Sassari Aragonese

 

• 1323. Tra un papa e un re

Fin dal principio del suo pontificato, nel 1295, Bonifazio VIII nel conchiudere con Jacopo II, re d’Aragona, un accordo pel quale doveva far cessare fra questo Sovrano, la casa d’Angiò e la chiesa romana ogni contestazione sul possesso della Sicilia, comprendeva nelle segrete condizioni di tal trattato la promessa della concessione della Sardegna; e Jacopo acconsentiva all’abbandono di qualunque suo dritto sulla Sicilia, la quale era pur destinata più tardi, dopo due secoli, cioè nel 1720, ad essere di nuovo, con uguale rinunzia, scambiata coll’Isola sarda. – La Sardegna pisana, genovese, e dei Giudicati, diventava così spagnuola sotto il regno di Giacomo II e suoi discendenti – come più tardi diventava sabauda sotto il dominio di Vittorio Amedeo II e discendenti suoi. Le due grandi Isole italiane, sorelle di sventura, furono condannate a darsi il cambio.
Le promesse di Bonifazio VIII si riducevano ad effetto nel 1297; ma il re Giacomo non fu in grado di prendere possesso dell’Isola che nel 1323, quando cioè potè radunare a tal uopo l’armata che gli era necessaria per cacciarne i Pisani, e quando per l’ausilio proferitogli dal giudice di Arborea, Ugone III, potea far fondamento non meno sulle sue che sulle altrui forze.
Si sa bene: un diavolo scaccia l’altro. Sarà questo il destino delle nazioni, sinché piacerà a Dio che ognuna si contenti di ciò che possiede, oppure che ognuna restituisca all’altra ciò che le ha rubato. Il destino delle terre, come quella della Sardegna, gettate in mezzo al mare, fu sempre quello di essere ballottate dall’uno all’altro padrone, per essere di tutti, e viceversa poi di nessuno; terminando assai spesso per non amare che sé stesse, o prendendo tanto amore per la nutrice, da sconoscere poi la propria madre – come accadde alle isole di Corsica e di Malta, le quali sotto le carezze della Francia e dell’Inghilterra, scordarono la loro madre Italia. – È sempre stata cosa pericolosa dare i figli a balia!

 

• Guantino Catoni

Da principio Sassari fu guelfa; ma poi, dal 1290, cominciò a prevalervi la parte ghibellina, la quale per la confederazione col Comune di Genova, vi si mantenne per più anni compatta e poderosa. II partito guelfo però non era mai mancato, e memore dell’antica indipendenza sotto la protezione pontificia aspirava sempre a riacquistare il potere, togliendolo alla parte avversa.
A capo di questo partito era Guantino Catoni, uno dei più animosi cittadini sassaresi di quei tempi; il quale, conosciuta la concessione della Sardegna fatta da papa Bonifazio a Giacomo II d’Aragona, la spedizione armata che si preparava a Barcellona, e la guerra già rotta nell’Isola contro i Pisani da Ugone III che partecipava per il Re aragonese, conobbe non essere tempo di fazioni e d’indugi, e deliberò di salvare alla patria le sue franchigie e la sua libertà con una spontanea sottomissione. Egli era amico dei Doria e dei Malaspina, e soprastette nel suo tempo per autorità e per ricchezza agli altri cittadini sassaresi; ed anzi in quel tempo teneva la somma delle cose nella nostra Repubblica.
«Catoni – scrive il Vico – era un cavaliere muy noble, e per molte prodezze così famoso e valoroso soldato (come il Fara ed altri riferiscono) che, per mercede e privilegio imperiale, conduceva sempre con sé, per suo servizio e guardia, trenta soldati».
Egli fu nemico implacabile dei Pisani ed amico dei Genovesi; però (dice il Tola) quando vide pericolare l’indipendenza del suo paese, di cui era severo custode, e i cittadini inabili a sostenerla, e pronti i Genovesi a impadronirsi del supremo potere, anziché vedere il suo paese servo di dinasti deboli ed avari, pensò esser meglio piegare il capo al Re, allora chiaro e potente.
Ai suoi disegni era naturalmente contrario il Podestà e gli altri Genovesi che avevano in Sassari influenza ed autorità, fra cui Branca e il di lui figlio Bernabò Doria, Franceschino Moruello e Corradino di Opizzone Malaspina che si tenevano forti, sperando di crescere di Stato e di potere nel Logudoro. E perciò il Catoni, fatto rumore col popolo, cacciò i Genovesi nell’Aprile del 1323, e prese momentaneamente la direzione del Governo.
Fu necessità dei tempi; perocché Giacomo II, re d’Aragona, riuniva nel porto di Maone una flotta poderosa destinata a conquistare l’Isola, e comandante supremo della spedizione nominava lo stesso suo figlio Don Alfonso.
Previde il Catoni, che la Repubblica Sassarese non avrebbe potuto sostenere lunga pezza l’impeto del conquistatore; quindi, avvece di un’inutile resistenza cui avrebbe tenuto dietro l’oppressione ed il servaggio, giudicò miglior consiglio il profferirsi volontariamente, sperando che la libera dedizione produrrebbe il mantenimento delle proprie leggi, l’indipendenza civile e l’acquisto di nuovi favori. Per il che, vinto da lui il partito nel Consiglio Maggiore, che pare si dividesse in due distinte fazioni, inviò nel Giugno al Re, in Barcellona, il medico Michele Pera per offrirgli vassallaggio a nome del Comune, o, secondo alcuni storici, a nome dell’intiera Isola. In quel tempo il Castello di Cagliari era dei Pisani – Oristano, dei Giudici di Arborea – Bosa, dei Malaspina – Alghero e Castelsardo, dei Doria. Iglesias fu il primo luogo assalito dagli Aragonesi.

 

• Franchigie e privilegi

Accettò il re Giacomo l’offerta dei Sassaresi, e inviò subito a Guantino un legno armato per la guerra, inculcandogli che, appena udrebbe l’arrivo suo nell’Isola, gli si presentasse co’ suoi aderenti. Di più il Re sottoscriveva a favore degli stessi Sassaresi un diploma in data 7 Maggio, nel quale accordò loro le più ampie franchigie in tutti i suoi Stati, la conferma delle private proprietà e dei diritti notareschi; stabilì che il Podestà sarebbe nominato dal Re; promise di rivedere i loro Statuti, e concedette varie altre grazie. In premio della sua dedizione accordò pure a Sassari il privilegio di un Magistrato Supremo, onde il Magistrato della Reale Governazione di Sassari era il più antico fra tutti i Tribunali della Sardegna; diffatti quello di Cagliari fu creato nel 1353.

 

• Il Giudice d’Arborea

Il Giudice di Arborea, intanto, precipitando gli indugi, rompeva apertamente la guerra contro ai Pisani – se guerra puossi chiamare (nota il Manno) il macello che egli fece dei Pisani nelle sue terre; molti dei quali militavano sotto al suo comando, per il che si ebbe dagli storici Villani e Tronci la taccia di ribelle e traditore.
Il Tola dice: «Ugone III di Arborea, potente per Stati e per ricchezza, e Sassari, città armigera e forte per uomini valorosi, erano i soli che potessero ostare colle armi alla dominazione straniera; ma l’audace animo di Ugone ciecamente ubbidiva all’odio suo contro i Pisani; e le private ambizioni corrompevano i Consigli della Repubblica Sassarese: diversi interessi ad uno stesso fine traevano. Sassari e Ugone di genti e di vettovaglie soccorrevano chi veniva ad opprimerli, e con scellerato consiglio pesanti catene alla loro patria colle proprie mani apprestavano. Chiamavano gli Aragonesi amici e liberatori, ma nemici erano: di padroni i Sardi mutarono, non di servitù».

 

• Arrivo di Don Alfonso

L‘infante Don Alfonso, insieme all’infanta Donna Teresa, sua moglie, la quale volle dividere i cimenti e le glorie del marito, arrivarono al Capo San Marco presso Oristano, e subito dopo al porto di Palma, presso Carloforte. Il loro naviglio era composto di 60 galee, 24 grosse cocche, e di gran quantità di navi minori, formando una flotta di circa 300 legni.
Il Giudice d’Arborea, seguito da molti notabili dell’Isola, andò subito a far riverenza all’Infante ed a riconoscerlo per Signore.
Appena sbarcato Don Alfonso nel Campo di Solci, il Catoni si portò subito colà coi deputati del Comune di Sassari, che erano i sassaresi Matteo Casu – Comida Devilla – Marabottino Marabotti e Guantino Pala, per rinnovare all’Infante l’omaggio della città di Sassari, e per offrirgli aiuto d’armi e di danaro.
L’Infante accettò l’offerta, ed inviò a Sassari per primo governatore Guglielmo Moliner; e coll’aiuto dei Sassaresi si cominciò quasi subito l’assedio d’Iglesias, e quindi di Cagliari. Ed Alfonso, riconoscente, rinnovò agli abitanti di Sassari i privilegi, loro garantiti e confermati dal re Giacomo; anzi ne accordò dei nuovi – come, per esempio, il permesso di estrarre dall’Isola le derrate, malgrado il fattone diniego – l’assicurazione della perpetua unione di Sassari al Regio Patrimonio, e la promessa di rimandare ai Sassaresi i servi loro e le serve trafugate.
Pare – osserva il Manno – che quest’ultima concessione avesse rapporto colla domanda di qualcuno dei Commissari spediti a Barcellona. Chi lo sa? Forse a Matteo Casu od a Comida Devilla erano state rubate le serve!
Il re Giacomo scrisse in quella circostanza (secondo il Cossu) aver la città di Sassari eseguito cose non praticate da altri popoli!

 

• Il Governatore Moliner

Arrivato a Sassari il governatore Moliner, accadde un movimento, perocché la fazione contraria ai Genovesi, sollevatasi contro essi, cacciava il Podestà mandato da Genova, e rompeva i patti d’alleanza giurati con Genova nel 1294.
Genova fu piccata per questo fatto spiacevole, e si dolse che Alfonso avesse accettato la dedizione dei Sassaresi. Il Re però fece il nesci, accolse il messaggio con gentilezza, protestò sincera amicizia ai Genovesi, ma ritenne Sassari!
Si concedeva intanto ai Sassaresi piena esenzione, in Sardegna, da ogni servizio personale, dazio, contributo e diritto di qualunque sorta; eccettuato il servizio militare, che, per cagione di guerra, ciascun cittadino dovea fare per quattro mesi dell’anno – ma solo in Sardegna e non altrove.

 

• 1324 Altri privilegi

 L’infante Don Alfonso non lasciava sfuggire occasione per favorire Sassari. Egli, a istanza degli ambasciatori sassaresi, revocava le donazioni delle ville di Gerito, Ottava, Eristola e Querqui, da lui già fatte a Guglielmo Culomario, Marabottino Marabotti e a Margherita Rapallino, perché a tenore delle precedenti concessioni non si potevano donare né infeudare ad altri, essendo le dette ville nel territorio, e sottoposte alla Giurisdizione di Sassari.
Insomma, era un ben di Dio! – i privilegi fioccavano che era un piacere. Il Re delle Spagne inzuccherava la pillola ai Sassaresi – e i Sassaresi erano contenti come una Pasqua, perché la novità ha sempre un’irresistibile attrattiva, la quale, se non ad altro, serve di diversivo all’abitudine di star bene, che a lungo andare diventa noiosa.
Don Alfonso, colla consorte, ripartì per Barcellona il 18 Luglio 1324.

 

• 1325 Branca Doria de Nurra

Nel principio di questo anno (e precisamente ai 17 di Marzo) abbiamo un Decreto, col quale il Comune di Sassari condanna nel capo un Branca Doria de Nurra; lo bandisce perpetuamente dal suo territorio, decreta la confisca dei suoi beni, e vieta a tutti i Sassaresi di contrarre vincoli di matrimonio o di avere alcuna relazione co’ suoi figli, ordinando che se ne faccia sacramento dagli Anziani e dagli altri cittadini nel Consiglio Maggiore.
In un antico memoriale spagnuolo, scritto da un certo Serra y Manca, sassarese, e stampato nel 1642, si fa menzione di questo Decreto del Comune, e vi si dice che il medesimo Decreto fu rinnovato nel 1347 in odio ai Genovesi. È difficile immaginare la cagione di questo bando perpetuo colla dispersione delle Carte dei nostri Archivi, e in tanta distanza dei tempi; e il Tola, che accenna questo fatto, crede che questo Branca Doria sia stato forse uno di quei cittadini che in Sassari sostenevano il partito genovese, che era quello della Repubblica, e che probabilmente sia stato una delle vittime fatte dal partito preponderante capitanato da Guantino Catoni.

 

• Sassari senza sassaresi

Non tardò il Re, poco per volta, a stringere il morso e a far sentire il pungolo dei suoi speroni alla città di Sassari; motivo per cui i cittadini cominciarono a guardarsi l’un l’altro, sospirando l’antica e piena libertà perduta, e a persuadersi che, in fondo in fondo, i Genovesi erano assai più buoni dei figli d’Aragona.
Già molte cose si erano insensibilmente cambiate. Invece del Podestà che continuò un buon pezzo a sussistere, si nominò il Veghiere Regio – si diminuì il Consiglio Maggiore e quello Minore; il primo, che era di 100, si portò a 40; il secondo, che era di 16, si ridusse a soli 5. La tirannia aragonese violò i patti dell’aderenza spontaneamente fatta; la facoltà dei due Consigli fu ristretta, e l’antica maniera di amministrare si riformò secondo piacque all’Augusto Dominatore.
Nel cuore del Catoni cominciò intanto a scemare la tenerezza pel nuovo Governo, perché vedeva che i signori Spagnoli avevano molto promesso e poco mantenuto. Il fatto è, che, o non credendosi abbastanza rimunerato dei servigi prestati al Re d’Aragona, o prevalendo in lui le prime amicizie genovesi, si riconciliò col partito ligure che era a Sassari e che aveva a capi Aitono e Vinciguerra Doria, tirò dalla sua parte i Pala, una delle più potenti famiglie, e soffiò nelle masse. I Genovesi, dal loro canto, anelando sempre alla ricuperazione di Sassari, fomentavano i turbamenti popolari, e incitarono i cittadini alla rivolta. I cittadini non volevano che una spinta; fecero una rivolta, e trucidarono o scacciarono quanti aragonesi cadevano sotto le loro mani, compreso il Governatore della città, Raimondo di Semanato, che fu massacrato insieme agii altri.
A mali estremi, estremi rimedi! – Il Re d’Aragona, vedendo che riusciva vano mettere in pace quegli ex-repubblicani e ridurli a sommissione, dopo una contro battaglia, cacciò addirittura dalla città tutti i Sassaresi, i Pisani ed i Genovesi, e la popolò di Catalani, di Aragonesi e di altri sudditi regi, per opera di Don Berengario di Villaragut e di Bernardo Gamir, colà a tal uopo inviati dal Re col titolo di riformatori. Guantino Catoni, insieme agli altri, non più cittadino di Repubblica, non più amico o vassallo di principe conquistatore, andò esule dalla sua patria, e più non la rivide, perché morì più tardi nella Reggia di Arborea alla quale aveva chiesto rifugio.
E Sassari restò senza sassaresi!
Il nostro Fara accennò appena questo fatto, e Vico lo dissimulò.
La ragione si comprende: – il primo discendeva da Stefano Fara, insignito nel 1440 della dignità equestre da Don Alfonso V – il secondo per volere di Filippo IV esercitava alla Corte di Aragona le funzioni di Vice Cancelliere. Questi due storici sassaresi credevano, in buona fede, di onorare la fedeltà dei loro concittadini rappresentandoli (specialmente il Vico) quali schiavi rassegnati, anzi contentoni di quel paterno rigore.
La ribellione però dovette essere molto seria, a giudicare dalla risoluzione presa dal Re, di cacciare tutti i Sassaresi dalla città. È ben facile immaginare quanti insulti, quante violenze dovettero sopportare le famiglie sassaresi, costrette a lasciare le loro case, portando seco i vecchi, le donne, i bambini e le loro suppellettili!
Non sussistette però gran tempo questa iniquità, perché gli esuli, unitisi coi Doria, con tanto furore imperversarono a danno dei Regi e dei nuovi coloni, che finalmente, per intercessione del Giudice di Arborea, o piuttosto per necessità, dovette il Re calare a consigli più miti; e incaricò i riformatori Villaragut e Gamir perché fossero riaperte le porte agli espulsi Sassaresi, e restituiti loro le case ed i beni; escludendo soli dall’amnistia i Catoni ed i Pala, autori della spedizione e duci di quella guerra ferocissima.

 

• 1326. Si ritorna ai privilegi

L’Infante di Aragona, al solito, ricominciò da capo coi diplomi e coi privilegi per attirarsi la benevolenza dei Sassaresi; istituiva a Sassari l’uffizio speciale di un Giudice, il quale doveva sentenziare in grado d’appello in certe cause civili; ordinava la restituzione a favore del Comune dell’antichissimo dritto di riscossione di un danaro per lira, solito pagarsi nel porto di Torres nell’importazione ed esportazione di generi e merci di ogni sorta; il qual dritto, destinato per la manutenzione del porto, per il riattamento ed ampliazione del molo e per la costruzione di due torri, era stato arbitrariamente applicato dal Re al Regio Tesoro.
Concedeva infine amnistia, e rimetteva la pena di confine e di relegazione in cui erano incorsi alcuni cittadini sassaresi per i tumulti accaduti nella città, e per gli eccessi commessi contro il Podestà e Regi Ministri.
I Sassaresi, finalmente, risolvettero di stare un po’ tranquilli e di sopportare pazientemente il Governo aragonese; il quale, coll’accordare privilegi e spedire diplomi, non faceva in fin dei conti che togliere poco per volta le antiche libertà e restringere i Consigli. La politica di quei Re era di togliere i benefizi accordati, per avere poi l’aria di accordare grazia e di affacciare i dritti alla riconoscenza dei sudditi, promettendo per il domani ciò che avevano conceduto il giorno innanzi, o tolto nella giornata.

 

• 1327. Precauzioni

Il Re però, mentre mostrava il suo amore di padre ai Sassaresi, diffidava di essi per gli eccessi fatti; epperò credette bene di premunirsi contro qualche nuova scappata.
A quest’anno appunto rimonta l’erezione dell’antico Castello di Sassari, testé demolito; il qual Castello fu fatto costruire dal governatore Raimondo di Montepavone, col proposito sorse di assalire dall’alto i Sassaresi, nel caso tornassero essi a ribellarsi. Qui faccio un’osservazione, comunicatami dall’illustre paleografo I. Pillito, da nessuno storico avvertita. Nelle scritture antiche è detto, che Raimondo di Montepavone era Vicario e Castellano, e doveva avere 20 uomini dentro il Castello per la custodia. Ciò vuol dire, che non era Governatore, come lo disse il Fara, e dopo lui gli altri storici, e che in quei tempi non esisteva ancora la carica di Governatore!
Niente altro di notevole accadde in quest’anno; tranne la morte del re Giacomo II, il quale lasciò la Corona ed il Regno all’infante Don Alfonso, suo figlio.