Leggi e Giustizia

Porto d’armi

 

L’art. 11 infliggeva la multa di lire 2 a colui che con animo irato sguainava la spada, o inveiva contro un altro con un’arma qualunque; ben inteso, senza che ferisse.
Chi in una rissa toglieva il coltello da tasca, pagava lire 2. Era pure vietato di accorrere con arma, così di giorno come di notte, senza il permesso del Podestà, o per rumore di rissa, o per suono di campana a stormo, o per bando, o per trombetta, o per fuoco, o per nemici della terra. E chi accorreva, pagava lire 20 e perdeva l’arma.
Si capisce il rigore, ma non si capisce come in quei tempi si lasciasse abbruciare una casa, o farvi entrare il nemico per salvare la disciplina. A meno che, tanto il fuoco quanto i nemici, non si sottomettessero allora a discrezione degli ordini del Podestà!
Io penso che queste disposizioni erano state date per volere della Repubblica di Genova, collo scopo di evitare o frenare le sommosse popolari o le cospirazioni.
L’art. 14 prescriveva, che nessun sardo o terramangesu, di giorno o di notte, potesse portare con sé arma offensiva o difensiva; salvo un coltello che fosse di palmi due, o minore. Chi poi usciva dalla città, a piedi o a cavallo, poteva liberamente portar seco tutte le armi che voleva.
L’art. 15, sotto pena di un soldo, proibiva a tutti quelli che oltrepassavano i14 anni, di poter giuocare colle armi; come, per esempio, gettarsi l’un l’altro verrutes (dardi), verghe od altro. Di questo bando dovevano rispondere i padri per i figli, i maestri per i discepoli. La stessa pena si applicava per coloro che giocavano colle fionde, o colle turritulas (trottole).