Fatti e persone

Fausto Orizi e “Rondinella”

“Tutto comincia a Sassari, nel 1940. E io Fausto Orizi, classe 1920, trombettista per diletto, il 12 marzo di quell’anno arrivo proprio qui, alla stazione, per fare la leva nella caserma La Marmora. Dal Comando apprendo di non essere qui per caso. Tra i vertici militari c’è qualcuno che ama la musica e ha scelto proprio il nord dell’Isola per costituire un’orchestra dell’esercito. E io, nato nell’agosto del ’20 a Colmurano, in provincia di Macerata, sono pronto: perché da ragazzino appena potevo correvo a suonare nell’orchestra diretta dal napoletano Cuffaro e finanziata dal grande Beniamino Gigli. Provavo con gli altri tre volte la settimana, poi ogni domenica c’erano le esibizioni. Da allora che ho imparato ad appassionarmi per tutte le opere italiane, per Ciajkowsky e Musorgskij. Una volta – avevo 17 anni – siamo andati sino a Napoli: era il 1937, il centenario della morte di Leopardi, e abbiamo suonato per un concerto commemorativo. In caserma scopro che, come me, ci sono altri musicisti. Lego con tutti. Noi dell’orchestra siamo esentati da marce, addestramenti, rigide regole. Ci esercitiamo allo Stadio dei pini, in periferia. Far parte dell’orchestra diventa l’ambizione di tutti. Ma resteremo sempre 35-40, non di più”. Fin qui la prima parte del racconto di Orizi, che poi farà il sarto, sempre in Sardegna, e però continuerà a suonare in diverse band sino a diventare direttore di cori. “Poi, nell’inverno del ’41, da Torino arriva Ferdinando Buscaglione: vent’anni, fresco di stellette come noi – racconta ancora il trombettista -. Fa un po’ lo spavaldo. Si vede però che ha buon carattere. E non appena capisce l’opportunità offerta dall’orchestra, la coglie al volo. Suona quasi tutti gli strumenti: dal contrabbasso alla fisarmonica, dal piano al clarinetto. Canta, anche. Si fa notare. E per questo entra in rotta di collisione, ogni tanto, con l’altro personaggio dalla forte tempra riassegnato da noi, Giulio Libano, di Vigevano. Trombettista jazz, diventerà compositore e direttore d’orchestra, e con la canzone Bambina farà un sacco di soldi in Usa. Nel ’42 arriva poi il maestro Manlio Bajardo. Un suo pari grado sassarese, il capitano Cordella, è responsabile della logistica legata all’attività di noi orchestrali. Intanto le file del complesso s’ingrossano. Nel gruppo entrano Paolo Galleri, abilissimo caricaturista, che per noi all’epoca faceva lo scenografo, e il comico romano Sabatini, spassosissimo imitatore di Totò. Nonostante la guerra divampi ovunque nel mondo, noi restiamo un reparto felice in un’isola felice. La firma dell’armistizio ci sorprende mentre facciamo un’esibizione per le truppe a Olbia. Sentiamo i tedeschi parlare di tradimento. In fretta, risaliamo sul nostro autocarro militare e ritorniamo a Sassari. Ma dall’8 settembre tutto migliora. Con la collaborazione degli americani nasce Radio Sardegna. Un comando dell’esercito Usa si disloca vicino alla chiesa di San Giuseppe. E Buscaglione è sempre più scatenato. Con i soldati dello zio Sam ha rapporti stretti. Soprattutto con quelli che amano il jazz. Ogni tanto scappa per cantare e ballare con loro. Nessuno lo tiene a freno. Come noi ascolta alla radio i pezzi finalmente trasmessi anche in Italia di Duke Ellington, di Louis Armstrong, della mitica Bessie Smith e di Dizzy Gillespie”.
Passano altri due anni. Il conflitto continua, ma non in Sardegna. Nel frattempo, Buscaglione viene nominato direttore dell’orchestra e diventa sergente. “Ma ogni tanto se la squaglia per suonare da altre parti: va spesso a Cagliari, per esibirsi nella sede di Radio Sardegna e registrare qualcosa di suo – racconta ancora Orizi -. Una volta, però, non chiede il permesso. Sparisce e basta. Nessuno sa dove sia finito. Si ripresenta dopo 4-5 giorni, quando sono già scattate le ricerche per diserzione. Nonostante le guasconate, è ben voluto. Gli evitano la denuncia penale, ma lo degradano. Tornato soldato, non si scompone: per lui contano solo lo swing e un altro genere che sta arrivando dall’America, il be-bop. Ama però la grande musica italiana, e in quel periodo compone anche il testo e la musica di un brano originale. Si chiama «Il vecchio Pedro». Lui lo canta interpretando la parte di un messicano un po’ avanti negli anni e con qualche difficoltà a rapportarsi col mondo. Poi, finalmente, un bel giorno del ’45 giunge la notizia che aspettiamo più di ogni altra: la guerra è finita. Non rientriamo però a casa subito. Per il congedo bisogna pazientare ancora un po’. Buscaglione scalpita per tornarsene a Torino. Passa il testimone della direzione dell’orchestra a Libano. Io, invece, che nel frattempo mi sono fidanzato con una ragazza sassarese, dopo il congedo preferisco restare qui anche da civile. Un giorno del ’46, da Torino, Buscaglione mi chiede di andare a suonare con lui. Mi piacerebbe molto. Ma sono costretto a rifiutare: troppo rischioso. L’anno successivo mi sposerò, andrò a vivere in una casa di piazza Sacro Cuore, al Monte Rosello. Lui in Sardegna tornerà solo all’inizio degli Anni 50 per cantare allo Scogliolungo di Porto Torres, seguito da avvenenti ballerine. Intanto, nascono i figli, tre, e io sono sempre più impegnato. Entro anche nella «Canepa » diretta dai maestri Crovetti e Condolucci. Di giorno in sartoria, la sera e la notte suonare. Sia per la banda sia in un complessino. Tra tutti e due i lavori, dormendo 3-4 ore a notte, riesco a guadagnare bene. Poi, una mattina di febbraio del ’60, la notizia che non avrei mai voluto sentire. Sono in bagno che ascolto la radio mentre mi faccio la barba: dicono dell’incidente mortale a Ferdinando. Resto di sasso: anche per me è un colpo al cuore. Ma la mia vita deve continuare. Per la musica sono ancora periodi caldi. Con la band degli Swing, arricchita dalla presenza del grande Francesco Serra, ce la spassiamo per molti altri anni, sino all’82: tutto il repertorio contemporaneo italiano e straniero di musica leggera è nostro. Suoniamo a Platamona, ad Alghero, nei locali della costa, persino in un night con entraineuses sorto per qualche mese a Sassari nell’Emiciclo Garibaldi e nel vicino Bar Scavio. Ogni tanto tornavamo alla Robur. Un affollamento incredibile: tra fumo e calore umano, c’era persino una statua di legno raffigurante un’africana che sembrava sudasse”.
Orizi continuerà a occuparsi di musica, con la sua tromba Rondinella, sin quasi alla fine dell’esistenza: morirà nel 2015 all’età di 95 anni.

(Il testo è il riassunto di un articolo più completo apparso sulla Nuova Sardegna dell’11 gennaio 2004 tratto da un’inchiesta con diversi servizi).

Nato a Sassari nel marzo 1956, laureato in Giurisprudenza. Giornalista professionista dal giugno 1981, in pensione dal 2015. Attualmente si dedica a iniziative editoriali e sociali. Ha insegnato linguaggi e tecniche dell’informazione giornalistica nelle scuole e all’università.