse il loro arrivo. Io non vidi che il figlio del Dottor Mundula, figlio di buon padre; il quale alle interrogazioni, rispose con parole tronche, confuse e incoerenti, lontane dal vero. Appena arrivati si sono presentati all’inviato di Francia, e nella locanda hanno tenuto più volte conversazione con vari soldati francesi. » Delmestre (Rettore di S. Catterina) informa da Sestri, fra le altre cose, che il Mundula, strada facendo, è caduto col mulo, onde si ha offeso una gamba, e perciò rimase a Livorno. » Fra Antonio dice: che il 6 Luglio capitarono a Livorno, provenienti da Genova, Angioi, il Rettore Murroni e suo fratello speziale, Mundula col figlio, e altri quattro o cinque facinorosi del loro calibro; « i quali vennero da me, e mi raccontarono che dovettero fuggire precipitevolmente per mettere in salvo la vita; e mi decantarono dell’ingrata corrispondenza dei loro nazionali, e che tutta la loro mira era di beneficare la patria col loro zelo farisaico. Mi domandarono 500 scudi a prestito che mi sarebbero resi dal Vicario Generale Roich, in mano del quale – diceva Angioi – aveva lasciato una cassetta con 23.000 scudi. Negai; e andarono dal Padre Onorato, che negò pure. L’indomani partirono chi per Firenze e chi per Mantova… » Trovo pure un appunto del Viceré: « Notizie portate dal bastimento genovese arrivato a Cagliari oggi 24 Luglio… Il 2 Luglio passò da Rapallo, diretto per Genova, Angioi e suoi complici, in numero di dieci; fra i quali un prete, che dicevasi canonico, con tre muli carichi di bauli e valigie; e colla coccarda francese passarono in Livorno, essendo stati scacciati da Genova per la legge generale contro i forestieri. I medesimi erano di cattivo umore, e Don Gio. Maria Angioi, sebbene facesse caldo, non abbandonò la sua cappa rossa ».

• Gli arresti a Sassari

Il Valentino, intanto, si accingeva a far prodezze, dedicandosi a tutt’uno a sbrigare le faccende. Cominciò col rallegrarsi per una prima preda. Furono colti, dal bastimento L’Aquila, sopra un leuto di Capraia, il Fadda, Antonio Vincenzo Petretto, Giuseppe Mundula figlio di Gioachino, Quirico Spano e Antonio Maria Spano, e fatti condurre provvisoriamente nelle carceri di Alghero dal Giudice Valentino. Il parroco Murroni era venuto a Sassari nel Settembre per salvare i compagni. Egli fece correre la voce che Angioi era per ritornare in Sardegna, più forte che mai. I fratelli del parroco, Salvatore e Pietro, si unirono a molti bonorvesi ed altri aderenti e tentarono di avvicinarsi alla campagna di Sassari, dove furono il 17 Settembre per unirsi con Cosimo Aureli ed altri seguaci. Da Sassari però uscirono soldatesche e milizie, vi fu scontro, e gli assalitori si diedero alla fuga. Nello stesso mese di Settembre erano pur caduti nelle mani della forza regia il Dottor Gaspare Sini e Giovanni Devilla, i quali protestarono, perché arrestati in luogo immune; il primo, cioè, nel Convento dei Cappuccini, e il secondo nell’Oratorio dell’Ospedale. Il Valentino chiede, in proposito, ordine al Viceré, e intanto, per non perder tempo, comincia col dare il primo esempio. Si fecero trasportare a Sassari gli arrestati che si trovavano in Alghero. Anche per questi si era allegata illegittima cattura, perché presi sopra una nave straniera; ma a nulla valsero le loro ragioni. Valentino non si perdeva d’animo.

• I patiboli

Si fecero rizzare le forche; e il 23 Settembre (1796) si cominciò coll’impiccare l’Avv. Gavino Fadda. Terrore generale. Vive inquietudini, intranquillità nel popolo; ma Valentino stette duro. Si lasciarono passare soli dodici giorni; e il 5 Ottobre, crescendo la dose, Valentino fece erigere le forche per due – per Antonio Vincenzo Petretto, e per Antonio Maria Carta. I sassaresi erano atterriti, Non erano assassini volgari quelli che si menavano al patibolo – erano persone ragguardevoli – i migliori medici ed avvocati della città. E non incuteva orrore il solo apparato della forca, che si erigeva nel silenzio e nelle ombre della notte dagli assistenti del boia; veniva in seguito la decapitazione dei cadaveri; e poi la testa esposta in una gabbia di ferro, la quale si appendeva ora in una ed ora in altra porta della città, a terrore di chi entrava, o di chi usciva da Sassari; – dopo la gabbia l’abbrucciamento del corpo e le ceneri al vento… Tutte le sentenze pubblicate per gli Angioini sono uguali; non variano che nel solo nome della vittima designata al carnefice. Ve ne trascrivo una integralmente; che tolgo dagli Archivi di Cagliari; così il lettore potrà farsi un’idea della causa della condanna e dell’orrore del supplizio.

SENTENZA

 Nella causa del Regio Fisco contro Antonio Vincenzo Petretto ed Antonio Maria Carta di questa città, detenuti ed inquisiti: di avere nell’insurrezione seguita nel corrente anno in questa città e capo di Logudoro, pendente il Governo di Don Gio. Maria Angioi della villa di Bono, di complicità col medesimo e di altri funzionari e rivoltosi loro soci, tentato e procurato con opere di fatto usurpare i diritti della Sovranità e cambiare il governo politico di questo Regno con erigerlo in Repubblica; e di avere parimenti sparlato contro la persona, l’onore ed il decoro di SS. R.M. con espressioni ingiuriose e di disprezzo, e turbata interamente la pubblica tranquillità e sicurezza, essendosi in tal forma resi rei di lesa maestà. La Viceregia Delegazione stabilita con patenti del 27 Agosto e 5 Settembre corrente anno, con amplissima autorità di procedere per via sommaria ed economica, ha economicamente condannato li suddetti Antonio Vincenzo Petretto e Antonio Maria Carta ad essere pubblicamente appiccati per la gola, sino a che l’anima sia separata dai loro corpi; e questi fatti cadaveri, spiccarsi le loro teste dai busti e mettersi alla pubblica vista entro grate di ferro nelle porte di questa città, che dalla stessa Viceregia Delegazione verranno destinate, con abbrucciarsi il rimanente di essi cadaveri, e spargersi le ceneri al vento, previa tortura nel capo dei complici, nella confiscazione di tutti i loro beni in favore del Regio Fisco, e nelle spese.

Sassari 5 Ottobre 1796.

D’ordine della Viceregia Delegazione RAIMONDO MUNDULA
Notaio della Viceregia Delegazione.

Sassari nella Stamperia Privilegiata di Gio. Luigi Polo.

Il popolo, inorridito, leggeva le sentenze, dava un’occhiata a quelle teste esposte nelle gabbie, ed ognuno si ritirava silenzioso in seno alla propria famiglia, ripensando ai casi della giornata. Le vie di Sassari eran deserte, silenziose; dappertutto lo sgomento, la paura; ogni colpo dato alla porta sembrava un richiamo dell’inesorabile Valentino – il quale non aveva che un solo pensiero: il carnefice. Le cose in Sardegna parvero finalmente sedate… e se ne diede la buona notizia al re…

• Amedeo III

Il re però, ebbe appena il tempo di ricevere quella buona notizia; e fors’anco non la ricevette, perché il 16 Ottobre di quell’anno fatale cadde colpito di apoplessia, e spirò undici giorni dopo 1’esecuzione del Petretto e del Carta. Il Padre Sisco, il minuzioso cronista, tace nel suo memoriale dei supplizi degli Angioini – Egli però registra la morte del re con queste parole: « Il 13 Ottobre 1796, verso la mezzanotte, a Moncalieri, fu colpito d’apoplessia Vittorio Amedeo III. Egli suonò il campanello, ed entrò il Valletto di Camera; gli furono fatti due salassi, ma non ripigliò i sensi, e non parlò. Migliorò alquanto al mezzogiorno del 14 – la notte perdette i sensi; e il 15, alle ore 6 e qualche minuto morì. « Il 15 Dicembre, da tutta la Nobiltà di Sassari e R. Impiegati, si prese il duolo, ed ebbero luogo al Duomo i funerali. » Vittorio Amedeo III era secco, colla faccia allungata e colla grossa parrucca, come il papà. Ebbe in moglie la figlia di Filippo V, la quale lo rendeva padre di ben dodici figli, cioè: Carlo Emanuele IV, che gli succedette; – Maria Elisabetta, morta a nove mesi; – Giuseppa Maria, che fu moglie a Luigi XVIII; – Amedeo Alessandro, morto a sette mesi; – Maria Teresa, moglie a un re di Francia; – Vittorio. Emanuele, che succedette al fratello; – Maria Giuseppina, morta a otto anni; – Maria Anna Carolina – Maurizio Maria Giuseppe Duca di Monferrato, morto in Alghero; – Carlona Maria Antonia, morta di vaiuolo; – Carlo Felice, Duca di Genova, succeduto a Vittorio Emanuele; – Placido Benedetto, morto a Sassari nel 1802.