La coltivazione del tabacco

La coltivazione del tabacco

A Sassari la coltivazione del tabacco era un’arte privilegiata, e sino all’inizio del Novecento ci fioriva una manifattura tabacchi che i cagliaritani ci invidiavano (e infatti poi ce la portarono via). La popolavano decine di ragazze, che ogni tanto si ribellavano ai soprusi dei dirigenti. A cominciare dai sorveglianti, che con la scusa di sorvegliarle certi giorni le perquisivano a fondo.

Proprio nei primissimi anni del Novecento ci fu uno dei primi grandi scioperi di quelle ragazze. Cominciarono con una serie di sabotaggi. La Nuova Sardegna del novembre del 1903 segnalava il ritrovamento, nei sigari delle privative cittadine, di un po’ di tutto: una coda di topo, un pezzo di corda, capelli (femminili, naturalmente) e pezzi di stoffa, polvere da sparo, foglie marce; sigari con sorpresa li segnalava anche nel maggio dell’anno dopo: in un sigaro fu trovato un chiodo, in un altro una ciocca di capelli biondi. Poi scoppiò lo sciopero vero e proprio, con grandi manifestazioni di solidarietà dei sassaresi, compresi i fumatori.

Le sigarette, invece, arrivavano da fuori. Le più popolari, in vendita nel tabacchino di Giovanni Secchi Chiudeddu che dava su piazza Castello (anzi, su Largo Cavallotti, inaugurato pochi anni prima), costavano un centesimo l’una. Un pacchetto di sigarette Englaterra (così scriveva La Nuova Sardegna) costava 30 centesimi, le Macedonia con bocchino incorporato si vendevano in bustine da dieci pezzi a 35 centesimi. Nella tabaccheria Secchi Chiudeddu si vendevano anche i giornali del continente, che arrivavano con un giorno di ritardo.

Tutti gli orti intorno alla città avevano appezzamenti coltivati a tabacco, sorvegliati a vista da occhiuti finanzieri. Nel 1908, scriveva sempre La Nuova, se ne coltivavano 22 milioni di piante, di cui 4 milioni destinati alle Manifatture di Stato, soprattutto dalle parti di Predda Niedda e giù nelle valli verso San Michele di Plaiano.

Il tabacco da fiuto – molto amato dai sassaresi e anche, si diceva, dalle vecchiette sassaresi – costava 6 lire e 25 centesimi al chilo, il trinciato turco Serraglio a 50 lire.

Anche allora c’era il fumo passivo: in Torre Tonda gli abitanti si lamentavano (notizia del 2 luglio 1907) perché spesso la via era invasa dalle nuvole di fumo che venivano dalla manifattura (stava proprio dietro la Torre Turondola) quando si bruciavano gli scarti della lavorazione del tabacco.

(Tratto dalla Nuova Sardegna del 26 agosto 2010)

Lo sciopero delle operaie. E’ il febbraio del 1900 quando il deputato socialista Andrea Costa visita Carloforte, Iglesias, Cagliari e altri centri dell’isola. Nello stesso periodo a Sassari entrano in agitazione le operaie della “Manifattura Tabacchi” , che era ubicata nei locali alle spalle dell’Università; come sappiamo, da molti anni la manifattura più importante era quella di Cagliari , scippata a suo tempo a Sassari , le richieste del mercato aumentavano per cui a Sassari viene fatto un nuovo reclutamento per fronteggiare le crescenti richieste del mercato. Ma le condizioni del lavoro e la misura del salario sono tali che le ragazze scendono in sciopero.

Una di esse racconta così le loro condizioni al cronista della Nuova Sardegna: «Siamo 63 operaie, non minori di 15 anni e non maggiori di 20, quindi ragazze giovanissime. Il numero di assunzioni aveva superato il centinaio. Vennero assunte quelle che sapevano leggere e scrivere. L’orario di lavoro era il seguente: dalle 7,30 all’una; un’ora di sosta per la colazione, che si consumava sul posto; ripresa alle 14 fino alle 17,30. Durante la giornata eravamo sorvegliate da alcune signorine in cappellino. Era vietato parlare in dialetto; due nostre compagne furono sospese per tre giorni dal lavoro e dal salario per una risatina innocua; una terza fu sospesa per avere pronunciato una frase in campidanese; ogni sera, prima di uscire dal magazzino, venivamo sottoposte a una minuziosa perquisizione personale. Percepivamo una retribuzione di 50 centesimi al giorno. Ci fecero pagare il vestiario di lavoro che ordinarono a Milano: un grembiule 1.95, una cuffia 1.25».

La ribellione nacque in seguito all’imposizione del lavoro a cottimo, che poi però non venne pagato; dalla lettura del registro di lavorazione si venne a sapere infatti, che nessuna squadra era riuscita a guadagnare 15 centesimi in nove ore e mezza di lavoro. Un chilo di pane costava 45 centesimi, un chilo di manzo da l lira a 1.25 e una copia della Nuova Sardegna 5 centesimi.

La tabaccheria di Giovanni Secchi Chiudeddu vendeva anche i giornali del continente, che arrivavano con un giorno di ritardo.

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