XIV-XVIII secolo

Ancora degli Statuti

 

Abbiamo diffusamente parlato degli Statuti della Repubblica di Sassari nel capitolo riguardante “Sassari Genovese”. Vi ritorniamo ora, solo per combattere un parere dell’Angius, e per presentare ai lettori un nuovo documento, da me rinvenuto dopo la pubblicazione della Sassari Comune. Se mi trattenni sui nostri antichi Codici, più che nol consentisse l’indole del mio libro, fu solo, e perché tutto quanto riguarda quei preziosi documenti ridonda ad onore del nostro paese, e perché le notizie su quell’epoca date dagli Storici sono scarsissime.
Come abbiamo brevemente accennato all’anno 1565, il Re Filippo II, a petizione dello Stamento militare (strana petizione di sardi!) decretò in data 22 Giugno, che gli antichi Statuti coi quali si reggevano fin dai secoli XIII e XIV i Comuni di Bosa ed Iglesias, scritti in lingua pisana ossia catalana, nonché quelli di Sassari scritti in lingua genovese ossia italiana, fossero tutti tradotti in lingua catalana, ossia sarda (?!); e ciò, per quant se veu no convé ni es just que lleys del reyne stiguen en llengua strana. E nello stesso Decreto si ordinava, che gli statuti in lingua italiana fossero aboliti in modo, che non lasciassero di esse nemmeno la memoria (… talment que no reste memoria de aquells).
E ciò prova che Filippo II aveva un vero odio per l’Italia. Lo stesso re, poco tempo prima, aveva anche proibito, ai giovani, di potersi recare, per ragioni di studio, nelle Università italiane.
« Questo documento – scrive l’Angius, con riserva – prova che il Codice sassarese, pubblicato dal cav. Pasquale Tola, sia piuttosto la traduzione dei primitivi Statuti, fatta dietro la suddetta legge nel secolo XVI. L’indicazione poi che i medesimi fossero ancora conservati in lingua genovese sotto il governo di Don Alvaro de Madrigal, può forse accertarci, che era questa la compilazione pubblicata nel 1316; la quale non fu il primo Codice di Statuto che ebbe Sassari, e forse neppure il secondo; perché un’altra compilazione fecesi senza dubbio, quando quel comune fece aderenza con Pisa; e innanzi di quest’epoca par vero che Sassari ebbe uno Statuto suo proprio, che fu quello antichissimo della città di Torri, di cui essa fu parte, e poscia ereditò tutti i diritti – »
Non saprei per vero dirvi a quali Statuti di Sassari, scritti in lingua genovese o italiana, alluda il Decreto di Filippo II. Bisognerebbe credere che a quel tempo esistessero ancora in Sassari gli Statuti pisani antichissimi, che andarono forse dispersi; oppure che sia stato un errore degli Stamenti quello d’indicare i nostri Codici della Repubblica scritti in lingua italiana. D’altronde ho già detto, che il Tola, nel 1840, trovò e lesse nel nostro Archivio Comunale alcuni quaderni (oggi dispersi) di una traduzione dei Codici, in ispagnuolo; la quale potrebbe essere stata fatta in obbedienza del regio Decreto – Quanto a me, pur dichiarandomi incompetente nella materia, vi metterò innanzi le ragioni per cui credo fermamente originali i nostri Statuti.

1. Basta gettare un’occhiata su quel Codice per convincerci che è opera del Secolo XIV. I caratteri gotici dell’epoca, la pergamena logora dal tempo e dal continuo uso, la precisione meravigliosa delle lettere, da scambiarsi colla stampa, tutto ci conduce a credere che non sia una copia posteriore – Perché, d’altra parte, scrivere con tanta esattezza e con caratteri così strani un Codice che doveva servire per uso quotidiano dell’Ufficio Comunale?

2. Incollata nell’interno della coperta è una striscia di carta con un’osservazione in lingua spagnuola, postavi verso la prima metà del secolo XVII; nella quale è detto, che fu fatta a parte una copia di quel Codice per renderlo più leggibile, essendo esso logoro, scritto in lletra antiqua, e con un latino antiquissimo, che adesso non si pronuncia più. »

3. Nell’articolo terzo del Codice è detto, che gli Statuti dovevano farsi in due originali; uno in lingua sarda, da servire per il Comune, e l’altro in lingua latina da conservarsi presso una persona ragguardevole del paese. Come spiegare ciò? Se per il Decreto di Filippo II si dovette fare quest’esemplare in sardo, come dar ragione dell’esemplare latino che è identico al sardo, per antichità, per caratteri, per precisione e per accuratezza? Un ammanuense non ha potuto impiegare meno di un anno per scrivere quei Codici.

4. Come dar poi ragione delle cancellature? L’articolo 15 dice, che gli uomini di Sassari devono giurare ubbidienza al Podestà, o chi per esso, e devono mantenere l’onore, il buon stato e la grandezza del Comune di Genova. Ora, sulla parola Genova, in tutto il Codice, è stata sempre passata una riga, probabilmente da persona poco amica dei genovesi, nota il Tola, ma a torto; perché, se lo stesso Codice doveva pur servire per gli Aragonesi, era evidente che la parola Genova non aveva più che farvi. Così pur notasi nell’introduzione al Codice, dove furono raschiate le parole Comunis Janue, le quali si leggono sotto alle parole Cesareae Potestatis, che vi furono sostituite. E il Tola qui osserva: « – in tal rispetto l’imperizia dell’adulteratore andò congiunta all’adulazione» – In altro luogo fu raschiata con un temperino la parola Comunis, per scrivervi sopra Civitatis; quasiché (nota nuovamente il Tola) fosse più onorevole per Sassari l’essere Città aragonese o spagnuola, che terra libera reggentesi a Comune – « E il nostro storico ha sempre torto, perché trovo giustissimo, che leggendosi dagli spagnuoli un articolo del Codice in giudizio, si parlasse del Re d’Aragona e non del Comune di Genova. Ora, domando io: – se il nostro Codice fosse una traduzione, perché prendersi la briga di scrivere prima le parole Genova, Civitatis ecc, per poi cancellarle accuratamente scrivendovi sopra Cesareae Potestatis, Civitatis od altro?

5. Quinta, ultima, e la più convincente delle ragioni è, a mio credere, la lingua. Ho letto molti e molti libri del Comune del secolo XVI, scritti in sardo; orbene, è da notarsi che passa una grandissima differenza fra le due lingue. Il sardo degli Statuti, scritto nel 1300, è puro, elegante, e contiene molto più latino; quello invece del secolo XVI è ricco di parole spagnuole, già passate nell’uso dopo tre secoli di dominio.

Non è dunque evidente che, se nel 1565 si fossero tradotti i nostri Statuti italiani in sardo, questo sardo dovesse somigliare a quello che allora si scriveva ? – Negli Statuti, per esempio, voi leggete sempre cavallos, tridicu, bigna, bocare (cavallo, grano, vigna, cavare) mentre in tutte le carte di quel tempo avete caddos, trigu, binza e bogare.
E così di altre molte e molte parole che qui taccio per non tediare maggiormente il lettore.