Sassari Spagnola

• 1621. Ascesa al trono

Filippo IV sale al trono nel Marzo di quest’anno. Fece migliorare in alcune parti la somma delle cose pubbliche, le quali, viceversa poi, in altre parti peggiorarono. Volle proteggere le lettere accordando nel 1658 l’introduzione dei libri senza gabelle – ma le fe’ stazionarie; – volle che i costumi s’ingentilissero, ma, viceversa, nel 1650 proibì la rappresentazione delle commedie nell’Isola. Non fece leggi nuove, ma in cambio pubblicò le vecchie: nel 1640 Vico compilò le Prammatiche, e Dexart nel 1645 pose in ordine i Capitoli di Corte. – Il municipalismo imperversò. La peste e la carestia desolavano terre e uomini – e il Governo finiva di assassinarli col fisco, coi tributi e col feudalismo. Questo Monarca si tirò innanzi per mezzo dei consigli dei suoi favoriti. Si lasciò menare per il naso dal suo primo ministro, Conte di Olivarez, imitando così suo padre, che si era lasciato governare dal suo favorito, il Conte di Lerma.

• Si ribatte il chiodo

Non appena il Viceré prese possessione del Regno in nome di Filippo IV, il Sindaco di Sassari già presentava in Cagliari le chiavi di argento ed un donativo, come si rileva dagli Archivi Municipali. Questa premurosa dimostrazione di fedeltà non era certo senza un perché. Appena salito al trono il nuovo Re, i logudoresi lo supplicarono perché potessero riunirsi in Sassari e formare un distinto Parlamento. I cagliaritani si opposero vivamente; la questione fu presentata agli uditori della Regia Ruota, e questi (i più dei quali pare fossero logudoresi, dice l’Angius) chiamarono ragionevole la petizione. I cagliaritani ricorsero al Re – e il Re, imitando i suoi predecessori, ordinava… che le cose ritornassero come prima. E i sassaresi, diggià allegri, si fecero mesti un’altra volta.

• 1622. Vico

Dopo tanto, si ottiene che nel Consiglio Supremo di Aragona sedesse pure un Reggente nativo dell’Isola; e Filippo IV nominava per quest’alta e importante carica il cittadino sassarese Don Francesco Vico, lo scrittore della Storia di Sardegna, uomo dottissimo nella scienza delle leggi.
In quest’anno si dà un maggior impulso agli olivastri e alla coltivazione dei gelsi.

• Delitti

Un grave delitto si commette a Sassari. Si assassina Angelo Giagacho, assessore della Real Governazione. Il Viceré mandava in Sassari il reggente Don Francesco Pacheco con pieni poteri di alternos insieme a Don Francesco Corts e Don Gio. Andrada, i quali fecero impiccare molte persone credute partecipi del delitto; e prime fra esse un Cossu Ruju e un Cossu Spano, i cui teschi furono ingabbiati sopra le porte della città.

• 1624. Oliveti

Una felicissima legge del Parlamento pone l’obbligo agli abitanti contribuenti (che pagano il fuoco) sotto pena di ammenda, d’innestare ogni anno, nei luoghi dove non esistevano, almeno dieci olivastri, diventando questi, subito, proprietà dell’innestatore, salvo un leggerissimo diritto al signore del terreno. Di più, un articolo di questa legge portava, che i terreni producenti olivastri (appartenessero essi alla corona od ai baroni) fossero concessi e ceduti in piena proprietà a chiunque assumesse l’incarico di applicarvi l’operazione dell’innesto.

• Di nuovo le petizioni

I logudoresi, conciliatosi il favore del viceré Vivas, riproducono la solita petizione ch’era stata sempre rigettata dai re. Dice l’Angius, che il Viceré, per accomodare l’affare, volendo servire all’invidia (!) dei logudoresi e contro i nobili cagliaritani che non lo avevano mai calcolato, sceglie un mezzo, e propone la città d’Oristano, comoda per tutti, onde tenervi i Comizi; così sarebbero contenti, e i sassaresi, non essendo il Parlamento in Cagliari (e non impiegando più sei lunghi giorni di viaggio per recarsi alla capitale) e i cagliaritani che non vincevano i sassaresi. I cagliaritani però mandarono appositamente un avvocato alla Corte di Madrid, il quale tanto fece, che il Re scrisse di lasciare le cose com’erano prima!

• Primate

L’Arcivescovo, volendo persistere nel titolo di Primate, scrive al Re per notificargli i fondamenti del suo preteso dritto. Il Re rispose, che cancellasse dalle sue lettere il titolo di Primate.

• Ispezione di truppe

Nel 19 febbraio il Viceré inviava a Portotorres il veditore generale De Silva, acciocché col Delegato del maestro ragioniere in Sassari, Domenico Cugia, passasse in rassegna i soldati del reggimento lombardo venuti da Milano sotto il comando del cav. Giov. Battista Pece. Si fece quindi il riparto delle compagnie per le città dell’Isola, e perché il Re non aveva rimesso i danari necessari fu imposta una tassa generale di quattordici soldi per ogni famiglia, per lo stipendio di quelle truppe. L’esazione però di questa tassa riuscì difficile per la povertà dei sardi, e allora il Viceré, temendo i disordini che potevano derivare dalla mancanza del soldo ai soldati, deliberava col voto del Consiglio, che le suddette città somministrassero il grano necessario per due mesi, e che si prendessero a prestito 1.400 scudi. L’assegno dei soldati venne allora stabilito in sessanta centesimi al giorno, cioè: venti centesimi di pane, dieci di vino, e trenta in danaro compresa la legna. Nei giorni di magro si dava quaranta centesimi in danaro, e il resto in pane. Così il G. Pillito.

• 1626. Pietro Esgrecio

Nelle guerre di Lombardia la Sardegna mandò pure uomini armati. Pietro Esgrecio, sassarese, aveva sotto il suo comando ventisei compagnie di fanti, e moveva da Siviglia alla volta dell’Italia!

• Il Viceré a Sassari

Il 19 marzo, Don Girolamo Pimentel Marchese di Bajona, Viceré, arrivava a Sassari, e recatosi nella chiesa di Santa Maria di Betlem ordinava la lettura della sua nomina, presenti i consoli Don Sebastiano Zonza – Don Gavino Rogio – Francesco Mogano – Giov. Antonio de Campo – Gavino Silvano – l’arcivescovo Don Diego Passamar – l’arciprete Don Antonio Nuseo – il Capitolo – il sindaco dello Stamento militare, Don  Antonio Manca de Homedes – il governatore e riformatore di quel Capo, Don Enrico De Sena – il regio vicario, Don Pietro Moros de Molinos – e Don Stefano Manca, delegato del Regio Procuratore in Sassari.

• 1627. I barbari

I barbari infestarono i lidi della Sardegna; e i Sassaresi provarono gran dolore per il saccheggio e la profanazione recati alla basilica di San Gavino in Portotorres. Nell’anno seguente il Re comandò che si fortificasse il luogo di San Gavino, in modo che si potesse difendere in un assalto repentino, dando tempo alle milizie di Sassari di arrivare; ma poco dopo in una carta reale fu ordinato che si spogliasse del tutto quel luogo, si abbandonassero le abitazioni, né più si lasciasse in chiesa il Sacramento.

• 1628. Si domandano danari

Nell’agosto di quest’anno esaminatasi dal Consiglio una regia lettera che autorizzava le città di Cagliari e di Sassari ad onerarsi a censo la somma di 50 mila scudi, onde sopperire alle spese per le armi e munizioni (giacché nessuno fra i facoltosi dell’Isola intendeva prestar danari sulle rendite dello Stato) il Viceré e lo stesso Consiglio deliberarono, inviare i Sindaci delle due città a prendere a censo la somma di 20 mila ducati (lire italiane 107.400) come sufficienti per pagare il dippiù delle armi e munizioni procurate dal Sanguinetto. Nel 10 stesso mese stipulavasi il relativo contratto, per cui la Regia Corte obbligavasi pagare a ciascuna di esse città 10 mila scudi, nonché le annue pensioni, le quali andrebbero in scomputo della quota pagabile dalle medesime sul servizio del Parlamento, sino a che fosse loro restituito il rispettivo capitale. Nel novembre, dietro lettera del Re che ordinava gli si rimettessero 30 mila ducati, le città di Cagliari e di Sassari si esibirono nuovamente di onerarsi a censo 15 mila scudi ciascuna, alle stesse condizioni sopraccennate; e per evitare qualunque ritardo furono tratte varie cambiali da diversi negozianti, sino alla concorrenza di quella somma, mediante interesse del nove per cento pagabile dalla regia cassa. Appena rimessa quella somma, giunse altra regia lettera al Viceré, che autorizzava a pignorare o vendere qualunque luogo dell’Isola sino ad accumulare la somma di altri 100 mila ducati di cui il Sovrano abbisognava per le strettezze in cui lo aveva messo la guerra che sosteneva in Lombardia. Si ricorse di nuovo alle città – e nell’anno seguente Cagliari versò lire italiane 163.560,82 – Sassari 120.000 – Oristano 23.132. Ma i danari non bastavano ancora, e allora si domandò grano per sfamare l’esercito di Milano – e la Sardegna mandò grano.Oh, quando trattavasi di mungerla, i sovrani ricorrevano tanto volentieri alla povera Sardegna, la quale si lamentava ma pagava sempre!

• 1629. Cavallette

Un nembo di locuste venute dall’Africa divora i campi; quindi grandissima carestia in tutta la Sardegna. A questa seguì il vaiuolo che decimò le popolazioni sarde.

• 1630. Tonnare

Per ordine del Re furono vendute quasi tutte le tonnare di Sardegna. Per certo era una gran fame laggiù in Ispagna!

• 1631. Banditi

Una squadriglia di banditi a cavallo desolava il Capo Logudoro con frequenti ladroneggi ed omicidi. E perciò nel 24 luglio, previo parere del Consiglio, vi si spedivano due compagnie di militi coi rispettivi capitani e tenenti per dar la caccia ed arrestare quei facinorosi, ordinando in pari tempo che le spese di quella spedizione fossero a carico dei proprietari di bestiame, come quelli che dalla medesima venivano a risentirne il maggior vantaggio.

• 1632. Si torna al chiodo!

I nobili del Logudoro, i quali non potevano fare ciò che facevano i nobili cagliaritani, aprirono il cuore alla speranza appena il cittadino sassarese Vico fu nominato reggente nel Supremo Consiglio di Aragona. Tornarono alle antiche lagnanze, e domandarono di potersi convocare in Sassari. Questa volta, per mezzo del Vico, ottenero l’annuenza del Re, colle condizioni però: che il Governo fosse prima informato dell’oggetto della riunione – che intervenisse alla riunione il Governatore o il Regio Procuratore – che comunicassero fra loro i cagliaritani e i sassaresi – e che infine la risoluzione fosse presa presso al Viceré. – Il Sindaco però dello Stamento militare, che non era partito per Cagliari, saputo il reale rescritto, reclamò così forte al Re, che le cose tornarono allo stato di prima; – e i sassaresi, di nuovo ad aspettare pazientemente una nuova occasione!

• 1633. Giudici criminali

Si fissano due giudici criminali, e la città concorse volentieri a stipendiarli a cinquecento scudi caduno, col patto, che uno fosse sassarese, e l’altro almeno del Capo settentrionale. Per la spesa di questi giudici, si pensò ricavarla dall’imposizione di mezzo reale per cantaro sopra i formaggi che si estraevano dal porto.

• Convento

Si fonda altro convento dei Domenicani dentro Sassari, dove più tardi si traslocarono i frati di quest’ordine che stavano nel convento di San Sebastiano. L’Angius dice fondato questo convento nel 1632.

• 1635. Assassinio

Un nobile di Sassari, Don Diego Manca, uccideva in Sassari pubblicamente il cognato Gavino…, di Sedini, con una pugnalata ed una pistolettata. Il Viceré promise duecento reali a chi consegnasse il reo alla Giustizia. Cento sole lire per prendere un nobile, a quei tempi? Era troppo poco! Scommetto che l’assassinio non fu preso da alcuno!

• 1636. Timori

Sassari si munisce di munizioni e provvigioni per l’annunzio che una flotta francese, pronta a salpare da Tolone, si allestiva contro la Sardegna. I francesi però si gettarono sui lidi di Oristano nel febbraio dell’anno seguente, e furono respinti dai sardi.

• Ancora i barbari

Verso quest’anno alcune galere di Biserta predarono non pochi legni che veleggiavano per l’Asinara e Portotorres, e quindi assaltarono e distrussero diverse torri. Essendo giunta la notizia a Sassari, il commissario della cavalleria, Don Girolamo Obilba, chiese ed ottenne dal Governatore di portarsi prontamente in Portotorres con tre compagnie di cavalleria e fanteria per impedire ai pirati la presa di una torre.
E il Viceré, mentre ordinava il pronto restauro di quelle torri ed il nuovo armamento delle medesime coll’invio di dieci pezzi d’artiglieria da quelli salvati dalla predetta nave naufragata, faceva pure iniziare un processo contro coloro, che, preposti alla vigilanza e difesa di quelle torri, le abbandonarono al nemico, e contro gli altri che si rifiutarono di accorrere in soccorso delle medesime. Ben settantadue testimoni furono contro di loro esaminati sul posto; e, trasmessi gli atti al Viceré, vennero condannati: ad una multa di dieci scudi i soldati – di quindici i sergenti – di venti l’alfiere – e di venticinque il capitano. Questa sentenza però non ebbe effetto, sia per la povertà dei condannati, sia per la buona volontà da essi addimostrata e per le fatiche sofferte nell’accorrere contro i corsari, che vennero, di nuovo, poco dopo, a molestare quei luoghi.

• Pulizia

Sempre per provvedere alla guerra, si pensò di riparare le mura di Sassari, le quali per i cumuli delle immondezze, si potevano facilmente scalare. Che letamai imponenti, e che pulitezza nella nostra città!

• 1637. I francesi nell’Asinara

Si ha avviso, nel giugno di altra invasione francese. In Sassari si raduna un Consiglio di Guerra per ordine del Viceré, e si fanno alcune proposte per mettere in istato di difesa la piazza. Si chiede in seguito un soccorso di danaro per acquisto di grani, stante lo scarso raccolto dell’anno precedente, e la poca speranza in quello del corrente.
Nel dicembre dello stesso anno si ebbe di nuovo la notizia, che alcune navi francesi, comandate dal capitano Roques, sbarcarono molti uomini d’armi nell’Asinara, i quali, dopo aver trasportato a bordo di quelle navi un cannone di bronzo ed altre munizioni di guerra esistenti nella torre del Castellozzo, presero ed occuparono l’altra del Trabucado, armandosi e fortificandosi in essa; e lasciatavi indi una guarnigione, le stesse navi se ne partirono col disegno di chiamare altre forze per potersi impossessare delle fortezze e della città di Alghero.
Per ordine del Viceré furono quindi prestamente inviati all’Asinara i migliori capitani e guerrieri tanto di Cagliari quanto di Sassari con diverse compagnie di cavalleria e di fanteria e con alcuni pezzi di artiglieria; uno dei cannoni, che fu preso dalla torre di Portotorres e messo in una barca, colò a fondo con essa, né si potè più ricuperare.
Appena giunti sul posto assediarono strettamente quella torre, non volendo dare un assalto decisivo per evitare inutile spargimento di sangue; ed avanzandosi il capitano Pietro de Azara a parlamentare cogli assediati, questi si arresero ben tosto, col patto che giornalmente venissero loro distribuiti i viveri necessari, sino a che potessero trovare imbarco da restituirli nella loro patria. Pochi giorni dopo comparvero in quelle stesse marine tre grosse navi nemiche, le quali accortesi che la suddetta torre era stata occupata dai sardi, cominciarono a bombardarla, per poco però, giacche avendo visto che si rispondeva con un energico e ben diretto fuoco d’artiglieria, procurarono immantinenti di prendere il largo, e sparirono.
Trascorsi vari altri giorni si presentarono altri due legni francesi sotto il comando dello stesso Roques, il quale mandò in terra una ambasciata chiedendo la restituzione della guarnigione da lui lasciata in quella torre. I capitani Don Alfonso de Arcayne e Pietro della Vega si recarono ai detti legni e si esibirono pronti a secondare la domanda del De Roques, ove questi volesse restituire il pezzo di artiglieria preso dal Castellozzo; ma sebbene ciò non potesse avere effetto per essere stato il detto pezzo già trasportato in Francia, si consegnarono tuttavia i prigionieri francesi, e ciò per liberare l’esausto erario da maggiori e inutili spese.
Nel 22 marzo del seguente anno, 1638, furono accordate diverse gratificazioni ai nostri capitani ed altri ufficiali che presero parte nella ripresa della torre, non potendo i medesimi col solo stipendio rifarsi gli abiti logorati in quella fazione.
In questo scontro, il governatore di Sassari Don Francesco Raimondo De Sena, fu accusato di tradimento, e gli fu intentato un processo, come diremo all’anno 1641. – (Pillito).

• 1638. Corsari

I corsari francesi approdano improvvisamente nell’Asinara, occupano la torre del Trabuccato, e infestano il mare turritano. Pietro Perez ed una truppa di valorosi, riescono a fare allontanare il nemico. Così l’Angius.
In questo tempo si accesero nuovamente le ire fra Cagliari e Sassari. Vi furono polemiche, esagerazioni, e pettegolezzi di ogni genere.

• Giudici negozianti

Prammatica di Filippo IV in data 1 marzo, colla quale si interdiva ai giudici e a tutti gli ufficiali regi per l’amministrazione della giustizia, di esercitare la mercatura. A quanto pare tutti gli impiegati e i cavalieri facevano allora i negozianti.

• 1639. Governo e Inquisizione

Nel maggio di quest’anno si constatò, che già da tre anni, nel castello di Sassari (carceri del tremendo Tribunale dell’Inquisizione) stavano venti poveri fiamminghi in attesa del loro giudizio. Eccovi, a titolo di amenità, la ragione del loro arresto, che apprendo dal Pillito. Nel 1636, una nave fiamminga carica di molte merci, fra le quali una gran quantità di seta, naufragò nelle spiaggie di Quarto, in vicinanza di Cagliari. In quei tempi si nasceva pirati; la nave aveva naufragato in Cagliari, dunque la merce era del Governo; e diffatti venne confiscata e aggiudicata al patrimonio dello Stato. I Santi Padri però dell’Inquisizione vollero sequestrare tutto, vantando dritto, non solo sulla ricca merce, ma anche sul capitano e suoi marinai; e sapete per quale ragione? perché erano fiamminghi, e quindi eretici, e in conseguenza servi umilissimi dei cristiani! Vi fu una grave contestazione che finì poi in un accomodamento curioso: – il Tribunale del Regio Patrimonio si ebbe la nave e le merci – e il Tribunale dell’Inquisizione si ebbe il corpo e l’anima di tutto l’equipaggio composto di venti persone.
Non saprei, in tale faccenda, qual fosse più degno di lode – il trono o l’altare!
A proposito di alta pirateria, noto qui un altro fatto. Il cardinale Trivulzio, venuto nel 1619 in Sardegna in qualità di Viceré, era un sordido avaraccio, e aveva la smania di accumulare danaro. Nel mese di maggio del 1651 si trovava nella città d’Alghero, dalla quale doveva restituirsi in Ispagna. Era da poche ore in viaggio, quando diè ordine di catturare una nave nemica che fu scoperta nei mari sardi; ed essendo riuscito a raggiungerla e catturarla, lo stesso Cardinale si impossessò di tutta la fatta preda; né valsero i replicati ordini dati dal Re per la consegna da farsene al Fisco di Cagliari a cui apparteneva.
Cane di un Cardinale! – Dopo aver rubato in terra, rubò anche in mare; ed io scommetto, che morì apposta per poter rubare in Cielo!
I venti fiamminghi gemevano nelle secrete del castello di Sassari; e chi sa che non li abbiano anche condannati al rogo dopo tre lunghi anni di prigionìa; – in quanto alla seta tolta a quei disgraziati, fu venduta dal Governo; e il prodotto servì per alleggerire in parte le spese fatte per i preparativi di guerra del 1636, nel timore di una invasione francese.

• Monete false

Universale lamento per le monete erose di conio furtivo. In molte fucine s’imprimevano schiette lamine di rame, e s’ingannava il prossimo. Alla fabbricazione clandestina concorrevano molto quelli di Gallura e di Logudoro, prima in luoghi solitari, e in sotterranei di antichi castelli; poi, per la spensieratezza del Governo, si venne a tanta impudenza, che nei paesi, non di soppiatto e di notte, ma nella luce del giorno e sotto gli occhi di tutti, il vicino prestava le forme al vicino. Si cambiarono le forme – ma la speculazione era buona e si continuò. I negozianti forestieri importavano gran copia di tal merce, ed insieme anche le macchine, e la materia per i fabbricatori nazionali. Così l’Angius.

• 1641. Strane domande

Fra le proposizioni fatte nel Parlamento di quest’anno in Cagliari, sono degni di considerazione le seguenti fatte dal Sindaco di Sassari – le quali rivelano certe condizioni di quel tempo.
Dal Sindaco dunque si domandava:
«Che i figli, contraenti matrimonio senza il beneplacito dei genitori, fossero di dritto diseredati».
Questa domanda, via, non c’è male. Fu accordata dal Re; quantunque i matrimoni clandestini facessero sempre il loro corso, ed i papà finissero per perdonare le scappate dei figli, dando loro la benedizione. Andiamo avanti:
«Che fosse posto impedimento al matrimonio di chi, per aver in moglie una fanciulla, adoperava il consueto (?) mezzo violento – quello, cioè, di baciarla in pubblico. Che stesse la legge nonostante che la fanciulla insultata acconsentiva alle nozze; e si sancisse pena di morte al violentatore, e la confisca di tutti i suoi beni, la metà dei quali passassero al Governo, e l’altra metà alla famiglia della fanciulla baciata».
La troppa severità della pena tolse ogni valore alla legge. Il metodo, d’altra parte, mi piace! Era molto comodo. Oggigiorno il bacio costa assai meno. Per fermo, qualche amante aveva baciato pubblicamente la figlia di quel Sindaco di Sassari! Continuiamo:
«Che valga lo stesso, quando la fanciulla sedotta vada a casa dell’uomo, o d’altri (?!) per ottenere l’effettuazione del matrimonio malgrado il divieto dei genitori».
Questa è anche più curiosa!
«Che almeno di cinque in cinque anni i Viceré dovessero stabilire una dimora di sei mesi in Sassari con tutti i giudici della R. Udienza, essendo questa città molto principale, nel Regno».
Era questa la solita fissazione, e il solito Gloria dei salmi sassaresi!
Ora veniamo alla parte umoristica. Nella stessa seduta il Sindaco faceva osservare:
«Che da parecchi anni gl’inquisitori si lamentavano: 1° Che allorquando uno di essi arrivava dal Continente, non usciva il Capo Consigliere della città per fargli pubblica e onorevole accoglienza accompagnandolo; – 2° Che nelle feste di Pasqua i consiglieri non andavano, in forma ufficiale, con insegne, mazze, seguito ecc., per visitare ciascun inquisitore nel suo quarto. (Badate che quarto in ispagnuolo vuol dire appartamento, e non una fase della luna, come in italiano!) – 3° Che, dopo l’estrazione dei nuovi consiglieri, questi non si presentavano agl’inquisitori per rendere loro ragione del sorteggio, il che pretendevano come un dovere verso le loro persone».
Epperciò il Sindaco supplicava: che i consiglieri di Sassari non fossero forzati a queste convenienze; perocché, se i loro antecessori avevano ciò fatto, era stato solo per volontaria cortesia – cortesia che si voleva oramai passare per obbligo. Di più lo stesso Sindaco riferiva:
«Che gl’inquisitori solevano comandare i consiglieri entrati in ufficio, perché si recassero nell’aula del loro tribunale per prestare il giuramento d’uso; e più, non davano loro un seggio competente a magistrati di tanta considerazione (crepi la modestia!); ma li facevano sedere, durante la lettura, sopra una rozza pancaccia; di più: che durante la lettura della formula del giuramento, fatta dal notaio, non solo gli inquisitori forzavano i consiglieri a sberrettarsi, ma li costringevano ancora a togliersi la parrucca (oh?!) E il Sindaco quindi faceva osservare in Parlamento, che era umiliantissimo per loro stare nella forma dei penitenti; e supplicava che si provvedesse, perché, quando si andava alla Cattedrale per il giuramento, vi intervenisse anche il notaio del Santissimo Tribunale per ricevere e portare il giuramento all’inquisitore».
Le suddette petizioni furono decretate addì 4 ottobre 1643.
E questo basti per provarvi, e quanto erano teneri della loro dignità e della loro parrucca i considerevoli magistrati della nostra città – e quanto superbi e insolenti fossero i carnefici che componevano quel crudele tribunale, a cui, per un insulto, avevano dato il titolo di Santissimo!

• Scandaloso processo

Un grave processo, per ordine del Re, fu redatto a danno di Don Francesco Raimondo De Sena, governatore di Sassari, nell’agosto di quest’anno, 1641. – Tre anni addietro, mentre il De Sena ritornava dalla Spagna, era stato catturato da alcune navi francesi capitanate da De Roques. Si disse, che, in prezzo della sua libertà, avesse quel funzionario promesso di consegnare la città di Alghero. Furono esaminati testimoni, e il De Sena fu imputato di ben quarantotto capi d’accusa. Oltre il suddetto tradimento, egli era stato accusato di abusi, prepotenze, trascuranza nel disbrigo degli affari – di essersi servito di falsi testimoni per procedere contro qualcuno – di violenze per non pagare i creditori – di oltraggi ai membri del Municipio con parole ingiuriose – di scandali, ire, escandescenze con minaccie a spada tratta, anche in tribunale – di irriverenza verso la propria madre che ridusse a limosinare – di abusi di potere – di maltrattamenti alla servitù – d’imprigionamento di mariti per poter meglio avvicinare le mogli – di pessimo cristiano perché aveva violato per cause leggere l’immunità delle chiese e maltrattato gli ecclesiastici – di essersi appropriato danari dalla regia cassa – di aver sprezzato la compagnia dei nobili per accompagnarsi con banditi e facinorosi – di aver svelato ad un savoiardo l’ordine viceregio di sequestrare le possidenze dei Savoiardi – d’aver scarcerato per denari alcuni detenuti – di aver promesso di togliere parecchi dalla galera – di aver ripartiti fra i suoi famigli i mandati dei poveri impiegati che ad usura vendevano poi ai medesimi – di avere, per rancori personali, imprigionato alcuni ministri di giustizia e cosi, via via, di seguito, con accuse una peggiore dell’altra.
Ognuno correva a dire la sua, poiché per ordine del Re si era pubblicato un bando nelle città di Sassari, Alghero, Bosa e Castellaragoncse, col quale si invitavano tutte le persone di qualunque grado e condizione, che avessero ricevuto e sofferto violenza dal Governatore, di presentarsi al domicilio dell’avvocato Giovanni Maria Tanda, delegato regio, dove questi avrebbe dato loro grata udienza, autorizzando anche le medesime persone di poter inviare le loro querele o rivelazioni in iscritto, o per mezzo di procuratore – sotto severe pene a chiunque tralasciasse di denunziare, conoscendoli, i peccati del De Sena.
Questo processo – per istanze e preghiere del Municipio di Sassari – non solo fu sospeso, ma lo stesso De Sena venne reintregato nella carica di Governatore. Fu però ripigliato nel 1651 dal visitatore del Regno, Don Martino Rubio, per ordine del Re, ma non ebbe corso perché il De Sena partì per l’altro mondo!
Se le accuse erano proprio fondate, che razza di mostro era questo Governatore? Perché il Municipio lo salvava? Perché per sì lungo tempo si lasciava in quell’alta carica? Misteri della storia! Fatto è che il solo G. Pillito riporta questo fatto, né sa dire se per arte o per ignoranza sia stato tacciuto dagli storici, nessuno dei quali ne fa menzione.

• 1643. Tumulto popolare

Tumulto popolare in Sassari per il ribasso della moneta de-vellon che si coniava in Sassari. Così il Tola e l’Angius.
Un editto sovrano ordinava, che i soldi e i mezzi soldi venissero ridotti al terzo del loro valore, per mettere argine all’introduzione e fabbricazione nell’Isola di monete false. Tanta era la quantità di esse!

• 1644. Altro tumulto

Un numero considerevole di plebe si riunì per rovesciare ogni civile società, mettendo sottosopra le sostanze di una parte della nobiltà. Ciò inteso il viceré, Duca di Avellano, scrisse a Don Francesco Ansaldo per sedare la confusione – e questi, essendo uomo di gran credito in paese, si portò nel palazzo di città e gli riuscì di sedare il tumulto. Ciò riporta il Cossu.

• 1645. Ancora dei banditi

Il Duca di Montalto prese le redini del Governo, e cominciò coll’occuparsi dei banditi che infestavano il Logudoro e la Gallura, dei quali purgò il Capo settentrionale.
Egli represse i potenti dei villaggi, i quali proteggevano quei birbaccioni, e se ne attorniavano per propria sicurezza. Il Montalto chiamò a Cagliari i principali dei paesi che favorivano i banditi, e li ammonì severamente; quanto ai giovani scapestrati e di mala fama, li fece condurre a Cagliari, e di là, dopo averli riuniti in un battaglione, li imbarcò per far servizio in America.
In quest’anno Sassari soffrì gran carestia e fame; e così pure tre anni dopo, nel 1618, nel quale fu liberamente soccorsa da Cagliari.

• 1647. Altra invasione di cavallette

Le cavallette infestarono nuovamente tutta la Sardegna; e furono mandati uomini e donne per distruggere le uova di questi animali nocivi. Molte vigne furono guaste in Sassari dall’insetto divoratore.

• 1650. Munizioni di guerra

Il Viceré ordinava al Consiglio della città di Sassari di stanziare una somma conveniente per l’acquisto di palle d’artiglieria, di polvere, d’armi, e specialmente di moschetti, stante i tempi malaugurati, e i rumori di guerra.
Ad istanza del tesoriere Don Vincenzo Baccalar, nel gennaio si deliberarono ottocento scudi per le spese di viaggio del viceré cardinale Trivulzio (l’avaro di cui abbiamo parlato sotto l’anno 1639) e delle due compagnie di soldati che dovevano purgare il Logudoro dai facinorosi.
In quest’anno il valente medico sassarese, Gavino Farina, fu nominato medico di Filippo IV, di Carlo II re cattolico, e di Marianna d’Austria moglie del primo e madre del secondo.

• 1651. Uno stregone

Mentre il viceré cardinale Trivulzio si recava a visitare Sassari per via di terra, vi faceva pure tradurre prigioniero, per via di mare, un certo Conte Savoiardo, (già addetto alla sua Corte) per esservi giudicato dal Santissimo Tribunale dell’Inquisizione, come reo di stregoneria. Il Commissario di questo Tribunale in Cagliari perquisiva l’abitazione del Conte, e vi rinveniva libri ed oggetti d’arte infernale (?) e più un teschio umano (a cui venne necessariamente dato l’aggiunto di orribile), e che, naturalmente, doveva essere il portavoce del diavolo nelle notturne conferenze del Conte. A queste orribili cose, si aggiunse per sfortuna il fatto di una furiosissima tempesta che, lungo il viaggio da Cagliari a Portotorres, aveva travagliato la nave che conduceva quell’infelice, la quale si era quasi sommersa. A questo vento orribile si aggiunse la deposizione dei marinai, i quali avevano sorpreso il Conte mentre faceva dei circoli misteriosi ed altre figure diaboliche sul ponte della nave (e chi sa che il poveretto non soffrisse il capogiro per il mal di mare!) Ad ogni modo ve n’era abbastanza per far arrostire un povero diavolo.
E al rogo fu condannato il Conte; e i soldati dell’Inquisizione avevano già preparato la catasta delle legna nella Carra Grande, palco scenico destinato agli abbruciamenti dal carnefice dei Santi Padri.
Nella notte, però, che precedette il supplizio, una morte improvvisa, quanto provvidenziale, risparmiò al disgraziato Conte un veramente orribile supplizio, ai Sassaresi uno spettacolo a cui erano già preparati, ed al Municipio le spese dell’esecuzione. Ad un veleno somministrato da qualche pietoso amico, o parente, si devono forse le tre emozioni risparmiate, di cui sopra!

• 1652. Peste

In quest’anno vi fu un’altra infestazione di cavallette, come nel 1647, la quale per fortuna non ebbe fatali conseguenze, poiché disparve presto, con meraviglia generale. Altro malanno però vi si aggiunse, e serio. La città di Alghero, culla delle pestilenze, fu nel Maggio afflitta da questo morbo. Una tartana da Tarragona ne aveva portato i semi, che furono comunicati all’intiera popolazione per incuria, o, come qualcuno vuole, per la venalità del Giurato Capo, uomo avarissimo. Da un processo risultò, che il detto Giurato e il Vicario avessero ricevuto quattrocento scudi per dar pratica a quel legno. Gli abitanti, temendo, come altra volta, di essere rinchiusi dentro le mura di Alghero, fuggirono a torme dal paese per schivare il contagio, e lo seminarono invece nei popoli vicini.
Avvertito il Viceré della peste di Alghero, mandò in quella città il protomedico Don Antonio Galzerino (o Galusino come lo chiama il Pillito) e Antonio Baro, affinchè riconoscessero la natura del morbo e riferissero se era contagioso; e si riconobbe, dalla espirazione fetente, dalla inappetenza, dalla nausea, dalla sonnolenza, dai frequenti deliri, dagli occhi accesi, dalla difficoltà del respiro, dai bubboni che subito intumidivansi nell’anguinaia e sotto le ascelle e le orecchie, dai carbonchi, dalle convulsioni e da altri sintomi, la febbre pestilenziale. Il morbo prendeva piede; i più (dice la relazione) soccombevano nel terzo parossismo – pochi vivevano al quinto – molti morivano nelle prime ore – rarissimi superavano la malignità – e i più rari erano quelli che restavano illesi. Si gridò dal Regio Banditore, che si sospendesse ogni commercio con Alghero; ma era tardi! Un gesuita, fuggito da Alghero, portò il contagio in Sassari, dove penetrò nei primi quindici giorni, mietendovi un terzo della popolazione.
«In Sassari si era poco badato al contagio; anzi questo era stato più frequente per le riunioni religiose fatte per invocar Dio» (ce lo dice l’Angius, che era un frate).
Nella nostra città non restarono che soli 5.252 abitanti, molti dei quali (specialmente i nobili) salvarono la vita per essere vissuti separati da ogni commercio, oppure andati a vivere sui monti o nei paesi circostanti.
Secondo il Tola i morti furono 22.000, e i rimasti vivi 5.057; il Consiglio Comunale di Sassari in una petizione fatta al Viceré nel 1656 fa ascendere i morti dai 23 ai 24 mila. Sempre tutti d’accordo nelle cifre e nelle date!
Il medico Pietro Giordano fu il primo che fece una relazione sul morbo di Alghero, al Governatore di Sassari.
A proposito di questa peste il Pillito riporta da documenti storici: che i villaggi di Cargeghe e Saccargia vennero intieramente distrutti: che in Bonacardo rimasero in vita soli 146 abitanti; che in Nulvi ne morirono 1613 – in Osilo, Ittiri e Jerzu circa 2.000 per ciascun villaggio – in Samassi 720 – in Villaurbana 150; e che i Comuni di Florinas, Codrongianus, Salvenar e moltissimi altri furono ridotti a pochissimi abitanti.
La città di Sassari, per poter scongiurare la peste, prese un prestito, e impose una nuova tassa sulle farine.

• 1655. Parlamento

Cessata la peste, si convocò dal Conte di Lemos, il Parlamento in Cagliari. Nelle domande particolari dei sindaci, sono considerevoli le seguenti:
Il Sindaco di Sassari si doleva dell’indigenza in cui languivano i già ricchissimi (?). «Le rendite in ribasso – i dazi civili ridotti a niente mancati gl’inquilini – morti i coloni. Pochissimi (egli diceva) sono i superstiti per la violenza della peste – e il paese, che prima ridondava di popolo e pareva sempre ridente per la giovialità naturale degli abitanti, ora taceva squallido e mestissimo per i rarissimi cittadini che apparivano nelle sue contrade, e per il dolore dei diletti perduti».
Egli domandava pertanto, che per riempiere la città di popolo, si allettassero i forestieri con quei vantaggi che altrove non potevano godere; e quindi, che dalla somma che segnavasi dal Parlamento, per la munizione del Regno, si spendesse una parte per chiudere le breccie delle muraglia, perché s’introducevano per esse i contrabbandi, e si scemava il profitto delle gabelle; – l’altra parte fosse destinata a vuotare il porto dalle alghe, le quali erano in tanta quantità, che non poteva entrare neanche un brigantino. Ripeteva quindi le stesse doglianze fatte nel 1643 per le umiliazioni che il Municipio riceveva dai frati inquisitori; e in ultimo non lasciò di cantare il gloria del Salmo, toccando delle solite Congreghe da tenersi in Sassari!

• 1656. Le passeggiate di un Viceré

La malignità della peste, che per tre anni consecutivi girava qua e là, toccò pure Cagliari, che perdette più della metà della sua popolazione; e per imprudenza del Governo, questa città comunicava il suo malore a Napoli, dove fece sentire la sua violenza. Il Viceré, allora, diferì la tornata della sessione, e se ne andò in Iglesias, col fermo proposito di chiamarvi l’Assemblea. In Iglesias, però, era entrata la peste – e allora il Viceré tornò a Cagliari; ma i cagliaritani gli chiusero le porte in faccia; talché il poveretto si vide costretto a spedire le convocatorie in tutta l’Isola, dando l’appuntamento per l’Assemblea in Sassari.
Era il caso di dire: ciò che non fecero i Cagliaritani, fece finalmente la peste!
Nel maggio il Viceré si presentò alle porte di Sassari, ma la popolazione si alzò a tumulto e lo respinse energicamente perché proveniva da paese infetto.
Un po’ seccato, volle tornarsene in Cagliari; ma là non fu accolto perché erano interrotte le comunicazioni.
Cercò allora di riunire le Corti a Villasor; e non gli riuscì.
Che fare? – Sempre fermo nel suo proposito di ultimare gli atti, e colla pazienza di Giobbe, si presentò una seconda volta a Sassari, dopo aver scontata la quarantena ad Aritzo, e vi fu accolto. Ivi era stato già sedato il tumulto, col processo istrutto contro i principali motori, fra i quali il Conte di Sedilo, governatore di quel Capo – il dottor Don Francesco Martinez ed il procuratore fiscale Don Giovanni Battista Pilo. Arrestati questi dal Viceré, e condannati senza cognizione di causa al pagamento di mille scudi di multa, erano stati messi in libertà per contr’ordine del Re, il quale aveva rimproverato al Conte di Lemos quell’arbitrario arresto e la condanna.
E il Viceré, dopo aver corso per tanto tempo dall’uno all’altro Capo dell’Isola, in una pessima stagione e con viaggi lunghi e incomodissimi, riuscì a riordinare le Corti in Sassari, nella Congregazione della Casa professa della Compagnia di Gesù, e a dar fine alle medesime nel 27 settembre 1656.
L’Angius dice, che i Cagliaritani declamarono contro l’insolenza di questo fatto, e che molti non andarono a Sassari, contentandosi di dare il mandato ad altri per esservi rappresentati. Cominciata la Sessione vennero fuori le illegalità e le nullità di cose fatte contro i privilegi della capitale. Il Viceré fu sgomentato da tante contraddizioni, e (dice lo stesso Angius) fu sul punto di rimandare a casa loro tutti i Congregati. Per fortuna il Re, in compenso di tanti viaggi, assegnò al Viceré 7500 lire.
In questo Parlamento vi furono molti malumori, perché il Re aveva deluso le comuni aspettative in quanto alle cariche e dignità da darsi ai nativi dell’Isola. I Sardi però erano tenuti dal Governo Spagnuolo come pecoroni; né alte cariche a pecoroni si potevano dare!

• Deliberazione

In data 4 ottobre, fu presentata al Viceré un’ultima deliberazione presa in Sassari dai tre Stamenti riuniti (e fu decretato inserirsi negli Atti del Parlamento) – di mettere cioè il Regno sotto la protezione della Vergine Immacolata, e di perpetuarne la memoria con due annue festività, da celebrarsi una in Sassari e l’altra in Cagliari, bilanciando all’uopo settecento scudi mediante l’imposizione di un cagliarese sopra ogni starello di grano che in avvenire verrebbe esportato dal Regno.

• Il Marchese di Laconi

Nel mese di luglio di quest’anno, 1656, mentre in Sassari trovavasi ancora il viceré Lemos, vi giunse Agostino Castelvì, marchese di Laconi, e si costituì in carcere per dar ragione dei suoi eccessi per l’inimicizia con Alagon, marchese di Villasor. L’inimicizia di questi due marchesi datava già da cinque anni per fazioni di famiglia. Il Laconi era stato accusato dell’omicidio di Don Francesco Malonda, nonché delle rivoluzioni e disordini avvenuti nel Regno in seguito ai vari scontri avuti col suo rivale, il detto Marchese di Villasor.
Rimasto il Laconi nelle carceri di Sassari, ne uscì pochi giorni dopo, avendo ottenuto la libertà provvisoria mediante cauzione di mille ducati; coll’obbligo però di osservare gli arresti in casa. Mentre cercava di giustificare la sua condotta e la sua irriverenza alle leggi ed al comando del Viceré, avendo egli radunato una gran masnada per assalire il suo avversario (metodo allora tollerato nei gran signori, e punito severamente negli altri, come brigantaggio) invece di atteggiarsi ad umiltà, di punto in bianco gettò lo scompiglio in Sassari per mezzo dei suoi bravi, sorse per intimorire il Viceré, come dice l’Angius.
Il Pillito ci dà particolari. Mentre il Laconi era da pochi giorni uscito dalle carceri di Sassari, una notte (il 7 agosto) l’Assessore criminale della Governazione, che faceva la ronda per le vie della città in compagnia di alcuni uomini armati, vide presso la casa dello stesso Laconi molti sconosciuti; i quali al chi vive in nome del Re? – risposero senz’altro con uno sparo d’arma da fuoco che ferì uno dei suoi uomini; motivo per cui s’impegnò fra le due parti un’accanita lotta, rimanendo un morto e parecchi feriti, fra i quali lo stesso Laconi che co’ suoi servi sparava dalla finestra sugli uomini di ronda, e che di poi riuscì a fuggire riparando nella Casa professa della Compagnia di Gesù (oggi Università).
Indignato il Sovrano per questi fatti del Laconi, ordinò nel 7 novembre successivo, che si procedesse senza indugio contro quelli che gli fecero cauzione per essersi egli fuggito dalla casa assegnatagli per prigione; di procurare in qualsiasi modo l’arresto del medesimo, e chiusolo in carcere sicuro e decente, giudicarlo indi con tutto il rigore delle leggi, tanto per i delitti anteriori che gli venivano imputati, quanto per gli ultimi fatti di ribellione alla giustizia; avvertendo il Viceré che in detto processo non dovesse intervenire il governatore Mattia di Cervellon, per essere questi prossimo parente del Laconi.
Il Marchese fu, poco dopo, arrestato, condotto in Cagliari e chiuso nella Torre dell’Elefante, dove rimase per circa otto anni, sino al 1 dicembre1664, giorno in cui venne scarcerato per grazia sovrana, senza che gli siano valsi, non solo i memoriali che egli durante la prigionia rassegnò a S.M. implorando il condono delle sue colpe, ma neppure le instanze fatte a tale effetto allo stesso Re dagli Stamenti del Regno nel Parlamento celebrato dal Conte di Lemos.
Vedremo comparire il Laconi nel 1668 in un funestissimo dramma.
Basta per ora far notare, che i suddetti fatti non sono stati messi in luce che dall’Angius nel 1841, e, con più particolari, dal Pillito nel 1874; gli altri li hanno ignorati – o finto d’ignorarli.

• 1657. Punizione

Nel 25 Dicembre fu ordinato dal presidente e capitano generale dell’Isola, Mattia di Cervellon, di sospendersi lo stipendio a Don Gerolamo Zonza, commissario della cavalleria di Sassari e Logudoro, perché senza alcun permesso si era assentato dal Regno, quando maggiormente vi era necessaria la sua presenza per i tanti corsari che veleggiavano nelle marine sarde. Il Zonza ricorse, e l’ordine fu rivocato dal nuovo viceré Marchese di Castel Rodrigo, constando al medesimo che, se quel Commissario s’imbarcò per l’Italia senza licenza del Presidente, fu per il solo scopo di poter con maggior sollecitudine rendere avvisato lo stesso Viceré del rischio che correrebbe la sua real persona, passando nelle marine sarde infestate da tanti corsari. La scusa è curiosissima e ben trovata!

• 1658. Il Viceré ad Alghero

Il viceré Castel Rodrigo giunse improvvisamente in Alghero, dove l’8 gennaio prestò il giuramento a mani del Marchese di Cea, governatore del Capo di Sassari e Logudoro. Il medesimo si recò poco dopo a Sassari, dove si trattenne sino ai primi di Maggio.

• 1660. I francesi in Alghero

Scrive l’Angius: «I francesi, intenti mai sempre a far danno ed onta agli spagnuoli, tentarono in quest’anno di prendere la città d’Alghero. I cittadini si posero in guardia e domandarono soccorso al governo di Sassari. Francesco Carroz e Ansaldo Pilo sovvennero a tempo con le milizie di Sassari, affrontarono i nemici che, sbarcati, si appressavano alla città, e dopo quattr’ore di combattimento, prevalendo al loro numero maggiore e alle armi migliori, li ruppero, e molto diminuiti e atterriti rovesciarono nel mare».
Questa notizia vuol posta in quarantena. Dai Regi Archivi di Cagliari risulta anzi, che nel 25 Gennaio dello stesso anno il viceré Castel Rodrigo partecipò al Consiglio la notizia della pace conchiusa colla Francia, e del matrimonio di quel Re coll’Infanta di Spagna; notizia che fu accolta con manifesti segni di gioia; si fecero per tre notti grandi illuminarie in Cagliari, e si distribuì molta cera ai regi ministri, cioè: trentasei torcie al Viceré, diciotto al Reggente la Real Cancelleria, diciotto al Governatore, diciotto al Procuratore Reale, dodici ai membri d’ambi i Consigli, e sei agli altri impiegati. E Sassari avrà ricevuto anch’essa la sua parte di cera; – cioè, l’avrà data!

• 1662. Giovanni il Galluresu

Il viceré Marchese di Castelrodrigo, attraversando l’Isola per recarsi in Alghero (donde partì per la Spagna) si convinse della gran quantità di malfattori che infestavano la Sardegna. Per impedire le uccisioni, fece un editto, col quale vietava il porto delle armi, e minacciava della pena capitale tutti quelli che si sarebbero veduti armati. Accadde allora, che trovandosi i galantuomini disarmati, crebbe l’audacia dei malvagi, i quali non più nelle sole montagne, ma dentro i paesi predavano e uccidevano. Fra i capi di squadriglia era famoso Giovanni, detto il Galluresu, il quale aveva sparso e continuava a spargere il terrore nel Logudoro. I cittadini stessi di Sassari non osavano recarsi ai loro predi quando sapevano che nelle vicinanze scorreva quel buon soggetto.
Ai soldati che mandava il Governo per disperdere quella banda toccava sempre la peggio; quindi si pensò alla frode. Venuti a conoscenza che il Galluresu faceva all’amore con una fanciulla osilese, figlia di un mugnaio, se gli tesero insidie. Fu colto una mattina sull’alba mentre usciva dal molino della sua bella; si difese energicamente, ma cadde colpito a morte da più palle.Il suo cadavere fu dal carnefice straziato nelle maniere più inumane, come dettava una sentenza crudele.

• 1665. Altri banditi

I banditi però continuavano a crescere nel Logudoro, e il Governo incaricò il barone Matteo Pilo Boyl, uomo valoroso, per distruggere i malfattori. Diffatti costui, scelti fra i suoi vassalli i più arditi, si accinse all’impresa. Assalì i ladri, e ne appiccò col laccio alle forche ed agli alberi; scoperse alcuni falsificatori di monete di rame e d’argento, e fece bruciare vivo il più reo, come per campione. La sua energia ebbe un felicissimo successo.
Fra gli altri capi di banditi era il nobile Giacomo Alivesi di Sassari, il quale, per sfuggire la pena per un omicidio proditorio, si era dato alla macchia, dopo aver formato una squadriglia di ladri e di assassini.
Il Boyl si assunse l’incarico di prenderlo insieme ai compagni; ma non riuscì che a disperdere la banda; perocché se il Boyl aveva buona testa, l’Alivesi aveva buone gambe, e riuscì a mettersi in salvo con la fuga. Ma anche di costui riparleremo nel 1671.

• Morte del Re

Filippo IV intanto era passato a miglior vita nel 17 Novembre di quest’anno, 1665.