XIV-XVIII secolo

Parlamento e imposte

 

Al re Don Pietro il Cerimonioso (nel 1355) si deve l’istituzione del Parlamento nazionale, perfezionato poi da Alfonso V, nel 1421. – Questo Parlamento (detto Cortes) si componeva di tre ordini: 1° degli Ecclesiastici, cioè Arcivescovi, Vescovi, Abati, priori e procuratori dei Capitoli delle Chiese cattedrali; – 2° dei Nobili, nei quali si comprendevano i Signori dei feudi, che rappresentavano pure i comuni sottoposti, e la bassa nobiltà; – 3° della Borghesia composta dei deputati delle sette città, cioè Cagliari, Sassari, Alghero, Iglesias, Bosa, Oristano e Castellaragonese –  Ognuno di questi ordini, separatamente riuniti, ebbe il nome di Stamento: e quindi i tre Stamenti: Ecclesiastico, Militare (ossia della nobiltà) e Reale (ossia della città) – Questi Stamenti non erano una vera rappresentanza di popolo, ma sibbene quella di tre distinte classi di cittadini, in cui – scrive il Martini – erano personificati nel medio-evo i tre elementi dominatori, in un col monarchico, cioè: il clericale – il feudale – ed il municipale.
Quando era aperto il Parlamento, questi Stamenti o Stati si dicevano Bracci della Curia, o delle Corti, ed avevano un capo o presidente che dicevasi Prima voce, perché primo parlava nelle conferenze.
Prima voce dello Stamento Ecclesiastico era l’Arcivescovo di Cagliari, in sua qualità di primate;
Prima voce dello Stamento Militare era il Barone di titolo superiore e più antico;
Prima voce dello Stamento Reale era il Sindaco del Castel Reale di Cagliari, per essere questa città la primaria del Regno, e la sede del superior Governo.
Scopo di questi Parlamenti, che si convocavano ogni dieci anni, era quello di promuovere la confidenza tra il re e la nazione, far conoscere gli abusi che si verificavano nel reggimento civile e politico per applicarne i rimedi. Nelle Corti si discutevano le necessità dei popoli, si proponevano leggi, si votavano tributi, e si domandavano grazie.
E i parlamenti per molto tempo corrisposero ai fini che s’erano proposti – Poco dopo, però, le cose presero un altro aspetto. « – Nacquero le ambizioni particolari – scrive il Tola – e dalle ambizioni gli abusi che corruppero le antiche forme e atterrarono le solide basi del bene nazionale. Privilegi ed esenzioni chiedeva lo Stamento ecclesiastico, che dei soli Vescovi e dignitari si componeva; privilegi ed esenzioni lo Stamento militare, composto dei feudatari e dei nobili; privilegi ed esenzioni lo Stamento reale che dei soli sindaci della città si componeva. Chi, però, rappresentava in quelle Corti le altre popolazioni dell’Isola, ch’erano, tranne le città, la totalità degli abitanti della Sardegna? Chi esponeva i bisogni loro per soddisfarli? Chi le oppressioni per alleviarle? I Baroni erano quelli che i comuni dipendenti dalla giurisdizione loro rappresentavano; essi erano i padri, i protettori, i tutori delle ragioni dei popoli sottoposti alla feudale autorità; essi per i vassalli parlavano, votavano, si obbligavano »
« Nei parlamenti sardi molte utili istituzioni si sancirono, ma è altresì vero che molte cose fecero male. Le cattive colle buone si alternarono, e quelle talvolta a queste sopravanzarono. I tributi, o donativi, erano temporari, ma sempre si rinnovavano: questi erano gli ordinari. Gli straordinari per le guerre straniere, pei nuovi bisogni dello Stato si offerivano: guerre e bisogni ve n’eran sempre. A nome della nazione si offriva, ma le offerte erano di pochi, dei Vescovi, dei dignitari della chiesa, dei baroni, dei nobili: i popoli, anche non volenti, pagavano. I tributi (cosa incredibile per l’enormità, ma vera) in vari ed infiniti modi si assottigliavano prima che al tesoro pervenissero.
I viceré toccavano la prima e più grossa porzione: quindi i figli, i fratelli, i nipoti, i congiunti loro; poi i pubblici uffiziali, le donne cortigiane, e un’infinita turba di ministri subalterni per le fatiche durate nelle Corti; poi ancora i monasteri e le chiese. Venivano ultime di tutti le necessità dello Stato – e ciò che avanzava dalla scandalosa ripartizione, alla necessità dello Stato si concedeva! »
Eccovi per curiosità un sunto di una delle tante tasse stabilite in uno dei Parlamenti, che io riporto dal Manno:
« All’Eccellentissimo Viceré, scudi 8.000; – All’Egregio Don Alonso de Solis, figliuolo di S.E., scudi 1.000; – All’egregia signora Donna Luigia di Gante, nuora di S.E. scudi 1.000; – ai sette nipoti di S.E., scudi 500 per ciascuno; – al Presidente del Consiglio d’ Aragona Lire sarde 2.800; – ai Consiglieri 750 per ciascuno. Seguono le tasse agli uffiziali maggiori e minori del regno, ecc, ecc. per travagli straordinari.
Si chiude la nota con una serie di largizioni pie fatte ad alcune chiese. E la somma è di Lire sarde 118 442-14-6: quasi uguale a quella dell’annuo donativo deliberato in quello stesso Parlamento. – »
E postochè siamo nelle tasse, riporto anche dal Pillito le propine assegnate alla famiglia del Viceré ed ai Regi ministri nel Parlamento convocato nel 1677, oltre il donativo di scudi 70 mila, per un decennio deliberato in favore di S.M.
« Al Viceré Ls. 20 000. – Alla Vice Regina id. 5000. – Ai figli id. 3750. – Ai R. Ministri id. 90 724. 4. 6. – Alle Chiese ed Opere pie id. 16 750. – Per ponti e strade id. 3773. 15. 6. – Totale 140.000.
Prego i lettori di osservare la misera figura che fanno quelle 3773 lire 15 soldi e 6 danari, riservati per i ponti e per le strade! – Tolte le somme che avrebbero mangiate gli ingegneri, non restava ai popoli sardi, che la sola buona volontà di passare i fiumi a piedi scalzi, o di arrampicarsi per i monti se volevano portarsi da un villaggio all’altro! –
E giacché abbiamo parlato dei Parlamenti o Cortes diamo il Prospetto di tutti quelli riuniti in Sardegna sotto gli Aragonesi e Spagnuoli:
Uno sotto Pietro IV, nel 1355, presieduto in persona dallo stesso re. E fu il primo.
Uno sotto Alfonso V, nel 1421, presieduto dallo stesso re.
Sotto Ferdinando il Cattolico due: – uno nel 1481, presieduto dal Viceré Ximene Perez; e l’altro nel 1510, presieduto dal Viceré Dunay, e conchiuso da Giron de Rebolledo.
Sotto Carlo V, quattro: – nel 1520 da Angelo di Villanova; nel 1530 da Martino Cabrerà; nel 1545 da Cordona, e nel 1555 da De Heredia, sanzionati da Filippo II.
Sotto Filippo II quattro: – nel 1565 da De Madrigal; nel 1575 da Coloma; nel 1586 da De Moncada; nel 1598 da De Aitona.
Sotto Filippo III tre: – nel 1602 dal Conte d’Elda; nel 1615 dal Duca di Gandia; nel 1621 da De Erill.
Sotto Filippo IV cinque: nel 1625 da Vivas; nel 1626 dal Marchese de Bayona; nel 1633 dal suddetto e conchiuso dal Vescovo d’Alghero; nel 1642 dal Duca di Avellano; e nel 1653 dal Conte di Lemos, in Sassari.
Sotto Carlo II quattro: – nel 1666 da Camarassa; nel 1678 da Benavides; nel 1689 dal Duca di Monteleone; e finalmente nel 1699 l’ultimo Parlamento presieduto dal Conte di Montellano.
Totale 24 Parlamenti tenuti in Cagliari; meno quello presieduto dal Conte di Lemos nel 1653, il quale fu compiuto in Sassari per causa della peste che contristava l’Isola.