In quest’anno morì il giovine principe figlio di Mariano II che nel 1233 era succeduto a suo padre nel governo turritano. Non avendo l’età prescritta per regnare gli fu costituito un Consiglio di Reggenza, a capo del quale era Adelasia, sua sorella. Appena asceso al trono, per rendere più stabile il suo dominio, egli confermò alla Repubblica di Genova le concessioni fattele da Mariano, e da Comita II suo avo, collo scopo di cattivarsi favori ed aiuti d’armi. Dopo tre anni, però, di regno, scoppiò una rivoluzione in Sassari, dove allora, a quanto suppone l’Angius, risiedevano forse i Giudici turritani. Pare che i cittadini irritati del mal governo, o sedotti da chi aveva interesse alla caduta di quella dinastia, lo perseguitassero fuggente, insieme ai suoi ufficiali, fino a Sorso, dove lo trucidarono.
Così il Tola e l’Angius: ma dopo la scoperta della lapide che accerta 1’esistenza della repubblica Sassarese alleata coi Pisani prima del 1213, è luogo a credere che il giovine Barisone co’ suoi abbia tentalo d’impadronirsi di Sassari, e che i sassaresi lo abbiano punito della sua temerità coll’ucciderlo. – Si sa di positivo che Barisone fu seppellito a Sorso nella Chiesa di S. Pantaleo; ed era anzi antica tradizione degli archeologi Sardi, che una lapide esistesse colà con apposita iscrizione. Il Tola la riporta nel suo Dizionario Biografico, ma fa osservare, che dalle poche parole che vi si leggono risulta trattarsi di tutt’altri che di Barisone. E il Tola ha ragione; di fatto, quindici anni dopo, Lamarmora ci presenta un nuovo documento (tratto dal solito taccuino del Gilj) il quale reca un po’ di luce. In esso è riportato un frammento di lapide, la cui iscrizione fu decifrata dal Pillito. Vi si legge dell’uccisione di Barisone sepolto a Sorso nel 1256 – di più si fa cenno di un sicario P. (Pietro) sassarese, il quale con molti suoi scellerati compagni operò quella spedizione, spinti dall’ambizioso Ubaldo, primo marito d’Adelasia e cognato del giovine principe assassinato.
Fatte ricerche dal Lamarmora, ecco quanto gli risultò: Verso l’anno 1837, nella demolizione che si fece della vecchia chiesa di San Pantaleone, col proposito di erigerne una nuova, fu trovata la lapide senza senso (di cui parla Tola) sovrapposta ad una tomba che conteneva uno scheletro umano collocato appiè dell’Altare Maggiore.
In quanto al frammento della vera lapide, fu trovato invece a Sassari, o nei dintorni; ed ecco la ragione che ne dà il Lamarmora: «Negli scorsi anni, tra il 1236 (anno della morte di Barisone) e il 1497 (anno in cui esisteva il Gilj) e più probabilmente nel tempo in cui Sassari erettasi a repubblica era prepotente co’ suoi vicini, i Sassaresi, mal soffrendo in Sorso l’esistenza di un monumento destinato a tramandare ai posteri l’obbrobrio che ricadeva sopra uno o più dei loro concittadini, tolsero a viva forza quella lapide, ne collocarono un’altra con un’iscrizione estranea al caso, e portarono la prima a Sassari, dove fu copiata dal Virde in uno stato deplorevole di mutuazione. – I Sassaresi, però, colla lapide non giunsero a distruggere la tradizione popolare del tremendo e barbaro assassinio».
Mi perdoni l’anima del Lamarmora; ma questa storiella del rapimento a viva forza della lapide di Barisone da Sorso; la sostituzione di un altro marmo insignificante; e più ancora quel darsi il fastidio di trasportare quel monumento a Sassari, senza pensare a farlo in frantumi e a distruggerlo in Sorso, mi pare una trovata infelice per un archeologo ed uno storico! – Se è vero che i Sorsinci si lasciarono togliere una lapide colla violenza; se è vero che se ne stettero colle mani in tasca lasciando che si profanasse in tal modo la loro chiesa, non è ragione a credere che abbiano lasciato sulla tomba dell’infelice Barisone quel marmo mentitore, conservato sino al 1837.
Di più, la tradizione della violenza usata al loro paese, si sarebbe tramandata insieme alla tradizione dell’assassinio. I Sorsinci ci avrebbero più facilmente perdonato l’uccisione di un principe in una rivoluzione, che la violenza usata nel violare una tomba dentro la loro chiesa. Il ragionamento del Lamarmora sarà un bel lavoro, ma non è finito: ha bisogno di un piedestallo per reggersi in piedi. Il certo è, che il Papa Gregorio IX, commosso dalle querele di Adelasia, sorella di Barisone, commetteva all’Arcivescovo di Pisa di fulminare le Censure contro gli autori del misfatto – e gli scomunicati furono i Sassaresi!
Sappia intanto il lettore per pura curiosità, che prima di trovare la detta iscrizione nel taccuino del Gilj, il Raynaldi parlando degli autori della ribellione li chiama Sazarenses; il Mattei per abbaglio corregge Sarzanenses; il Gattola copiando il Mattei scrive addirittura che Barisone fu assassinato dalle truppe di Sarzana (!); il Padre Napoli lo fa uccidere nel 1221 (quindici anni prima) dai soldati Sarzanesi; l’Angius dice che Sazarenses viene da Sazeri (chiamata così Sassari anche tuttora dai Sardi meridionali). Il Martini dice puramente che Barisone fu fatto uccidere da Ubaldo suo cognato per ambizione di governo. Fidatevi poi degli storici! A chi dobbiamo credere? – la maggior parte di essi parla sempre di truppe e di soldati – dunque trattavasi di una rivoluzione, non d’un assassinio; i Giudici non resiedevano a Sassari – dunque Sassari si reggeva a comune; Ubaldo non aveva bisogno di odiare Barisone in Torres, di farlo ammazzare in Sassari, e di farlo seppellire in Sorso – dunque, sino a prova contraria, ne sappiamo meno di prima!