Sassari Piemontese
Un ritratto di Carlo Felice
• 1821. Carlo Felice
Carlo Felice, il 4 maggio 1821, cinse la corona che a lui lasciò il fratello Vittorio Emanuele I, abdicatario. Il Viceré pubblicava il suo avvenimento al trono il 28 maggio. La città di Sassari, al solito, fece le debite dimostrazioni di gioia, per le quali spese Lire sarde 771, soldi 7, e danari 11. – Non mancarono in quest’occasione le poesie. Un sonetto del Cav. Don Efisio Berlinguer chiude cosi:
Se nuovo, o Carlo, invidioso dardo
Il Po scoccasse, la vittoria avrai
Se sol t’affidi all’invincibil Sardo.
• Immoralità
Il Rettore di Sant’Appolinare, Teol. Collegiato Arrica, rilascia un certificato in data del 31 luglio 1821, in cui si parla della scandalosa combitazione dell’Uffiziale della Piazza di Sassari, Don A. P., con Anna Maria P. del villaggio di Bonorva – separato il primo dalla moglie e la seconda dal marito. Venne chiamato dal Governatore Grondona, gli fu proibita la tresca e gli fu imposto di ritirarsi il figlio illegittimo che doveva alimentare a sue spese. In caso di recidiva, lo si minacciò di rinchiuderlo in torre e di destituirlo dall’impiego. In questo stesso mese (il 4) Carlo Felice fé togliere Vincenzo Sulis dalle carceri dello Sperone di Alghero, dove era stato rinchiuso sin dal 25 maggio 1800.
•Esecuzioni
Nel mese di settembre furono giustiziati dodici dei principali autori dei disordini accaduti nei giorni 25, 26, e 27 marzo, in Alghero. Sei di essi furono impiccati in quella città, e sei in Sassari. Un concorso straordinario assisteva alle esecuzioni che ebbero luogo a Sassari. Il patibolo si era rizzato verso il Molino a vento. La frequenza dei supplizi, che si circondavano di un lugubre apparato, avea finito per destare negli spettatori quasi l’indifferenza; anzi, dirò meglio, si andava vicino alle forche, come se si dovesse assistere ad uno spettacolo divertente. Non soltanto il volgo, ma anche la classe colta ed educata si alzava all’alba per seguire con feroce curiosità gli strazi della vittima e la bravura del carnefice. Si giunse a tanto, che anche gli educatori non avevano scrupolo di condurre gli allievi sul luogo del supplizio. Il valente nostro archeologo, Giovanni Spano, accennando appunto le esecuzioni di quell’anno, lasciò scritto nelle sue Iniziazioni: « In quel tempo i Giudici (o per dir meglio i Giudei della Real Governazione) non lasciavano passar giorno – salvo il venerdì che era proibito – senza che mandassero alla morte uno o due disgraziati. Tanto eravamo assuefatti a quest’orrendo spettacolo, che ci sembrava un divertimento quello di vedere un nostro simile, creato ad immagine di Dio, dar dei calci in aria. I prefettini del Seminario conducevano anche noi, alunni, per esilararci. »
E le operazioni che si compivano dinanzi a quella folla curiosa erano orribili, ributtanti. Un vecchio di novant’anni, che nella sua giovinezza assistette al supplizio degli algheresi, mi fece una fedele narrazione di quei fatti. Dopo aver spiccato il cadavere dalla forca, il boia, assistito dal suo discepolo, sventrava il cadavere, e gli strappava il cuore, dal quale con un coltello raschiava il grasso che veniva conservato in un sacchettino. Questo grasso era poi ricercato, e venduto a carissimo prezzo a quei superstiziosi, i quali gli davano non so quali virtù. Un Procuratore sassarese, quel giorno, apostrofò a voce alta il carnefice per l’inumana sua operazione: ma il carnefice continuò a squartare il cadavere, per gettarne i pezzi nel fuoco. Era nei suoi diritti. La puzza della carne che abbrustoliva sentivasi fin dentro città. Le teste, spiccate dal busto, si solevano inchiodare sulle forche cosìdette del Carmine vecchio, quasi all’imbocco della strada Rizzeddu; le quali forche consistevano in quattro alti pilastri di pietra, sormontati ed uniti da quattro travi. Le teste si lasciavano là per mesi e mesi, finché cadevano da sé. Più volte, nel pulire il Pozzo di Rena, furono trovati in fondo dei teschi, là gettati dai ragazzi, che li avevano raccolti sotto le forche!
E mi pare che questo cenno basti per dare un’idea dello spettacolo a cui assisteva il popolo, nel quale erano compresi i fanciulli e le donne, gli studenti ed i Seminaristi!
Pochi anni dopo il re fece grazia agli altri condannati per i fatti di Alghero – e dicesi che la grazia fu ottenuta per intercessione dello storico algherese Barone Giuseppe Manno, Segretario intimo di Carlo Felice.
• 1822. Strada Nazionale
Quest’anno fu ben augurato essendosi incominciati i lavori per la grande Strada nazionale da Cagliari a Sassari. Il 6 aprile, anniversario della nascita di Carlo Felice, il suo luogotenente Marchese Yenne poneva in Cagliari, nella Piazza S. Carlo, la pietra fondamentale della colonna zero delle miglia. Il Villahermosa se ne occupò – il re la incoraggiò – e l’operosità del valente ingegnere Gio. Antonio Carbonazzi la tracciò, la diresse e la condusse a termine. Sul principio gli isolani non volevano lavorarvi, e si fecero venire gli operai dal Continente.
• Imposta sull’olio
Nel luglio il Municipio si rivolge al Re, supplicandolo, stante la scarsezza dei prezzi dell’olio e la difficoltà dello smercio, di renderne libera la esportazione, coll’abolire la tassa di cinque reali per barile, che si soleva pagare quando s’imbarcava.
• Medici a Portotorres
Il 10 settembre i Consiglieri scrivevano al Governatore, rifiutandosi di provvedere un Medico-chirurgo e le medicine al comune di Portotorres. Essi dicono che le finanze del Municipio non lo permettono; tanto più, che oltre alle altre spese si è pure addossato ad esso il mantenimento degli Spuri che prima era a carico dell’Ospedale, e per il quale non bastano 1.200 scudi all’anno; dicono che il Municipio non può far fronte agli impegni del Bilancio, essendo stato costretto a spendere più di duemila scudi nel Quartiere per i Cacciatori Reali e loro casermaggio, e a somministrare l’alloggio al comandante e distaccamento acquartierato in Portotorres; di più, che la Civica Azienda trovasi debitrice verso la Regia Cassa del Donativo staordinario in lire sarde 27.756. « Sebbene la Città esercisca giurisdizione nella popolazione di S. Gavino e Portotorres, nella qualità di Baronessa della Nurra e Fluminargia, pure non si crede tenuta a provvederla di medico-chirurgo e medicine a proprie spese; non si ha esempio che i Feudatari siano obbligati a siffatto peso, salvo in tempo di epidemie; nel cui caso è a carico delle R. Finanze e del Barone. Le malattie occorse in quest’anno a Portotorres non sono state di questa natura. Qualora poi la convenienza degli impiegati e della truppa là stanziata esiga di avere il medico e chirurgo permanente, è tutto giusto che essi soccombano, senza che ne addossi l’incarico all’Azienda Civica. »
• 1823. Nuovo Arcivescovo
Verso la metà di marzo, era una domenica, Sassari si spopolò per andare incontro al nuovo Arcivescovo Carlo Arnosio, Canonico Parroco nella cattedrale di Torino. Arrivò verso l’imbrunire, e prima di recarsi all’Episcopio volle entrare nella Cattedrale per far orazione e ringraziar Dio del suo buon arrivo, Aveva condotto con sé per Segretario Don Luigi Moreno, che diventò più tardi Vescovo d’Ivrea. « Appena arrivato – scrive lo Spano – fu circondato dagli adulatori e dagli intriganti. Ad un alto dignitario che sempre gli stava all’orecchio dicendogli che si ricordasse dei sassaresi, finalmente rispose, annoiato, essere egli Arcivescovo della Diocesi, non della sola città di Sassari. »
• Sorveglianza
Il Municipio comunicava all’Arcivescovo, in data del 29 ottobre, che essendosi avuti positivi riscontri che diverse donne trovavansi furtivamente in istato interessante, si era presa la deliberazione di far ammonire le medesime, non solo per rispondere dei propri figli, ma anche per allattarseli; e ciò per rendere meno grave alla città la manutenzione degli spuri. Si mandarono in giro i Mazzieri per quest’oggetto, i quali dovevano essere aiutati dal Cursore maggiore della Curia.
• Proprietari e Franchigia
Il 21 novembre il Municipio, fra le altre cose, espone all’Intendente Generale che « la città di Sassari fin dal 1519 e 1627, gode del dritto denominato del grano e farina, esigendo per cadun rasiere di quel genere che si estrae alla macina soldi 5 e 8 danari… Allorché dal Re venne concessa questa gabella in aumento dei redditi civici, nessuno fu immune dal pagamento. A misura però che lo stato dei fondi divenne più florido, volle la stessa Città usare un atto di generosità verso i Cittadini più distinti e benemeriti, accordando loro la franchigia di un tal dritto. (!?) Da un prudente calcolo è risultato, che gli esenti assorbiscono un terzo del prodotto del diritto, talché l’attuale appalto essendo di Lire sarde 43.000 per un triennio, l’Azienda avrebbe dovuto percepire in più Ls. 14.333.6.8… « L’utilità pubblica in tal frangente esige che, non solo debba cessare la suddetta franchigia, ma che si accresca il dritto fino a soldi 25 per tutti indistintamente, facendo del soprappiù l’applicazione al Regio Donativo… « Bisogna riflettere, che li predi rustici sono sottoposti a molti pesi; si paga il 60 percento in confronto al reddito. Questi pesi consistono nelle Decime che si pagano ai Parroci; nel Dazio di 6 reali su cadun barile d’olio che si esporta all’Estero; nei diritti Barracellari – e finalmente nelle enormi opere che si fanno per la coltura e raccolto dei frutti. Si riduce quindi a ben poco l’utile che se ne ricava, seppure il proprietario non è obbligato a rimettervi, sul riflesso che i frutti, essendo eventuali, come la scarsezza porta un notabile sbilancio, così anche l’abbondanza se manca lo smercio; tanto è vero, che moltissimi possessi sono in decadenza, ed altri sono del tutto abbandonati per mancanza di mezzi, senza contare il gran numero di quelli che trovandosi soggiogati a censi capitali, si vedono impossibilitati a corrispondere persino le pensioni annue; motivo per cui non poche volte li proprietari sono costretti a cedere, o a perdere l’ipoteche…
« In vista pertanto di queste ragioni, non si ravvisa altro mezzo più opportuno per liberare le proprietà dal peso del Donativo se non se di abolire il suaccennato privilegio, ristabilire il cagliarese sulla carne, ed aumentare il dritto di grano e farina. « Né si dica che il sistema sarà gravoso alla classe degli agricoltori, perché oltre di essere anch’essi in gran numero possidenti, non solo profitteranno del proposto svantaggio, ma è l’unico ceto che ritraendo la sussistenza dai più facoltosi, mercé le giornaliere sue fatiche, debba riputarsi il più fortunato per aver sicuri li alimenti senza noia e tanto studio, com’è costretto di farlo l’uomo civile, e di qualche condizione. « Tutto ciò premesso, sembra sufficientemente provato, che per nessun rapporto conviene continuare a far gravitare l’ammontare del Donativo di S. M. la Regina sulle proprietà, a detrimento dell’industria, che deve anzi promuoversi, animarsi, e proteggersi, mentre è l’unica cosa che forma la felicità dei popoli »
Questa bellissima relazione è firmata dai Consiglieri Pinna Flores Denegri – Manca – Pinna Bene – e Chessa.
• Provvedimenti
Nell’anno 1823 i Cacciatori Reali di Sardegna s’incorporarono ai Carabinieri reali, distinti in due divisioni, quella di Cagliari e quella di Sassari – S’istituiscono le scuole elementari sotto l’ispezione dei parroci e la sorveglianza degli Intendenti generali – Stante l’abuso, specialmente nel Logudoro, s’invitano i prelati tutti, perché non permettano più oltre la celebrazione di sponsali fra impurberi, o fra un uomo maturo ed un’impurbera, né più si tolleri la coabitazione degli sposi e promesse spose; il re proibisce ai notai di redigere alcun atto di sponsali, se i fidanzati non hanno l’età voluta per contrar matrimonio.
• 1824. Civico Magistrato
Essendosi proceduto criminalmente dal Regio Vicariato contro la detenuta Maria Rita Cancella, essa venne giudicata dal Magistrato Civico, composto, a termini dei sui privilegi, dei Consiglieri, con intervento dei Probi uomini. Il Regio Fisco chiamò ingiusta la sentenza per diversi motivi, e il Municipio si rivolge al Re con ricorso del 20 marzo, perché gli venga conservato il privilegio, confermandolo, se sarà duopo, con Decreto Reale.
« È questo un privilegio (scrivono i Consiglieri) che la Città di Sassari, sempre fedele ai suoi legittimi Sovrani, acquistò dal Re Don Alfonso nel 1440, in premio della sua fedeltà, e che fu poi confermato dall’Imperatore Carlo V, dalla Regina sua madre Donna Giovanna, da Filippo II, e da più Sovrani. »
• Funerali
Il 27 marzo i Consiglieri fanno una lunghissima relazione del solenne funerale celebrato il 4 detto mese, per la morte del re Vittorio Emanuele I. Essi dicono: « L’annunzio infausto del più infausto caso penetrò talmente i cuori di tutti i Sassaresi, che cambiata tosto la naturale loro giovialità nella più cupa mestizia, si vede persino la plebe cessare spontanea da quei sollazzevoli canti co’ quali era solita ogni sera alleviare il suo spirito, dal peso delle giornaliere fatiche. » E qui si descrive il maestoso Sarcofago fatto a spese del Municipio nella cattedrale, di cui mandano il disegno.
«…Il monumento era di figura quadrifronte, con bassorilievo di croci degli ordini militari S. Maurizio e Lazzaro e di Savoia, in mezzo a ghirlande funebri colorite in finto bronzo. La parte superiore, determinata da una fascia adorna di elmi, sciabole antiche, gufi e lumi sepolcrali, era occupata in caduna delle quattro facce, da quattro statue , rappresentanti la Sardegna, il Piemonte, la Savoia, e la Liguria; poi una cornice a intagli con una corsa di teste piangenti antiche, e di Clessidre, ecc. ecc. Tomba di greco stile (e qui quattro pagine di descrizione) disegnata dall’ aspirante Ingegnere e disegnatore di ponti e strade Giuseppe Comminotti.
Al funerale convennero tutte le autorità civili, militari, e religiose, e la Nobiltà numerosa della città, vestiti tutti di gran lutto. Il Padre Tealdi Professore di Teologia lesse l’elogio funebre…
• Gesuiti
Il Municipio, in data del 2 luglio, si rallegra che il Sovrano siasi degnato esaudire i comuni desideri per la ripristinazione dei Gesuiti del Regno, per la quale la Città umiliò le sue rimostranze al Re sin dal 28 novembre 1815. Si deliberò ad unanimità, di corrispondere annualmente alla Comunità religiosa che verrebbe a Sassari scudi 300; cioè, 200 sopra la delegazione della Nurra – li scudi 12 già fissati nel Bilancio per la visita del Generale delle Armi che da lungo tempo non si è più praticata, ed il rimanente, fino alla concorrenza, la somma che l’Azienda ricaverà dalla vendita del Carcere del Bestiame. Il Collegio della Compagnia di Gesù fu ripristinato l’anno seguente,1825.
• Ospedale Civile
Il 19 agosto 1824, il Medico sassarese Gavino Pitalis istituisce erede usufruttuaria della sua ricca fortuna la moglie; ordinando che dopo la morte di lei tutto ne andasse a benefizio dell’Ospedale Civile della sua patria, coll’obbligo di alimentare due allievi, uno di Medicina, e l’altro di Chirurgia. Il 7 settembre il Re Carlo Felice spediva il diploma di nobiltà al Pitalis; – il diploma giungeva a Sassari due mesi dopo la sua morte. Allora il re, per onorare la memoria e le virtù dell’estinto, lo estendeva alla moglie, Antonia Tealdi.
• Nurra
Il 7 novembre i Consiglieri si rivolgono al Re, esponendogli: che avendo il Regio Fisco Patrimoniale succitata una lite contro il Municipio di Sassari per i territori della Baronia della Nurra e di Fluminargia, dei quali trovasi in possesso da quattro secoli e più, e sui quali ottenne favorevole sentenza fin dal 1606, confermata da! Magistrato della R. Udienza e Regia Sala con altra sentenza del 16 giugno 1813, ora si rivolge nuovamente al Sovrano perché gli venga fatta giustizia.
• 1825. Dazio sul vino
Per sostituire lo Spillatico, s’impone un Dazio sul vino introdotto in città. Il vino rendeva troppo poco, e allora si torna all’antica imposta regalataci dalla Regina Maria Teresa, cambiandole però nome. L’isola, essendo separata dal Continente, Viveva allora delle proprie contribuzioni.
• Casa comunale
Fin dal 22 marzo il Magistrato Civico, stante l’insuffìcienza di fondi, aveva domandato al Re Carlo Felice, per intercessione del Marchese di Villaermosa, il prestito di 4.000 scudi per riedificare il Palazzo di Città. Il re, non solo ordinò la pronta consegna della somma, ma gliel’accordò gratis, con la sola condizione che si facesse celebrare ogni giorno una Messa nella parrocchia di S. Catterina per l’anima di suo fratello il Conte di Moriana.
• 1826. Giubileo
Quest’anno era quello designato per il Giubileo. Per avere un’idea dei tempi, riporto quanto scrive il Canonico Giovanni Spano nelle sue Iniziazioni.
« Dal primo giorno di gennaio principiarono in Sassari a formare altari per le strade, indi processioni quotidiane a bizzeffe, di uomini, di donne, di studenti, di frali, di preti (al cui bel numero io appartenevo) di gremi, di confraternite, di sodalizi, di seminaristi e di ogni ceto di persone, anche di zappatori e facchini, perché anch’essi erano cristiani. « Era un continuo movimento, un’agitazione; cantavano di notte per le strade Stabat Mater, Miserere, e canzonette spirituali composte ed insegnate dai Gesuiti (specialmente da quello scaltro missionario P. Sebastiano Roselli, rettore della chiesa di Gesummaria) al basso popolo, che cantavano con mille spropositi da far ridere e far perdere il frutto della divozione. « Tanto più riuscì solenne e memorando in Sardegna quel Giubileo in quanto che in quell’anno da Roma era venuta una colonia di prelati e di generali di tutti gli ordini religiosi, al di cui capo era il celebre e dotto Arcivescovo di Urbino Monsignor Rinaldi; arrivati tutti per commissione apostolica, promossa e richiesta dal pio e buon re Carlo Felice, indotto dagli stessi Gesuiti per riformare e frati e monache ch’erano tutti caduti in rilassatezza (ed i più rilassati erano essi!) Ma Dio non esaudì, anche in anno di Giubileo, le preghiere dei frati e delle monache, perché la maggior parte di quella sacra colonia perì, senza eccettuarne l’Arcivescovo Rinaldi, chi diceva d’intemperie, chi di veleno, chi disse pure di fattucchierie, chi di stravizi e di abusi per i lautissimi pranzi che loro a gara imbandivano i frati, per renderseli amici e grati: e così i conventi e monasteri restarono come erano.
Il Rinaldi morì a Sassari nei primi del gennaio del seguente anno, e fu accompagnato al Duomo per i funerali da tutti i preti (dei quali io era nel numero, perché avevo in testa il cappello tricorno da Prefettino). Era un’interminabile processione, alla quale mancavano solamente le monache. Il corpo di quel prelato fu poi trasportato ad Urbino.
« E così questi apparecchi di giubileo, per non dir altro, insinuati e fomentati dai missionari Gesuiti, durarono sino al 31 dicembre 1826; e spinsero tanto la divozione predicando la penitenza, che molti con disagi ed a piedi facevano austere pellegrinazioni al santuario di San Gavino di Portotorres, tra i quali solevano andarvi i cosìdetti Filippini, una congregazione di preti divoti a San Filippo, specialmente nella quaresima.
« Ricordo che in quell’anno mi unii ad essi (sebbene di prete non avessi che il tricorno) tanto di seguitare la divota moda. Si partì il Sabato mattina, in rango, si fece la colazione a metà strada, sul nudo terreno; uno a ciò deputato ci preparò un pesciolino con un po’ d’insalata. Ricordo che così seduti coccoloni, dal cielo ci fu mandato un rovescio d’acqua, e così bagnati arrivammo nella sera al santuario, dove entrammo di notte. Smorzati i lumi, uno si pose in giro con un fascio di discipline di lame di ferro ben affilate, facendo rumore agitandole tra loro, per avvisare chi ne volesse prendere. Anche io presi la mia, e quando sentii il rumore delle battiture mi denudai le spalle e, non come gli altri, feci davvero. Ritornammo a cenare lautamente, per così restituire il sangue perduto. Terminata la cena, o pranzo, pagammo tutti lo scotto all’economo, e poi a letto; ma io, colle spalle piagate, non potei dormire.
L’indomani a Sassari – ed appena arrivato mi posi a letto, e stetti due mesi ammalato, senza dire al medico, per non perdere il merito del giubileo, la causa della mia malattia. Mai più, poi, mi venne in testa di ripetere simili penitenze de’ Pacomii e degli Ilarioni!»
A proposito dei visitatori apostolici, e del loro capo Ignazio Rinaldi, (morto in Sassari il 2 gennaio1827, nella casa dei Gesuiti; dove avea preso alloggio, abbandonando l’ospizio dell’Arcivescovado) ecco quanto scrive un frate – Vittorio Angius: « Questa visita apostolica, mandata principalmente per edificare, non fece altro che distruggere, sì che le cose de’ regolari peggiorarono da qualche tempo, e i danni sarebbero stati maggiori, se l’Arcivescovo Rinaldi fosse vissuto di più sotto l’inspirazione dei Padri Gesuiti. Uomo di spiriti farisaici, gesuitizzava anche nell’ambizione della sacra porpora, e però vedeva tutti, e giudicava tutto con gli occhi e il senno dei Gesuiti. Mite ed umile con questi religiosi era violento nei modi e superlativamente superbo con tutti gli altri, e molto più con quelli che si trovavano sotto la sua giurisdizione. Possedeva l’arte di simulare, ed essendosi potuta trascrivere in Roma la sua corrispondenza, si ebbe la prova scandalosa di sua doppiezza, già riconosciuta dalle persone più accorte, perché malmenava quelli ai quali si mostrava amico e benigno, e scrisse delle calunnie gravi contro persone rispettabili. Non fu risparmiato neppure l’Arcivescovo di Sassari Arnosio… il quale fu molto generoso a leggergli l’orazione funebre il giorno della sua morte».
• Illuminazione
Con atto Consolare del 31 luglio si propone al Viceré di stabilire a Sassari l’illuminazione notturna con fanali, mediante 1’accrescimento del Dazio imposto sulla carne di maiale, capra e caprone onde far fronte alla manutenzione dei fanali.
Il Contadore Antonio Luigi Davide fu nominato Direttore dell’illuminazione, con annuo stipendio di 150 scudi. Il 29 novembre del 1828 si nominò la Commissione di Sorveglianza per i fanali, e si stabilì regolarmente il servizio.
Provvedimenti. –
In quest’anno si organizzarono le milizie nazionali di Fanteria e Cavalleria, che la regina Maria Teresa aveva nel 1815 ricostituite come nel 1799. Tutta la forza miliziana fu ripartita in 19 Battaglioni: 11 per il Capo di Cagliari, e 8 per il Capo di Sassari, colla denominazione di Battaglioni Miliziani barraccellari, perché incaricati di questo servizio. Si pensò pure all’ampliazione delle case di educazione ed opere pie; si tentarono i canali di spurgo a Sassari, si lastricarono le vie, a spese dei cittadini; e s’impose una tassa sui medicinali per frenare l’ingordigia dei farmacisti.
• Nuova Chiesa
L’Arcivescovo Don Carlo Arnosio, per vive istanze del Comandante del porto ed abitanti di Portotorres, divisò erigere una nuova chiesa, in quel comune, sotto l’invocazione di N.S. della Consolata. Egli avea posto la prima pietra il 22 febbraio del 1826, giorno anniversario del suo arrivo nel detto porto, avvenuto tre anni prima. Ultimata la chiesa in meno di due anni, l’Arcivescovo stabiliva per consacrarla il giorno 30 dicembre 1827. E la mattina di questo giorno, alle ore 8, usciva da Sassari, malgrado il molesto vento che soffiava orribilmente. Era seguito da scelta e numerosa comitiva, composta del Magistrato Civico (che era stato da lui invitato) da due Dignità, da sei Canonici del Capitolo Turritano, da molti distinti personaggi, Impiegati, Ecclesiastici, e secolari dell’uno e dell’altro sesso, chi in vettura e chi a cavallo. Cinque carrozze seguivano la carrozza dell’Arcivescovo, scortata sempre dai Reali Carabinieri.
Dopo un’ora e mezza di viaggio giunse al borgo di S. Gavino, scese dalla vettura, e fra le acclamazioni della popolazione fu accompagnato al Palazzo Civico, dove prese stanza. Si avviò poi alla nuova Chiesa da lui intitolata, ed ebbe luogo la consacrazione. Il Magistrato Civico vestiva gli abiti consolari. Durante la funzione vi furono gli spari dell’Artiglieria.
Restituitosi al Palazzo di Città, e nella gran Sala del Corpo Decurionale, il Capo del Magistrato gli si fece innanzi e gli offrì alcune copie di un poetico componimento scritto per la circostanza. Seguì un lauto pranzo; e i convitati erano tanti, che non poterono capire nella gran Sala, motivo per cui improvvisarono altre tavole nelle stanze attigue. Fu tanto il sopravanzo delle provviste di pane, vino, carne, pollastri, ecc. ecc. che l’Arcivescovo ordinò ai Parroci della Basilica di farne un’equa distribuzione alle famiglie povere e ai galeotti che lavoravano nel porto.
Alle ore quattro di sera l’Arcivescovo rimontò in carrozza, e seguito dall’allegra comitiva fece ritorno a Sassari.
Il Magistrato Civico di Sassari ordinò al Segretario di registrare nei libri del Comune i particolari di questa festa; e il Segretario ne fece una descrizione minutissima in sei fitte pagine, di cui ho fatto un breve cenno ai miei lettori.
• Abolizione della tortura
Vittorio Emanuele I, con un editto aveva abolita la tortura, ma per sostituirla col famoso dado di cui abbiamo fatto menzione all’anno 1821. – Carlo Felice, nel suo Codice pubblicato nel 1827, volle invece totalmente soppressa ogni sorta di tortura: quella cioè detta ad eruendum – quella colla clausola salvis remanentibus indiciis – quella che si soleva prescrivere nel capo dei complici – e quella a cui, secondo le antiche leggi, andava soggetto il reo che si ostinava a non voler rispondere. Volle pure abolita la pena della fustigazione; mantenendo però la Berlina; la quale consisteva nell’esporre il condannato sulla pubblica piazza per un’ora, alla vista del popolo, con un cartello fisso al dissopra della testa, nel quale era scritto a caratteri grandi e leggibili il nome, cognome, professione, domicilio, la pena e la causa della condanna.
In quest’anno 1827, morivano in Cagliari dueuomini ragguardevoli: l’illustre sassarese Domenico Alberto Azuni, il 24 gennaio; e l’ex Viceré Giacomo Pes di Villamarina il 23 settembre.
• Medici e Vaccino
In quest’anno furono da un Consiglio di Sanità istituiti i medici condotti con salario a carico dei comuni; e, malgrado i popolari pregiudizi, si pensò alla propagazione del Vaccino. In Alghero, Cuglieri, Ozieri e Nuoro furono stabilite Giunte provinciali incaricate di sopravvedere l’andamento delle vaccinazioni e la condotta dei medici e chirurghi distrettuali. Quella di Sassari, che fu detta Superiore, ebbe la facoltà di dirigere, non solo le vaccinazioni ed i medici e chirurghi delle provincie, ma anche le giunte provinciali del Capo.
• 1828. Teatro
Ricostruito in miglior forma il Palazzo comunale, i Consiglieri pensarono ad uno Stabilimento di pubblica ricreazione. Il re Carlo Felice, per nuovo tratto di beneficenza, prestò la somma di L. 80.000, per l’erezione del nuovo Teatro, che era da lungo tempo l’aspirazione del paese. Dovendosi all’uopo acquistare un palazzotto attiguo, si fecero le debite pratiche, sempre per la intercessione del sassarese Don Vittorio Pilo Boyl, Marchese di Putifigari, (Primo Scudiere e Gentiluomo di camera di S. M.) il quale si era sempre impegnato per il bene e lustro della sua patria.
• Cava di lavagne
L’8 agosto 1828 il Viceré approvò ilprogetto presentato dai Fratelli Fogu per la scavazione delle lavagne nelle montagne della Nurra. Le condizioni del contratto erano che il Municipio dava gratis la concessione ai Fogu per due anni; finiti i quali i Fogu si obbligavano di pagare alla Azienda civica il 6 per cento sul valore di tutte le lastre che in seguito si sarebbero estratte dalle cave.
• Fabbrica Tabacchi
La gioia dei sassaresi per la ricostruzione in miglior forma del Palazzo civico e del Teatro, dovette ben presto essere amareggiata da un improvviso quanto inaspettato provvedimento. Si aboliva dal Governo la Fabbrica dei tabacchi, che finallora esisteva a Sassari, e si tentava annullare l’industria clandestina de’ contrabbandieri; il che diede luogo a molte mormorazioni contro i Cagliaritani, che dicevano causa di quella deliberazione. Si fece intendere che il Re aveva ordinato la soppressione della fabbrica per evitare inutili spese e gravi danni. L’Intendente generale avea dimostrato, che la manipolazione de’ tabacchi in Sassari era il fomite di continui ragguardevoli sfrosi, e che un gran numero di famiglie otteneva la sussistenza da questa illecita manifattura e dall’occulto commercio dei prodotti; dimostrò che le cospicue spese di mantenimento e di vigilanza per quella fabbrica si potevano economizzare per essere un solo stabilimento sufficientissimo a’ bisogni dell’interna consumazione; e le sue ragioni riuscirono a farla sopprimere.
Si aspettava un’occasione per eseguire la deliberazione presa – e questa venne quando l’Ehrsam, nelle sue stipulazioni con le finanze, pose tra i preliminari del contratto quella soppressione.
Figurarsi la costernazione dei sassaresi! La Città sperò nella mediazione del Marchese Boyl – ma a nulla valsero le sue raccomandazioni, le sue suppliche e i suoi lamenti. Il 17 febbraio del 1829 il Municipio manda una supplica al re, esponendo i continui reclami dei cittadini per i gravissimi pregiudizi che risentono dopo il traslocamento della fabbrica del tabacco a Cagliari; esso fa una lunga storia del tabacco introdotto per migliorare la condizione di Sassari; parla della miseria della città; ma il re fu durissimo di orecchio e non ascoltò i reclami dei consiglieri.
Corse anche voce che si sarebbe istituito a Cagliari un Collegio delle provincie e un grande Ospedale, mentre a Sassari si sarebbe invece soppressa l’Università. Fu incaricato di nuovo il Boyl per scongiurare un secondo malanno; ma pare che nulla vi fosse di fondato. Quando il Boyl nell’anno seguente giunse a Sassari, gli si fecero vive dimostrazioni per essersi adoprato sempre per il suo paese – e per dir vero quelle ovazioni erano ben meritate. Forse la minaccia di perdere l’Università era stata fatta apposta per attutire il colpo che doveva apportare la perdita della fabbrica del Tabacco, che fu trasportata invece a Cagliari.
L’Angius, nel 1841, parlando del provvedimento di sopprimere a Sassari la fabbrica del tabacco, dice che «un tal fatto diede cagione di nuove calunnie a quei poco sensati sassaresi che sognano sempre i cagliaritani occupati nel pensiero delle loro cose, e nell’invidia operosi a’ loro danni, senza che volessero cessare le inique mormorazioni anche dopo che fu manifesto che così aveva ordinato il Re per evitare inutili spese». Nel 1849 lo stesso Angius scrive invece, che erano giusti i lamenti dei tabaccanti «quando le Finanze sconsigliatamente accettarono il progetto d’uno speculatore straniero, il quale trasportava in Cagliari la manifattura, e a’ metodi tradizionali dell’arte sassarese che avevano dato ottimi prodotti, sostituiva la pratica di fabbriche estere; ed erano giusti i lamenti perché i tabacchi erano malamente manipolati, e non avevano più il gran pregio della purezza per certe materie estranee che vi si mescolavano». Che cosa avrà fatto ricredere il Padre Angius? Avverto i lettori, che questo scrittore cadde assai spesso in tali contraddizioni per la fretta con cui scriveva.
Il 15 giugno di quest’anno, il parroco d’Oschiri Don Gio. Maria Bua fu consacrato Arcivescovo di Oristano nella Cattedrale di Sassari.
• 1829. Rita e Cristina
Nel fascicolo del marzo 1829 del Giornale di Cagliari, alla rubrica Notizie di Sassari, leggesi: «La mattina del 12 marzo (1829) dopo cinque ore di patire, Maria Teresa Villaminar, moglie di Gio. Battista Parodi compositore di stamperia, partorì due gemelle che hanno le teste, le braccia e gli omeri perfettamente disgiunti, ma si congiungono al petto… Hanno diversa fisonomia – l’una ha la faccia rotonda, l’altra ovale. Furono battezzate: all’una si pose il nome di Cristina, all’altra di Rita. Il Vescovo fu il primo a dare l’esempio di largizione. La loro casa è divenuta un luogo di spettacolo; la forza pubblica frena a stento la moltitudine che si addensa, bramosa di vedere le due gemelle… Le due infelici bambine succhiavano a meraviglia; piangono, dormono, ora d’accordo ora a vicenda, e tutt’insieme il loro aspetto promette vita e sanità… ».
I professori Sacchero e Demichelis, il 17, fanno la descrizione di queste due creature nel suddetto giornale. Il Valery, nel suo Viaggio in Sardegna, dedica un capitolo a queste due gemelle, ed io lo riporto tutto, sicuro che farà piacere ai lettori: « Era di Sassari quella graziosa coppia, quel gruppo di gemelle, conosciuto sotto il nome di Rita-Cristina, che vennero recate intorno per l’Italia, e morirono a Parigi il 23 novembre1829, all’età di 8 mesi e qualche giorno, vittime dell’avidità di lucro de’ loro genitori, poveri artigiani che se ne ritornarono nella loro isola ancor più miserabili di quello che ne fossero partiti. Sarebbe stata opera degna di un Governo illuminato il prevenire una tale pubblica mostra, in nome della scienza, della morale e dell’umanità. Una memoria che fa onore alla medicina francese ha dimostrato la vitabilità di Rita-Cristina, già dimostrata col fatto.
« Rita-Cristina, duplice creatura sino alla cintura, era semplice al disotto di essa; e però sembra che il suo unico paio di gambe, dacché due teste c’erano e quattro braccia, avrebbe dovuto renderle il moto diffìcile. Questo concetto è stato riconosciuto probabile; ed i piaceri, come il dolore, sarebbero stati divisi dalle due sorelle. Gli organi del nutrimento e delle secrezioni erano comuni; le loro azioni erano indipendenti dalla duplice volontà dei cervelli, il sonno era quasi simultaneo, tanto la natura è saggia e ragionevole in mezzo a’ suoi capricci ed a’ suoi scherzi! Come accade fra i veri fenomeni della vita sociale, uno dei due cuori era collocato a dritta, ed uno dei fegati a sinistra. I due bambini presentavano uno strano contrapposto: Cristina, la fanciulla a sinistra, era più robusta di quella collocata a diritta; aveva maggior appetito; la sua fisonomia era vivace, gioiosa; quella di Rita era invece melanconica, soffrente, cadaverica e d’una tinta turchiniccia. Cristina visse anche dopo la morte di sua sorella, già fatta cadavere; e quella bambina dalla culla subì dopo alcuni istanti il supplizio di Mesenzio».
La memoria stampata, di cui parla Valery, è quella letta da E. R. Serrer all’accademia delle Scienze, intorno alla Teoria delle formazioni e deformazioni organiche, applicate all’anatomia di Rita-Cristina.
• Carlo Alberto a Sassari
Il 2 maggio, poco dopo le 7 di sera, il principe di Carignano, poi re Carlo Alberto, col suo seguito (fra cui Alberto Lamarmora) fece il suo ingresso in Sassari. La sua entrata in città fu splendida. Nel passare sotto l’arco trionfale, eretto in Porta di S. Antonio per cura del Municipio, venne salutato dalle artiglierie che erano sulle mura, dalla musica militare (?) e dal popolo. Salì lungo il Corso fino al Palazzo governativo, dove le truppe erano schierate, e fu ricevuto dal Governatore T. Grondona, dall’Arcivescovo, dalla Reale Governazione, dal Magistrato Civico, Corpo accademico e Nobiltà. Si fece illuminazione sino a notte inoltrata.
Il giorno 3 si recò al Duomo per il Tedeum. Il dopo pranzo vi fu la processione della Vergine di Valverde, veduta sfilare dal Principe. Carlo Alberto si recò quindi in Piazza S. Catterina, e da un elegante padiglione assistette alla corsa dei cavalli.
Visitò il Rosello, fece il giro degli stradoni alberati che circondano la città, e rientrò dalla Porta Castello. Nella Piazza Castello era stato improvvisato un giardino bellissimo. Alla notte vi fu altra splendida illuminazione. Il giorno 4 (che era la festa di S. Gavino) si recò a Portotorres, visitò la Basilica, e vide la processione; la sera assistette alla corsa dei cavalli, e tornò a Sassari. Per questa corsa si erano fatti grandi preparativi. Si mandarono lettere circolari a 24 comuni per i cavalli da corsa.
Il giorno 5 visitò l’Università, l’Ospedale Civile, il Seminario, e alcune chiese. La mattina del 6 visitò la campagna di Logulentu; e la sera assistette alla Cuccagna che ebbe luogo in Piazza Castello. Curiosa la preoccupazione dei Consiglieri per il sito da scegliersi per la Cuccagna e festa popolare. Si consultò il Conte di Boyl nei primi di aprile, e si fecero diversi progetti col concorso dell’Architetto. Si pensò prima, di far la festa in Piazza d’Armi vicino al Pozzo d’Arena; ma l’orizzonte ristretto non era troppo ameno. Si pensò a Baddimanna; ma vi si opponevano i venti dominanti e il terreno disuguale, dove non si poteva ballare il ballo sardo dai ballerini che dovevano rappresentare tutti i costumi del Capo settentrionale, il Municipio propendeva per la Piazza della Trinità, a Porta Macello, dove per il Principe si sarebbe improvvisato un immenso ombrello a due colori sul terrazzo del Dazio Comunale e dove si sarebbero pur fatti dei balli sassaresi con tamburo, pifferi e canti, e si sarebbe terminato con una improvvisa illuminazione di palloncini negli alberi; ma si temeva di annoiare il Principe, facendolo stare all’umido. Il Conte Boyl consigliò i dintorni di S. Paolo; ma il Municipio gli fece osservare che in quel sito si pregiudicava la salute di Sua Altezza, stante le esalazioni pestifere che partivano dal piccolo cimitero di S. Biagio e dai rigagnoli delle morchie dei molini ad olio che insudiciavano quei dintorni. Insomma, si finì per scegliere la Piazza Castello, dov’ebbe luogo la festa popolare progettata.
L’indomani7 partì per Alghero; ritornò il giorno 11 e partì per Castelsardo. Il 23 aprile il Municipio aveva chiesto al Viceré l’autorizzazione di prelevare dalla Cassa Lire sarde 654. 10, per le feste da farsi all’arrivo del principe.
Carlo Alberto era sbarcato per la prima volta a Cagliari il 18 aprile ed era venuto nell’Isola unicamente per fare una gita di piacere. Il 29 dicembre di quest’anno (secondo giorno di Pasqua) venne inaugurato il Teatro Civico con una Compagnia comica. Vi furono molte poesie d’occasione, una delle quali scritta dal Padre Angius, e dedicata all’Intendente Generale il Marchese di San Vittorio.
• Strada Nazionale
Nell’anno 1829 fu compiuta la strada nazionale da Cagliari a Portotorres. Ecco alcuni dati che ho desunto dalla Relazione ufficiale.
Nell’agosto del 1820 il re Vittorio Emanuele I diede gli ordini per gli studi al Cav. Gio. Antonio Carbonazzi Direttore Capo di Strade e Ponti; il quale nella metà del gennaio 1821 partì per la Sardegna conducendo seco gli ingegneri Musso, Cerrutti e Dervieux, suoi collaboratori. Nel febbraio il Carbonazzi uscì da Cagliari consultando la carta del Padre Napoli, poco esatta, ma un vero portento geografico pel modo con cui fu fatta. L’intiero progetto delle strade fu approvato con Real Carta del 27 novembre 1821. Per una singolare combinazione (?) come dice la Relazione del Carbonazzi – il sistema proposto di tutte le strade coincide in massima colla giacitura delle romane carreggiate, di cui si trovarono vestigia all’epoca dei lavori.
Nel marzo del 1822 si trattò un prestito con Genova a favore dell’Amministrazione stradale, per poter aprire trattative per l’appalto della grande strada Maestra. I lavori si cominciarono nei primi giorni del 1823.
La strada, da Cagliari a Portotorres, ha una lunghezza di metri 214821. 40, e una larghezza costante di 7 metri; la pendenza non oltrepassa generalmente il 7 per cento; la maggior altezza e il piano di Macomer di metri 662-654. Fu compiuta in sette anni – cioè in 700 giornate (compresi i riposi per le intemperie) al prezzo medio di L. 1,54; e costò 3.960.000, lire. Le cantoniere sono 17 – e i Cantonieri vennero distribuiti lungo la linea stradale di 3.000 in 3.000 metri, guidati da un sottocapo che aveva una squadra di quattro o cinque uomini, e comandati da quattro capi aventi il grado di Assistenti.
Il personale direttivo dei lavori si componeva del Direttore Capo Carbonazzi, di 3 Capitani, di 8 Tenenti e di 8 Aiutanti; totale 20 – di cui 9 si ritirarono per malattia; e 3 morirono, cioè: gli aiutanti Sburlati e Carbonazzi (parente del Capo) e l’ingegnere Maréchal, al quale in Sardara eressero una lapide. Dopo la centrale, si diede mano nel 1832 alle altre strade, cioè a quella da Monastir per Seui (38 Chil.) e a quella da Capo Abbas per Tiesi ed Ittiri (Chil. 27) con 6 metri di larghezza.
• 1830. Provvedimenti
Nel 13 aprile CarloFelice dà alcuni provvedimenti per la manutenzione della strada centrale da Cagliari a Portotorres, e per la manutenzione d’altre strade provinciali. Sul finire dell’anno si propone al Governo superiore un’utile riforma nell’amministrazione della Nurra e di Portotorres, in cui si moltiplicavano i delitti. Si proponeva la soppressione del Delegato Consultore, e l’istituzione di una Curia in Torres, che avesse giurisdizione sulla vicina Nurra.
Il 1° settembre parte dal porto di Torres Don Vittorio Pilo Boyl di Putifigari, procuratore e proteggitore munifico – come dice un sonetto stampato per la circostanza – della Città di Sassari. Grandissime dimostrazioni di affetto dalla cittadinanza.
• 1831. Morte di Carlo Felice
Il re Carlo Felice cadde ammalato verso la fine di aprile, e morì il 27 aprile 1831, dopo aver ricevuto cinque salassi e i conforti della Religione. Corse voce che morisse di veleno propinatogli da Maria Teresa; ma questa voce fu da molti ritenuta come calunniosa. Ad ogni modo questa regina pagò il suo delitto, perché un anno dopo, il 29 marzo1832, fu trovata morta sul proprio letto.
E così finì il regno Carlo Felice – il più codino e il più tiranno dei re di Savoia. Scrive Carlo A. Valle nelle illustrazioni storiche della Casa Savoia, che fu l’unico di quella gloriosa stirpe di re, che bevesse il sangue cittadino e gravitasse con mano tirannica sul capo del popolo. E il Siotto Pintor lasciò scritto nella sua Storia Civile dei popoli sardi:
« – Carlo Felice era ignaro di guerra; di spiriti quieti o ignavi, ebbe in uggia le milizie e le mostre militari, e lo strepito dei bellici strumenti non tollerò nemmeno a segno di festa. Grande ammiratore di splendidi desinari e di giuochi che non lo impegnassero a pensare, fu modello di quel dolce far niente per cui vennero in fama non desiderabile gli italiani. Era ognora in ozio scioperato, e si gravò delle cerimonie di corte e del sottoscrivere alle leggi e ai decreti, come di fatica incomportabile. Selvaggio di lettere e di scienze, dilettavasi nondimeno di pittura, di musica e di rappresentazioni sceniche di subbietti da ridere, perlocchè fu chiamato il re dei teatri, dove masticava sempre squisiti dolciumi. Nella forza confidando più assai che non bisogni, e nemico di ogni novità, era frequente nel dire che aveva a sua disposizione tutte le milizie dell’Austria a raccorciare i cervelli malsani. Non era insomma senso liberale in lui, non aspirazione per la unità dell’Italia, ma neppure ipocrisia, onde non ebbe in grado i gesuiti, malgrado che a un gesuita si confessasse. Del resto, di natura larga, facile alle simpatie, arricchì d’ogni maniera di uffici ed onoranze chiunque ebbe l’arte di sollazzarlo, o la fortuna di piacergli… Le virtù domestiche possedette in sommo grado…. Le ire partigiane gli appiccarono il titolo di Feroce. Ma lo storico deve tener conto del tempo in cui visse, degli impedimenti in cui si trovò investito, e della misura della reazione. Le minacce passarono i fatti, e non si tosto si vide possessore del trono, che cessò ogni persecuzione, e a’ figliuoli de’ condannati a morte statuì talora pensioni dal suo »…
Ad ogni modo bisogna convenire, che se il Piemonte e l’Italia hanno troppo a dolersi di Carlo Felice, certo è che la Sardegna non ha motivo di lagnarsi, perché da lui ottenne molti favori; e se male fece, non fu tutto suo, ma provenne in gran parte dagli abusi del Viceregato, commesso talvolta a male mani, dal soverchio potere del Segretario di Stato, e dall’onnipotenza in Corte dei grandi magistrati sardi – come nota il Martini.
• Funerali a Sassari
L’8 di maggio si annunziava nell’Isola la morte di Carlo Felice; e la Città di Sassari fece per la circostanza solenni funerali.
Fu eretto un superbo sarcofago nella parrocchia di S. Catterina, e il Municipio, come gli si ordinava, fece la solita descrizione del monumento e della funzione al Viceré. Adornavano il Sarcofago teste di bronzo, ricchi fregi, e le statue delle due virtù: la Fede e la Speranza. Sul tumulo era la reale corona d’oro velata a bruno, e all’intorno sette iscrizioni latine composte dal Vicario Capitolare Canonico Don Emanuele Marongiu. La chiesa era tutta parata a lutto.
I negozianti Verdura e Tavolara erano quelli incaricati di provvedere tutte le stoffe nere per il sarcofago, col patto che il Municipio buonificasse loro Lire sarde 5 per l’uso di ogni pezza di scotto di palmi cento – ben inteso caricando al Municipio le pezze che si fossero guaste.
Terminata la funzione, il sarto Mastro Baingio Proto Bini comprò per la complessiva somma di 30 scudi (pagabili in settembre) tutte le stoffe che avanzarono dal Catafalco – cioè: 1380 palmi di anchina; 60 palmi di scoto, e 12 palmi di velluto nero. E dopo il funerale la Città di Sassari pensò alle dimostrazioni di gioia per l’avvenimento al trono di Carlo Alberto principe di Carignano, nato da Carlo principe di Carignano e da Maria Cristina di Sassonia il 20 ottobre 1798.