Sassari Piemontese

Carlo Emanuele IV

• Carlo Emanuele IV

Primogenito dei molti figli di Vittorio Amedeo, salì al trono dopo la morte del padre, il 16 Ottobre 1796. Per Sassari non vi fu cambiamento di sorta. Fu cambiato il Maestro di Cappella – ma la musica restò sempre la stessa. Il Municipio, come al solito, si strusse in lagrime perla morte del re vecchio, e pianse di gioia per l’acclamazione del re nuovo. Valentino continuò le sue prodezze. Poco gli importava morisse o no il re; purché non morisse il suo compagno d’armi: il boia!

• 1796. Angioi a Torino

Angioi intanto non perdeva tempo. Egli si adoperava a tutt’uomo per raggiungere il suo intento. S’ingegnò tanto, che riuscì a procurarsi dal nuovo re un salvacondotto col quale venne a Torino nel mese di Dicembre. Trovò le cose più complicate di quello che s’immaginasse; ma non era uomo da perdere il coraggio. Cercò di far prevalere le proprie ragioni, su quelle affacciate dagli Stamenti e dal Viceré. Carlo Emanuele nominò un’apposita Commissione per farle esaminare; ma essa, ritardando ad arte la decisione, mandò Angioi in confine a Casale. Quivi seppe che a Sassari erano incominciati i supplizi de’ suoi partigiani, e si adoperò in tutti i modi per impedirli. L’incaricato della Repubblica francese a Torino reclamò per simili eccessi, qualificandoli come violazione del trattato di pace del 15 Maggio 1796, nel quale si parla di un’amnistia piena ed intera ai sudditi incriminati per le loro opinioni politiche. Pare anzi, che, per effetto di questa protesta, siasi il Viceré indotto, per istruzioni ministeriali, ad ordinare la sospensione dell’esecuzioni di morte alla Commissione di Sassari.

• 1797. Altri patiboli

Il Valentino però fece il sordo. Nulla valse a frenarlo. Si citò l’amnistia francese e sarda; si citò Angioi salvo e accolto in Torino; ma il Valentino sorrideva al carnefice. Le sue risposte furono le gabbie di ferro con le teste de’ giustiziati, che egli faceva esporre nelle cinque porte della città, secondo il suo capriccio. L’anno 1797 cominciò con le condanne. Il 4 Febbraio furono condannati Paolo Mundula, d’anni 18, figlio di Gioachino – e Quirico Spano, conciatore; il primo a sette anni di carcere, il secondo a dieci anni di galera. Il Supremo Consiglio di Torino criticò – o finse criticare – le sentenze del Valentino; ma la cosa era fatta. Vi fu un po’ di tregua e intanto nel 5 Aprile si stipularono solennemente a Bologna i segreti patti tra la Repubblica francese e il re Carlo Emanuele IV; dove era detto, che non si darebbe alcun soccorso, né diretto né indiretto, ai nemici interni degli Stati alleati. Il Governo piemontese si sfogò allora co’ liberali di Sardegna; nel Marzo esso tolse il divieto delle giudiziarie uccisioni ai Commissari di Sassari; e Valentino non si fe’ ripetere due volte il comando di ripiantare le forche, d’impiccare, mozzare il capo, e spargere al vento la cenere dei cadaveri abbrucciati. Il Viceré rimproverò accerbamente il Valentino dell’abuso che faceva; ma Valentino pregava di lasciarlo fare. Il giorno 21 Aprile, altri due martiri delle libere idee salirono il patibolo: erano due capitani delle Milizie Nazionali – l’avvocato Devilla, e il giovine medico Gaspare Sini – quel Sini, figlio del cameriere dell’Arcivescovo Della Torre, che il destino trasse ad arrestare il suo benefattore. Le loro teste furono mozzate dal busto, e ingabbiate – i loro corpi ridotti prima in cenere, e poscia la cenere sparsa al vento.

• Gli altri complici

E gli altri complici? Ed Angioi? Consulteremo le lettere scritte in proposito da quei certi soggetti, i quali non mancarono mai d’informare la giustizia, per il solo scopo di ottenere una ricompensa alla loro delazione. Trovo nei R. Archivi di Cagliari, fra le carte del Viceré, un foglio che ha la seguente intestazione: «Capitolo di lettera scritta da Livorno in data 7 Giugno 1797 da una persona di tutto credito che dimorò molti anni in Sardegna e nella Città di Sassari, molto ben conoscitore delli individui cui nomina in detto capitolo, e co’ quali trattò ed ebbe amistà, non solo quando si trovava in detta Città di Sassari, ma anche quando questi fuggirono e si ricoverarono in Livorno. »
Vediamo ora il contenuto:
« Caro Signore,
« Con tutta segretezza passo a confidarle d’essere qui nuovamente capitati tutti i ribelli sardi. Gioachino Mundula con un tal Giovannico Sorba sono passati a Parigi; i figli di Petretto, Livia figlio, Martinetti ed altri sono partiti per Milano, affine di abboccarsi con Bonaparte; Sotgiu Mundula e Solis son rimasti qui. Tutta questa ciurma incostante fanno tutti gli sforzi per dare l’ultimo crollo alla Sardegna, l’odio dei quali tende specialmente contro, Feudatari, Nobili, Ecclesiastici e Doviziosi… Vi è tutta probabilità, anziché sicurezza, che questi maligni siano ascoltati, e posso accertarle che la Sardegna si trova vicina a nuove disgrazie, molto maggiori, senza paragone, delle già sofferte, poiché è meglio cadere nelle mani di un Dio sdegnato, che in certa sorte di nemici co’ quali si perde religione, onore, roba e vita. Il tutto le serva di regola, e procuri prendere quelle precauzioni che stimerà più proprie per la salvezza di sua casa e famiglia… »

***

Fra le carte del Viceré trovai la seguente:
« Nota dei soggetti sedicenti deputati del Regno di Sardegna che si presentarono al Console francese nella città di Livorno: Dottore Gioachino Mundula – Dott. Domenico Solis – Dott. Gio. Maria Sotgiu Mundula – Cosimo Auleri – Notaio Antonio Luigi Petretto – Ignazio Petretto – Francesco Petretto – Ignazio Petretto – Luigi Livia – Brigadiere Giuseppe Luigi Livia, e suo fratello – Antonio Martinetti – Gavino Tealdi – Giovanni Sorba – Un frate Osservante cognato del giustiziato Dottor Sini – Alcuni conversi.
Trovo anche fra gli imputati i seguenti: – Tomaso Pasca – Salvatore Solis – Don Diego Scardacciu – Nicolò Frassu – Pasquale Matracco – Chirurgo Luigi Cossu – Pietro Luigi Sanna Simula.
Il lettore può dunque convincersi, che le nominate persone potevano aver errato, ma non meritavano certo il nome di gentame, canagliume, ed altro, dato loro dal Manno. I fatti degli anni 95, 96 e seguenti, non si devono solo al gentame del volgo; ma in essi presero parte i più distinti avvocati, medici, notai, proprietari, ecc. ecc. di Sassari, compresi molti preti, molti frati e molti cavalieri liberali.
Per ultimo mi capitò sott’occhio, fra le carte appartenenti al Viceré, altra Nota dei soggetti ai quali S. E. ha scritto, incaricando la disfatta ed arresto degli insorgenti. Sono tredici nomi rispettabili, che io non voglio pubblicare per molti riguardi.

• Angioi e Mundula

Angioi intanto, (al quale era stato consigliato di trasferirsi a Casale, mentre a Torino s’intentava il suo processo) accorgendosi di essere spiato, in una sera di Agosto, sull’imbrunire, uscì da una porticina segreta, raggiunse una vettura, e fuggì a Parigi, dove si occupò sempre della sua patria. Il Mundula, anch’esso, erasi recato a Parigi, dove si lusingava far volgere l’attenzione del Direttorio alle cose sarde – Il Valentino teneva d’occhio ogni suo disegno, e si abboccava con un tal Salvatore Meglio, il quale, nelle sue relazioni, asseverò che il Valentino aveagli dato incarico di uccidere l’avvocato Mundula. Non tardò il Valentino ad attirarsi lo sdegno della popolazione per i suoi eccessi e la sua crudeltà. Fu ordinata una congiura contro di lui; ma egli ne fu avvertito dai suoi aderenti; e allora fece imprigionare quanti potè. Fra gli altri, ordinò l’arresto del Cav. Arras, per la sola ragione ch’era un parente dell’Angioi.

• Due parroci

Anche il parroco Murroni fu preso; ma sfuggì alle unghie del Valentino, in forza dei privilegi clericali. Si pensò allora d’impadronirsi del fratello del prete; e il 30 Novembre 1797 il Valentino scriveva al Viceré; «Giacché suppone che i fratelli Murroni siano ricoverati nella montagna di Suni, potrebbe Ella chiamare a sé i due banditi che vivono nella medesima, per nome Salvatore Rugu e Bantine Addis; e qualora sian i medesimi disposti ad arrestare Salvatore Moroni, darò loro un affidamento interinale: e riuscendo la cattura procurerò loro l’impunità pei delitti di cui vengono accusati. »
Ciò per dimostrare, che se i partigiani d’Angioi furono tacciati di non aver usato mezzi troppo leali per riuscire nel loro intento anche i governanti ricorrevano ai più volgari assassini per difendere la loro causa. « – Così volevano i tempi! – » Si dica almeno così, ma, per amor di Dio, non esageriamo in grazia dei nostri interessi e delle nostre opinioni!
Anche per l’altro parroco liberale – Bologna, di Florinas – furono fatti i debiti rapporti da chi vi aveva interesse. Fra le carte del Regio Archivio di Stato leggo la relazione dell’Arcivescovo di Sassari, in data del 5 Aprile 1802, la quale dice: « In quel tempo (1796) il parroco Bologna parlò con sommo disprezzo del Re; poiché, fatto a lui sentire qualmente certe cose che si pensavano fare non sarebbero piaciute al re, anzi che sarebbero dal medesimo disapprovate, non dubitò (?) di prorompere in questi eccessi nefandi e di orrore: – Che Re! Che Re ! – è la Nazione! – » E ciò porta alla considerazione, che ben spesso un semplice parroco di villaggio potrebbe avere più logica e buon senso di un Arcivescovo!

• Congiura?

In quel tempo si parlò anche di un’altra congiura. Era arrivato a Sassari un certo Ortigomo, Commissario del Generale Capo dell’armata francese in Italia. Dapprincipio egli si spacciava per negoziante incettatore d’orzo; ma si notò in seguito che egli andava in giro per le ville, e aveva continui abboccamenti co’ partigiani d’Angioi, beffeggiando nobili e preti. Le sue relazioni non ebbero effetto, perocché partigiani d’Angioi ve n’erano moltissimi ma pochi erano i risoluti. I più rimanevano impressionati dai mezzi energici adoperati dal Valentino, e dallo scoraggiamento che regnava tra fila dei liberali. Il Piemonte, in quel frangente, forse per dimostrare i suoi buoni rapporti coll’isola, le domandò frumento; e la Sardegna gli mandò grano, e 50mila scudi. Per la prima volta, dopo un lunghissimo tempo, furono innalzati al Vescovato due sacerdoti sardi: l’abate Cadello a Cagliari – e l’arciprete Simon a Sassari.

• Il Municipio

Non partirono però dal solo Valentino i provvedimenti feroci; a me consta che anche il Municipio sollecitava il Governo, eccitandolo allo sterminio dei rivoltosi. Trovo negli archivi del Comune la seguente lettera, scritta al Viceré, in data 23 marzo 1797. « La parte che dobbiamo prendere in ogni affare riguardante il bene pubblico e la comune tranquillità, ci obbliga di rassegnare all’E. V. l’occorso affollamento d’immenso popolo, il quale a numerose bande portatosi questa mane in casa di vari cittadini e persone ritenute distinte per zelo patriottico, pretese con alte voci che si ponessero alla testa del popolo, per chiedere la pronta punizione dei rei detenuti e di quelli assenti per fellonia, avendo penetrato che dalla sospensione delle loro cause abbiano preso motivo di ordire una nera congiura diretta al massacro delle persone di governo, e di tutti i buoni e fedeli cittadini.
« Essendosi per consiglio d’altissima provvidenza scoperta ieri tal congiura, mercé la divina grazia, ci riuscì pure di sedare il popolo, affinchè non si dasse in preda ad un giusto sdegno e si sagrificasse senza più i soggetti, contro i quali era animato, nella speranza che loro ispirammo di pregare e supplicare V. E. unitamente all’Illustrissimo Consigliere di Stato Don Giuseppe Valentino e Magistrato della Real Governazione, affinchè venissero appagati i voti pubblici, e sottratti i buoni al pericolo da cui sono minacciati. « Umiliamo, a tale effetto, alla S. V. le nostre fervorose preghiere con lo straordinario corriere che viene spedito dal Governo, supplicandola a prendere in considerazione i desideri della città tutta – ed in conseguenza ordinare il pronto gastigo e punizione di quelli che turbano la tranquillità pubblica, collo spargimento delle più inique massime, come altresì de’ loro seguaci fautori e ricettatori. Questo è il solo mezzo per accertare un male tanto pernicioso e la rovina di tutti che ci sovrasta, persuasi come siamo che l’E. V. farà quel caso che crediamo esigere le attuali circostanze, la nostra fedeltà verso il Sovrano, ecc. ecc. »
I consiglieri: Don Gavino Pilo – Avv. Giuseppe Sanna Salis – Don Antonio Deliperi – Not. Gavino Cossu – G. Pano Baiardo – Giuseppe Luigi Usai – Raimondo Branca Mela – Not. Francesco Dais – Giovanni Chessa. Ci vuol ben poco a capire, che in questa lettera al Vicerè era lo zampino del Governatore, e del feroce Valentino!

• 1798. Il nuovo anno

Si cominciò l’anno con un po’ di carestia. I biglietti delle Finanze erano scaduti di credito, e perciò, o se ne escludeva nei contratti l’accettazione, o si pagava per accettarli, un aggio fino al 15 per cento. L’altra calamità fu quella dei delitti, cresciuti a dismisura nelle pubbliche e private passioni. A Cagliari le uccisioni si commettevano sfacciatamente: a Sassari in quel tempo si stava più quieti per i rigori di Valentino. Le cose del Piemonte volgevano alla peggio. Corse voce che il Papa – Pio VI – cacciato dalla sua sede dai francesi, cercasse un rifugio in Sardegna – Il Viceré scriveva al Re, che la presenza del Papa a Cagliari poteva destare tumulti, perché quel porto era di frequente accesso ai francesi: e consigliava perciò, essere più conveniente che il Santo Padre fosse di residenza a Sassari. Il Re approvava il divisamento preso; – ma il Papa non venne a Sassari! I francesi però stringevano alquanto i ferri, e i governanti del Piemonte erano un po’ sulle spine. La Sardegna, prima dimenticata, fu l’asilo adocchiato da molti, era misera, ma in fatto di fedeltà a prova di bomba. Il Papa non venne – ma venne il re.

• Calamità in Sassari

Per avere un’idea della calamità di Sassari nel principio del 1798, riporto un brano di lettera scritta dai Consiglieri al Viceré.
«…Fin dal 4 dello scorso dicembre 1797 noi riferimmo all’E. V. essere questo popolo notabilmente spossato, e che perciò non sarebbe facile ricavarne un pieno appagamento ai nostri desideri. Così sinora lo stiamo palpando, e ne sono i motivi le varie contribuzioni a’ quali si è forzata ogni classe di persone nelle lugubri passate vicende; le sgraziatissime raccolte di tanti anni scarsi di quasi ogni genere di frutti; la quasi intiera mancanza di numerario che fa perdere nel cambio di ogni piccolo viglietto di credito almeno un mezzo scudo; l’eccessivo prezzo a cui sono alzate tutte le cose necessarie al vitto, affìtto di case, e di più necessario ad ogni bisogno dell’umana vita. E gravissima ancora la spesa che ora si fa nelle rinnovate ronde dei littorali, per le quali non si trova chi voglia andarvi per meno del doppio della paga di tutte le precedenti, che sono a carico del pubblico ed hanno aggravato in parte la miseria del paese. Tutto ci viene rappresentato dai poveri padri di famiglia, quando chiediamo le oblazioni. Noi vi preghiamo ecc. ecc…»

• 1799. Arrivo del Re

La Repubblica francese aveva abbattuto il trono sabaudo, e Carlo Emanuele IV, pensando forse al brutto tiro fatto sei anni addietro al suo collega Luigi XVI, decise di mettersi in sicuro in Sardegna, scegliendo la residenza di Cagliari per sé, per la regina moglie e per i principi suoi figli; i quali tutti arrivarono alla capitale dell’isola il giorno 3 di Marzo, sulla fregata toscana La Rondinella. Questa volta la rondinella fuggiva il caldo di Piemonte, per cercare un po’ di fresco in Sardegna.
Il popolo esultò di gioia. Il tribuno Vincenzo Sulis, che in quel tempo volgeva in Cagliari le cose a suo senno, accolse festosamente il re.
Le ambizioni smisurate, le ire partigiane, i rancori feroci erano all’ordine del giorno. La magistratura, la milizia, la nobiltà, il clero, ottennero ciò che vollero – uffizi ed onoranze. Le classi privilegiate pensavano di approfittare del buon vento, e lavoravano giorno e notte avendo dalla loro parte la Corte; la quale, venendo in Sardegna, tornò all’antico, incoraggiata dagli Stamenti e dai capi-popolo, che erano nemici d’ogni progresso e d’ogni libero sentimento – come dice il Martini.
Tutti i nobili di Cagliari faceano a gara per offrire le più belle suppellettili per adornare le sale del Palazzo. Essendo scappato in fretta da Torino, il re aveva colà dimenticato le gioie, l’argenteria e 700 mila lire in doppie d’oro – come scrive Botta – Avendo egli dunque bisogno di danaro, e volendo gli Stamenti fare un appannaggio alla Casa reale, gravarono il tributo del popolo di 600 mila lire piemontesi – E la Sardegna, per mantenere con decoro il suo re e la sua famiglia, moriva di fame senza lamentarsi. Il re pensò intanto di collocar bene i suoi fratelli principi; cioè il Duca d’Aosta (Vittorio Emanuele) Governatore di Cagliari; il Duca di Monferrato (Maurizio Maria Giuseppe) Governatore di Sassari; il Duca del Genovese (Carlo Felice) Comandante Generale della fanteria dei miliziani; il Duca di Moriena (Placido Benedetto) Comandante Generale della cavalleria. Decretò pure altre promozioni; cioè, il Cocco, Presidente del Consiglio di Stato e della Reale Udienza; il Cabras Intendente Generale. Vincenzo Sulis, invece, non ebbe fortuna. Fu preso di mira, e si pensò di disfarsene accusandolo di cospirazione. Il principe Vittorio Emanuele tentò di farlo fuggire, persuaso dei servigi che aveva reso alla Causa regia; invece l’altro principe Carlo Felice (aiutato da Pes di Villamarina e da Stefano Manca di Tiesi) pubblicò un bando sanguinoso, e riuscì a farlo arrestare. I due principi fratelli fecero la parte dei due ladroni – l’uno buono, e l’altro cattivo; e il Sulis si fece ballottare da Erode a Pilato, come un povero Cristo!

• Feste a Sassari

« Il giorno 5 Marzo, alle ore 9 di notte (come scrive il Sisco nelle sue memorie) arrivò a Sassari 1’espresso spedito da Cagliari, coll’avviso del felice arrivo del Sovrano e Reale famiglia alla capitale, avvenuta il 3 Marzo, quarta domenica di quaresima, alle ore 3 dopo mezzodì.
« Si fece subito, a Sassari, lo sparo dei cannoni, e tutte le campane suonarono a festa; vi fu illuminazione dappertutto, e per tutta la città si gridava: Viva il re ! – Nella stessa notte dal fortino di Porta Macello cadde Don Gio. Agostino Valentino, che si ferì alla testa, mentre forse sparava un cannone.
« Il giorno 7 al Duomo s’incominciò un Triduo; tutte e tre notti vi furono fuochi e illuminazione, anche nei Conventi e Monasteri. Al Municipio fu esposto il quadro del re in mezzo alle torcie; nella notte vi fu musica. La cupola e il campanile di S. Maria erano illuminati; non mancarono i focaroni e i fuochi di artifizio. Sabato sera processione, al solito, con Capitolo, frati, preti, confraternite, magistrati, Università, Nobili, Governatore, con oltre 300 candele in mano. Dinanzi al palazzo di città era un bell’altare ornato con bellissimo disegno e gusto; dove posarono la statua di Sant’Efisio protettore di Cagliari, a destra – e S. Gavino protettore di Sassari, a sinistra dell’altare. Si cantò il Mutetto. La funzione terminò al Duomo col Tedeum, sparo di artiglieria e fuochi di parata dei soldati.
« II Capitolo spedì a Cagliari il Decano Don Salvatore Rois e il canonico Don Domenico Manca, per riverire il Sovrano; – il Magistrato spedì tre Consiglieri, D. Antonio Deliperi, il Dottor Cascara e Luigi Usai; la Governazione spedì il giudice Don Pietro Luigi Fontana e Don Raimondo De-Quesada; l’Università spedì lo scolopino Prof. Antonino Quesada e il Prof. Candia ex Gesuita. Molti altri cavalieri andarono spontaneamente.
« L’11 Marzo, coll’arrivo della posta, si promulgò l’Indulto generale, eccettuati il parricidio, uxoricidio, fratricidio, e infanticidio. Infatti furono aperte le porte delle prigioni e licenziati tutti i prigionieri. »
Fin qui Sisco. I Consiglieri di Sassari fecero al Viceré una relazione delle feste fatte a Sassari e della gioia provata dalla popolazione. Fra le altre cose scrivevano: «…Queste pubbliche manifestazioni, seguirono altresì per quattro giorni continui, nelle quali altro non si sentiva che viva il nostro amato re Carlo Emanuele IV; viva il re eziandio dalle bocche dei lattanti (?).

• Nomine

« Il 1° Aprile pervenne a Sassari la notizia che Carlo Emanuele IV aveva nominato per Vescovo di Bosa il sassarese Dottor Baingio Murru, rettore di S. Sisto. » (Sisco)

L’8 dello stesso mese i Consiglieri di Sassari ringraziarono il Re per la nomina fatta del loro Governatore, nella persona del principe, Duca di Monferrato.

• Preparativi

II Municipio di Sassari faceva dei preparativi per ricevere degnamente il principe Governatore. Furono incaricati del ricevimento i tre Consiglieri già mandati a Cagliari per ossequiare la famiglia reale, cioè Deliperi, Casca ed Usai. Questi scrissero a Sassari per avvertire che avrebbero prolungato la loro dimora in Cagliari. « Oggi appena, 18 Aprile (dice la lettera) abbiamo finito di presentarci a tutta la casa Reale; ma questi signori cagliaritani ci confondono con tante visite e complimenti che ci fanno, motivo per cui avranno la bontà di perdonarci se diferiamo qualche poco il nostro ritorno… »
Sei giorni prima essi erano ad Oristano, dove ossequiarono il Principe Governatore, per ordine del famoso Don Giuseppe Valentino. Ecco quanto scrissero, in proposito, a Sassari, il 12 Aprile: «…è inesprimibile la bontà con cui ci ha ricevuto S. A. e con cui si è spiegato di essere Sassarese (!) non solo questo dopopranzo quando ci siamo presentati tutti tre a nome di codesta Città, ma eziandio questa mattina quando questo degnissimo Capo Consigliere si è presentato al corteggio con gli altri Nobili, subito arrivato. Egli non vede il momento di vedere la nostra patria, e si spiega coi termini più significanti, che dimostrano l’amore che ci porta, avendone questa sera data una prova la più sensibile con averci salutato con distinzione, osservata da molti di questa città, mentre passando nella piazza della Casa civica abbiamo avuto la sorte d’inchinarci ».  In seguito i detti Consiglieri raccomandano nella stessa lettera di ricevere degnamente il Principe, e si permettono di dare qualche consiglio al riguardo; Pregano che s’inviti la musica, e che il concerto, invece che nella Casa civica, si faccia suonare sul terrazzo della Casa Arcivescovile, vicino alla Segreteria;
Siccome si prevede un gran mondo di concorso, essi raccomandano di far ridurre in pane venti rasieri di grano;
Siccome i Consiglieri di Oristano hanno ordinato che tutto il pesce di fiume e di mare fosse in questi giorni portato in piazza, così esortano i sassaresi di far di più di questi signori;
Siccome in Oristano fu molto lodata la comparsa degli studenti nel piazzale della Cattedrale, i quali ricevettero il principe tenendo in mano moltissime banderuole, così esortano di invitare la scolaresca sassarese perché faccia altrettanto. E mi pare che la lettera dei sassaresi sia abbastanza chiara ed esplicita.

• Nuovo Governatore

Il 19 Aprile, alle 11 di mattina, S. A. R. Maurizio Maria Giuseppe, Duca di Monferrato, fratello del re, arrivò a Sassari come Governatore. Nonostante la pioggia, il giubilo fu universale.
« Entrò dalla porta di S. Antonio (dove il Maggiore di piazza Don Carlo Cugia gli offerse le chiavi della città) in mezzo al Capo Giurato ed altri Consiglieri vestiti colla toga rossa, alla Governazione, Vice Intendente, ecc. ecc. – S. A. era accompagnato da tutta la cavalleria delle cinque Parrocchie di Sassari e dei Villaggi circonvicini – in tutto circa 3000 uomini a cavallo, armati di fucile. Salì in Piazza (corso) sino al Castello, scese in Turritana, ed andò ad alloggiare nel Vescovado, poiché il Palazzo del Governo era in riparazione.
« Il Palazzo fu addobbato con buon gusto; tappezzerie, mobili, sedie, ecc. quanto di più prezioso avevano il Duca dell’Asinara, il Marchese Boyl Gentiluomo di Camera, il Marchese di Sedilo, e il Conte d’Ittiri, lo si diede per ornare gli appartamenti destinati al principe.
« Quando egli arrivò al Palazzo, fu ricevuto dall’ Arcivescovo che era sulla porta, e dall’Università; nel primo scalino erano i Cavalieri, e nel secondo le Dame. Alla sera S. A. si recò al Duomo, dove baciò il pettorale di Monsignore. Gran calca, ecc. ecc. »
In seguito il Sisco parla degli applausi poetici. Ne riporto una quartina:
« E quando il dì verrà – Sassar dicea –
Che il mio Prence, il mio Re ch’in cor mi siede
Lieta rimiri, e stesa al regio piede
Baci la man che mi conforta e bea? »

• Donativo

« Il 5 Giugno, il Re, da Cagliari, promulgò l’Editto per l’imposizione di un Donativo straordinario da pagarsi da tutto il Regno, anche dagli ecclesiastici, uomini e donne». (Sisco)

• Morte del Governatore

« Li 18 di Agosto, domenica, alle ore 4 di sera, giorno caldissimo, partì da Sassari per Alghero il Duca di Monferrato, per vedere lo zio, S. A. il Duca di Xablé, che da Cagliari era venuto per mare a Porto Conti per recarsi poi a Torino. Il Duca, a cavallo, arrivò in Alghero alle ore 9 di notte, e fu assalito dalla febbre… Furono subito chiamati i medici di Alghero, e in seguito altri da Sassari, da Oristano e da Cagliari.
« Fatto è, che il giorno 2 Settembre cessò colà di vivere, alle 3 del mattino.
« Due giorni prima di morire arrivò in Alghero, da Cagliari, per vederlo, il fratello Placido Benedetto Conte di Moriana, già nominato Governatore di Sassari. Il Duca di Monferrato raccomandò al fratello la città di Sassari (dice sempre il Sisco !)
« Il giorno 11 il Duca di Moriana partì da Alghero, e si recò a Sassari privatamente.
« I funerali del Duca si differirono sino al 26 Settembre, per certa controversia insorta fra il Magistrato Civico e la Governazione circa al posto da sedere in chiesa, nel tempo del funerale. Si ricorse a Cagliari; e venne ordinato che precedesse, a mano dritta, la Governazione.
« 11-18 Ottobre il Conte di Moriana fece celebrare un funerale per il fratello nella chiesa di S. Catterina. Il principe era nella ringhiera a cui si passa dal suo palazzo. Vi era un superbo Mausoleo. Egli mandò la sua carrozza e il suo primo Scudiere alla Marchesa Boyl, moglie del Marchese, Grande di Corona di S. R. M., per condurla in Chiesa e per restituirla a casa – Vi fu continuo sparo di cannoni, ed i fuochi di parata della truppa. » (Sisco).
Il 9 Settembre il Municipio di Sassari, assicurato che il Principe moriva senza testamento, chiedeva di poter avere il corpo del suo Governatore, per deporlo nella Cattedrale di S. Nicolò, dove soleva sempre pregare. II suo corpo però giace nella Cattedrale di Alghero, dove Carlo Felice gli fece erigere un bel monumento.

• Partenza del Re

Sciolto il Consiglio di Stato a Cagliari il re Carlo Emanuele IV lasciò l’isola il 19 Settembre, e si portò a Firenze, giacché l’Austria alleata gli vietava la stanza di Torino – La popolazione lo vide partire con indifferenza, e il più crudele disinganno sottentrò all’entusiasmo provato il 3 di Marzo! – Carlo Emanuele lasciò a Viceré, nell’isola, suo fratello Carlo Felice di spiriti assolutissimi; in lui non trovava alcun ostacolo la prepotenza militare e il terribile potere economico, di cui abusava – Si volle perdere il Sulis, reo o innocente, e si perdette. Scampato per miracolo dal patibolo per la coscienza del Giudice Nieddu, fu esiliato nell’isola della Maddalena, dove molte volte, ripensando alla ricompensa ottenuta per la sua fedeltà, si sarà pentito della instabilità della sua opinione.

• 1800. Questione feudale

I logudoresi non potevano darsi pace; il ritorno all’antico sistema feudale era loro di peso. Il Governo tentò di moderare alquanto le gravezze feudali; ma i baroni, capitanati dal famoso Duca dell’Asinara, rendettero inefficaci gli ordinamenti governativi.
Bastò la presenza di Cosimo Auleri per commovere i logudoresi – Mandato questo dall’Angioi, insieme ad altri agitatori, sparsero la voce per i paesi che era volontà del Re ribellarsi ai feudatari. Si tornò a tumultuare, e si formò il disegno di assalire un’altra volta la città di Sassari e di saccheggiarla. L’impresa di entrare in Sassari pareva loro facilissima, memori della facilità con cui vi erano entrati Cilocco e Mundula nel 1795. L’Auleri nell’Agosto dovette rinunziare al suo progetto di occupazione. Prevalendo sempre più le insolenze dei feudatari, si aumentò il malcontento e le ire contro i baroni. Il 6 di Ottobre si ribellarono i tiesini contro i regi capitanati da Grondona, e vi fu un eccidio – A Tiesi fece eco anche Santo Lussurgiu, i cui abitanti insorsero contro ai regi e ai baroni.  – Carlo Felice autorizzò il Conte di Moriana a creare un Consiglio di Guerra per giudicare i rivoltosi di Tiesi. Sedici furono condannati a morte, ma sei soltanto poterono impiccarsi. Lo stesso re, convinto che il Duca dell’Asinara aveva non poca colpa, lo sospendeva per alcun tempo dall’autorità feudale.

• 1801. Carlo Felice a Sassari

In quest’anno i due principi si mossero dalle loro sedi; il Conte di Moriana Governatore di Sassari andò a Cagliari a visitarvi il fratello Viceré; e Carlo Felice volle intraprendere un viaggio nell’isola, per imitare i Viceré suoi predecessori, e còllo scopo speciale di provvedere alle contese feudali nei comuni. Egli partì da Cagliari il20 Aprile in compagnia del Reggente la reale cancelleria, dell’Avvocato fiscale patrimoniale, e del Segretario di Stato. La gita, in ultimo, si risolvette in un viaggio di piacere. A Sassari fu fatto segno a speciali acclamazioni. Ebbe qui archi trionfali, spettacoli pubblici, luminarie, iscrizioni, poesie, ecc. ecc. Il 23 Maggio rientrò in Cagliari, per calmare gli animi agitati per l’arresto di molti cittadini imputati di congiura contro il potere supremo. Gli arresti erano stati ordinati dal Villamarina; ma la questione finì per risolversi in calunnia, sebbene molti siano morti in carcere!
Il 9 febbraio, a mezzanotte, muore a Sassari il P. Antonino Sisco, il minuzioso cronista da noi più volte citato.
Il 27 stesso mese vengono giustiziati, come troppo teneri d’angioismo: a Tiesi, Giacomo Sole, Giacomo Vargiu e Gio. Batta Zampurru – in Bessude Michele Scano e Andrea Schintu. Otto vennero impiccati in effigie, capi de’ quali erano G. A. Tanca e Gavino Cinghine.

• 1802. Gli Angioini

Gli angioini emigrati non avevano dismessa la speranza di vendicarsi della disfatta del 96. Essi continuavano a far pratiche per ottenere il possente ausilio della Francia. Il primo Console se ne occupò una sola volta; ma poi non volle più pensarvi, forse per non irritare la Gran Brettagna e la Russia, allora amiche della Francia e della Casa Savoia – come dice il Martini. Gli emigrati però, o illusi, o risoluti di operare per conto proprio, approfittando dell’irritazione generale contro i governanti, tentarono un’insurrezione. Tra costoro presero l’iniziativa il sacerdote Francesco Sanna Corda, parroco di Torralba, e Francesco Cilocco, già venuti in fama negli anni 1795 e 96. Fin dal Febbraio si cominciò a vociferare di un prossimo rivolgimento politico; più tardi cominciarono a circolare qua e là, e specialmente a Sassari, prose e poesie incendiarie. Il reggente Valentino, investito del potere politico nell’assenza del Conte di Moriana, se ne allarmò, dietro denuncie fattegli per mezzo di confessori. Scoppiata una rivolta nella Gallura, Carlo Felice spedì colà forti distaccamenti di truppa, sotto la direzione di Villamarina comandante di quella provincia. Nei primi di maggio Cilocco sbarcò, dalla Corsica, sui lidi di Gallura, insieme ad altri emigrati; si dissero inviati dall’Angioi con pieni poteri, mostrando false lettere del primo Console, vantando prossimi approdi di squadre francesi, e riunendo a loro molti contrabbandieri e facinorosi, dei quali era capo Pietro Mammia d’Agius, già condannato a morte in contumacia. Fatta centro la villa d’Agius, ne uscivano per affrontare le milizie regie.

• Lo sbarco

Fallito il primo disegno, per insinuazione del Mammia, che dicevasi comprato dal Governo, il Cilocco ritoccò la Corsica; ma tornò in Gallura nei primi di giugno, insieme al Sanna che dicevasi Commissario generale d’ Angioi, a Luigi Martinetti di Sassari, a Giovanni Battino e Francesco Frau d’Agius, e ad altri congiurati.
Ecco la lettera di Villamarina, il quale da Tempio, il 15 giugno 1802, informava il Viceré dello sbarco degli angioini: « Vengo accertato che sia sbarcato, proveniente da Aiaccio, nelle marine aggesi, specie alla Crocitta, il Dottor Sanna Corda di Torralba con patenti d’Angioi, con un suo Segretario francese, più il Scilocco (sic) con vari Ufficiali, tamburi, bandiere ed alcuni piccoli cannoni portatili; di più che si sono spedite ad alcune ville più di 60 lettere circolari d’invito. Di più che da un giorno all’altro gireranno 600 uomini di truppa, 300 dei quali francesi, e 300 corsi, qua e là, e incomincieranno a giorni la rivoluzione del Regno, per non dire l’assassinamento… Già da due giorni mi fece per secreto, e in tutta confidenza, tutto ciò sapere il Pietro Mamia, che non volli credere, e procurerò servirmi di altri canali con spie pagate, sebbene difficilissimo sia il ritrovarne delle fedeli in questo comune». Allargati dal Governo i   Conte di Moriana Governatore di Sassari, la Real Governazione, con giudizio sommario, deliberò dei ribelli, infliggendo loro le pene più atroci. Bandi dal Regno, confische, patiboli, teste conficcate ai pili, cadaveri bruciati, e ceneri sparse al vento – tutto si mise in opera.

• Lettere e documenti

A titolo di curiosità riporto alcune lettere scritte dall’Angioi e dal suo Commissario Sanna Corda a diversi, le cui copie trovo negli Archivi di Cagliari, essendo state spedite al Viceré (allora Carlo Felice). I lettori vedranno che l’Angioi, il suo Commissario Sanna Corda e il Segretario Generale B. Fauchè, a capo di un pugno di corsi e di pastori galluresi, volevano scimmiottare in tutto e per tutto la Repubblica francese, tanto nella sostanza quanto nella forma; né puossi negare (pur rispettando il patriottico intendimento) che in questa seconda spedizione non manca il lato umoristico. Non mi risulta, per quanto io abbia rovistato, che gli angioini avessero a Sassari gli stessi caldi seguaci che avevano nel 1795 e 96; non sono anzi lontano dal credere, che il Sanna Corda si servisse largamente del nome di Angioi, ma che l’Angioi fosse veramente estraneo a molti provvedimenti presi. Il piano da seguire fu tutto concertato in Corsica, sulla falsariga dei recenti avvenimenti francesi. Resta solo a notarsi il coraggio, la perseveranza ed il patriottismo di un Sacerdote, che seppe tener vivo nei suoi seguaci il fuoco della libertà, e coll’esempio mostrò quanto gli stava a cuore redimere il suo paese dagli oppressori. Il suo ardore non si spense che sul campo di battaglia – dove cadde combattendo per una causa ch’egli sempre chiamò santa, quanto giusta. Ho sott’occhio due fogli di carta in istampa, appartenenti al Sacerdote Sanna; l’uno è in bianco, ed ha per intestazione lo stemma ovale della Repubblica (largo 4 centimetri e alto 4 e mezzo) colla scritta: Libertà, Uguaglianza – Per ordine della Repubblica – F. Sanna Corda, Com.° generale. Lo stemma è eseguito con molta precisione.
L’altro foglio porta in istampa la seguente scritta, in caratteri grossi, che io trascrivo cogli errori di stampa e di ortografia che riscontransi nell’originale.

 Libertà               Uguaglianza

Noi G. M. ANGIOI Rapresentente della Sarda Nazione, cediamo tutta la N. facoltà, ed auttorità provisoriamente, al cittadino Francesco SANNA CORDA, di Torralba in Sardegna: acciochè transferendossi in detta isola, possa aggire in mio nome e come mio commissario generale in raporto, a quanto giudicherà sul posto necessario, per bene della Patria; auttorizando tutti quei soggetti, che vorrà, tanto nel militare, come nel civile, od altro E. a tale oggetto vogliamo sia riconosciuto ed accettato da tutti i bravi figli della Patria in forza delle presenti, da noi sottoscritte.

Angioy

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LETTERA D’ANGIOI AL PRETE SANNA

« Dal mio quartiere Generale, dalla Torre di Longosardo, assaltata ieri ad ore 6 della sera, li 28 Pratile anno 10.
Copia della lettera scritta da Angioi il 13 giugno.
Per ordine della Repubblica. Al Canonico Francesco Sanna Corda Commissario Generale della Spedizione Sardo-francese.
« Caro fratello ed amico,
« Arrivo alle ore 4 dopo mezzanotte nella città e Porto di Livorno con 2000 uomini al mio soldo, reclutati in tutta l’Italia; ditemi prontamente il posto, dove devo sbarcare, di nostra intiera confidenza; mentre non mi muovo da questa senza ricevere i vostri pieghi, coll’inteso Santo, dove sbarcherò le mie truppe; ho sei cannoni da 4 di campagna, due da 6, tutta la provvista di guerra. Fate travagliare pane formaggi, e quanto fa bisogno per la truppa, e probabilmente in Sorso, Sennori, Oristano, Cuglieri, Terranova, Tempio e Gocceano – e vi saluto.

***
LETTERA DEL PRETE SANNA A MONS. ARCIV. DI SASSARI.

(Dal mio quartiere Generale li 25 Pratile anno 10).

         Libertà               Uguaglianza

Per ordine della Repubblica.
« Cittadino Vescovo,
« Mi fo il piacere d’inviarvi la chiusa pezza per ordine del Cardinale Legato esistente in Parigi, acciocché facciate sentire al nostro Clero come la grande Nazione francese pensa su la Religione dei nostri antenati e Ministri del suo Culto. Spero che vi farete un dovere d’inspirare ai vostri popoli quelle massime che uniscono il vero e virtuoso patriottismo col Sacrosanto Evangelio di Gesù Cristo e della sua Chiesa. »

***
LETTERA DEL PRETE SANNA A MONS. VESCOVO DI TEMPIO

Per ordine della Repubblica (senza data)
« Caro, Vescovo; spetta a voi farvi e meritarvi la stima nostra qualora facciate in modo che si renda quella piazza senza spargimento di sangue.»

Sanna Corda C.° Gen.

« Dica a Villamarina, che, se si rende a buoni capitoli, gli farò tutti gli onori della guerra; i cavalieri rispettati, la religione e suoi Ministri rispettati, conservati, protetti, se aggiranno in modo di meritarsi la nostra stima »

***
LETTERA DEL PRETE SANNA AL CITTADINO MILLELIRE
E CAPITANO PORCILE.

« Avete termine di 4 giorni, per rendermi, il primo la piazza dell’isola nostra, l’altro il bastimento in questo nostro porto e fortezza di Longosardo. In caso di non rispondere nel detto termine, disponetevi alla diffesa l’uno e l’altro. »

Le Segretaire Gen. B. Fauché                                   Sanna Corda

***
MANIFESTO DEL PRETE SANNA AI PASTORI GALLURESI.

           Libertà               Uguaglianza

1° Tutti gli stazzi della Gallura, contando dal giorno 13 del corrente, saranno franchi da ogni pagamento, eccetto quello che in forza dei beni solevano pagare, al Re Vitt. Re di Sardegna, un tempo.  

2.° Dimani, giorno 20 del Corr. a 6 ore della sera, al colpo del cannone, voglio trovare tutti i pastori d’Aggius e Tempio per conoscerli; tutti quelli poi che il giorno 20 non potessero venire, per sbrigare gli affari dei loro covili, verranno il giorno appresso, 21, all’istesso luogo, all’istessa ora, ed allo stesso segno.

3° Voglio trovare la chiesa aperta, col Rettore d’Aggius, nostro parziale amico, nella medesima; s’intende nella chiesa della Madonna di Longosardo, detta d’ora in avanti la Madonna della Vittoria, sotto il titolo di Sant’Antonio di Padova, nostri speciali protettori, che esistono nel nostro quartiere generale, ove si farà quanto prima un piccolo villaggio, e sarà la parrocchia dei pastori di quel Dipartimento.

4° Una chiesa si fabbricherà nel luogo del mio primo sbarco nell’isola, sotto lo stesso titolo. La festa sarà ogni anno il giorno 13 di giugno, e sarà la parrocchia dei pastori d’Aggius. In ogni luogo rispettivo vi sarà un parroco con due cento scudi di pensione; essi saranno obbligati di far tutti gli uffìzi del culto gratis, e senza prendere un soldo da verun individuo per 1′ amministrazione dei sagramenti e funerali. La chiesa si comincerà a fabbricare il giorno 1. del futuro settembre, dalla Cassa comune.

5° Tutti li Galluresi mi faranno il piacere, per tre o 4 giorni, di dar qualche bestia alle mie truppe, in forza dei dispacci che si daranno secondo il bisogno; chi le vorrà pagate, le si pagheranno subito in contanti; chi non vorrà il danaro sarà scritto nel mio libro di memoria. Il mio Segretario Generale viene per annunziarvi questi ordini, ed al colpo del cannone sarete pronti, tutti armati, e come fratelli perdonando le ingiurie uno all’altro, come lo comanda Gesù Cristo nostro Dio, e Redentore del genere umano, e che è stato il primo a dire quod tibi non vis alteri ne feceris et diligite inimicos vestros et benefacite eis, che vuol dire: su chi non cherides prò bois, non fattedes a su prossimu bostru, e perdonate ai vostri nemici, amateli, e fate loro bene.
« Dunque ubbidite agli ordini di Cristo Signor Nostro ed ai nostri, e a me, suo indegno Ministro, e vostro.

6° Facciamo sapere per ora: che chi ucciderà, da oggi in avanti, sarà ucciso, e fucilato; chi ruba la somma di due scudi sardi sarà fucilato; chi ruberà mezzo scudo sarà per 10 anni ai lavori pubblici.

Il Segretario Generale B. Fauchè.            Sanna Corda                          firmato Angioi

Noti il lettore la semplicità di questo manifesto, fatto appositamente per lusingare i pastori galluresi che formavano, a quanto pare, tutto l’esercito dei tre fieri Repubblicani. – Pure, sebbene pochi, quei pastori impensierirono il Governo dell’Isola; tanto è vero che si presero contro di essi energiche misure – come diremo nella rubrica seguente.

• Contro i pastori d’Aggius.

Ecco la lettera che il Segretario del Governatore di Sassari, Conte di Moriana, scriveva il 12 luglio 1802.
« Niente vi è più di giusto, o di più necessario, della ferma deliberazione in cui va ad entrare il Governo, di adoprare contro il villaggio d’Agius, e massimamente contro dei perfidi pastori di quelle marine, il massimo rigore, per recar ad effetto, senza remissione, quello che gli venne comminato sin dal 1766 (?) La giustizia vendicativa, la buona e sana politica, il vantaggio del Regno, tutto reclama altamente la dispersione di quella sciagurata gente, la cui condotta è stata in ogni tempo decisamente cattiva, ed è ormai arrivata al colmo dell’iniquità.
« Quando si sono già esauriti tutti i mezzi per farla rientrare in carriera, altro spediente non vi rimane a prendere se non se quello di non lasciarli esistere più nel luogo che tanto li favorisce e seconda per fare il male. Riducendosi in cenere quel villaggio, e dividendosi gli abitanti in diverse altre popolazioni dell’isola fuori della Gallura; con allontanare quei pastori dal littorale, e stabilirvi al tempo stesso in luogo opportuno un piccolo forte ben munito di truppa, e di munizioni, come benissimo potrebbe essere la torre di Longosardo, che sta quasi a cavaliere di quelle marine, e può dar ricovero ai Regi legni; nel procurare un risparmio incalcolabile di spese all’erario; nell’avvantaggiarlo colla diminuzione dei contrabbandi senza fine e di ogni genere che visi praticano; nel togliere a tutti i facinorosi della Sardegna il sicuro ricovero e la porta più prossima per andare e tornare da Corsica; nell’impedire finalmente una gran quantità di delitti e di eccessi, si viene a dare un luminoso esempio di quello che può il Sovrano giustamente irritato, quando da un popolo traviato senza speranza di ravvedimento non ne può tirare miglior partito.
« Questa si è al proposito la maniera di pensare di tutta la gente sensata e dabbene, e questa appunto si è quella della R. A. S. come ebbi l’onore d’accennarle altra volta, la quale applaudendo alle savie e prudenziali vedute e deliberazioni dell’Augusto suo fratello il sig. Viceré, spiegatemi da V. S. Ill.ma con questo suo dispaccio del 9 ottobre, mi ha imposto significarle in risposta che dal suo canto non mancherà di cooperare per recare ad effetto quanto si è determinato, in ordine al Muntoni Becchittu, sfrontato ricoveratore del famoso Ciloco, che si pretende altra volta evaso dal Regno. »

• Carlo Emanuele

Mentre ardeva il fuoco della rivolta in Gallura, il re Carlo Emanuele, che trovavasi a Roma, espresse il desiderio di ritirarsi dal mondo – La morte di sua moglie, Maria Clotilde (sorella dell’infelice Luigi XVI) avvenuta quasi d’improvviso a Napoli il 7 di marzo, lo accorò tanto, che si lasciò sdrucciolare nelle ciurmerie dei figli di Lojola, per i quali aveva sempre inclinato. Il 3 di giugno dettò l’atto di abdicazione, e dopo essersi riservata l’annua pensione di L. 200,000, col titolo e la dignità di re, andò a seppellirsi in convento, come Carlo V. Lasciò la corona a suo fratello Vittorio Emanuele I, e la sostanza ai Padri Gesuiti, i quali gli avevano fatto indossare l’abito di frate, per carpirgliela. Carlo Emanuele aveva una figura poco simpatica. Col naso lungo e aquilino, con le labbra da moro e cogli occhi da chinese, era il più brutto re di Casa Savoia. Fu detto di buon cuore, e religioso in modo che rasentava il bigotto.