Autorità della Repubblica Sassarese

Il Podestà

 

Il Podestà era il Capo – una specie di Presidente della Repubblica. Esso non poteva essere un sassarese; si eleggeva fra i cittadini di Genova, e veniva mandato a Sassari, dove stava in carica un solo anno – precisamente come i Podestà che inviava la Repubblica di Pisa quando Sassari si reggeva a Comune sotto la sua protezione, e come sempre usarono tutte le Repubbliche di quel tempo; perocché un Podestà straniero presentava maggiore guarentigia, non avendo rapporti d’interessi e d’amicizia co’ cittadini.
Il Podestà doveva condurre seco un coadiutore, un notaio, dieci donzelli d’anni, e vari altri famigli; di più aveva dritto a quattro cavalli, ed entrava in carica nella festa dei SS. Simone e Giuda, cioè il 28 Ottobre – giorno in cui nella Repubblica di Genova si solevano mutare annualmente i Capitani del popolo.
Su questa prescrizione fatta per Sassari dai Genovesi, il Tola dice: «Ecco dunque il motivo per cui la solenne processione di San Gavino, (che si fa a Sassari) invece del 25 Ottobre (che è il giorno della festa) viene celebrata nel 28 Ottobre dedicato ai Santi Simone e Giuda. – I nostri antichi padri la ritardarono di tre giorni per solennizzare l’ingresso del Podestà in ufficio con una funzione religiosa. La pia usanza pervenne inalterata a noi, dopo quasi sei secoli dalla sua istituzione».
E noi quindi, ogni anno, ai 28 di Ottobre (quasi senza saperlo!) festeggiamo sempre la Repubblica Sassarese!
Il Podestà dipendeva in molti casi dal Consiglio Maggiore, e gli erano solamente riservati certi bandi dipendenti da repentini avvenimenti.
Ad esso d’altronde appartenevano il potere giudiziario e l’eseguimento delle leggi – però le cautele per frenare ogni suo arbitrio erano molte.

Espongo ora il sunto di alcuni principali articoli degli Statuti che hanno rapporto col Podestà:
Art. 1. – Formula del Giuramento del Podestà. Egli dinanzi al Consiglio Maggiore giura a sancta Dei Evangelia di disimpegnare bene e lealmente il suo ufficio, facendo giustizia a tutti, mannos e pizinnos (grandi e piccoli) ed attenendosi scrupolosamente agli Statuti del Comune.
Art. 6. – Si proibisce al Podestà di far notte fuori Sassari senza licenza del Consiglio Maggiore, e di mandare, in alcun caso, ambasciatori in nessuna parte della Sardegna e fuori.
Art. 8. – Egli non può metter mano su alcuno; e se ciò facesse, sia sindacatu in lire 100 di Genova. Si noti che il Codice, nelle pene che infligge, ha sempre per tutti la parola condannato – per il solo Podestà è detto sempre sindacato. Lo trattavano coi guanti, ma lo punivano come gli altri!
Art. 84. – Ogni Podestà è tenuto fare le correzioni e le nuove aggiunte al Codice, tre mesi prima di scadere dal suo ufficio. E ciò perché il Podestà che sottentrava potesse giurare sugli articoli emendati.
Art. 95. – Il Podestà non può domandare in Consiglio, né in modo privato, alcuna masnada (uomini d’armi); e se farà contro, paghi lire 100. Se poi qualche Giurato, in Consiglio o fuori, facesse la proposta di aumentare la masnada, paghi lire 100.
Questa legge – nota il Tola – era sancita per impedire che il Podestà potesse colla forza armata opprimere la libertà dei Sassaresi.
Art. 113. – Che il Podestà non possa fare più di quattro caccie all’anno; cioè, una in Carnevale, una a Pasqua d’Aprile, la terza in Maggio, e l’ultima in Agosto. E in occasione di caccia non si possa mai spendere dalla Cassa del Comune; e se il Massaiu (Tesoriere) facesse la spesa, paghi del suo.
Art. 114. – I Maggiori ed i Giurati della Romagna e Fluminargia non possano fare alcun presente al Podestà né ad alcuno della sua famiglia, salvo i soliti presenti delle feste del Natale, del Carnevale e della Pasqua di Resurrezione.
Art. 116. – Che nessuno della famiglia del Podestà possa accusare persona alcuna di malefizio; nel caso ciò accadesse, non valga la testimonianza, né l’accusato venga condannato.
Art. 118. – Che nessuna persona di Sassari possa pranzare col Podestà, salvo negli inviti che si fanno nelle due Pasque; e chi farà contro, paghi al Comune lire 100.
Curiosa! non chi invitava, ma l’invitato si puniva! A nessuno certo in quei tempi saltava il ticchio di farsi invitare, o di accettare un pranzo dal Presidente della Repubblica. Quel pranzo gli poteva costare ben caro!
Art. 137. – Che durante l’ufficio, nessun Podestà possa uscire fuòri del Distretto di Sassari per nessuna cagione, con o senza la Volontà del Consiglio; e se controviene a questa ordinazione sia sindacato in lire 100 ogni volta; e colui che andrà con esso paghi pure lire 10. Manco male! Questa volta almeno erano puniti insieme!
Art. 151. – Che il Podestà, il Cavaliere ed il Notaio non possano trattar negozi, né per conto proprio, né per conto d’altri; e se ciò facessero, paghino lire 500 di multa da destinarsi a benefizio del porto di Torres. E se qualcuno parlerà di tali affari col Podestà o in Consiglio, paghi a benefizio dello stesso porto lire 100.
Art. 152. – Che il Podestà non possa prendersi alcun arbitrio; stia alla Convenzione, altrimenti paghi lire 500; e 500 lire paghi pure chi osasse parlare di ciò in Consiglio. E le multe vadano a profitto del porto di Torres.
Art. 17. (Libro II). – Il Podestà sia tenuto a rendere ragione ad ogni persona tre volte la settimana, dopo richiesti a Corona i Giurati cui spetta.
Art. 131. – Che alcun Podestà, Cavalleri, Notaio, né alcuno di loro famiglia, o chi per essi, possa domandare, né faccia domandare in Consiglio, o fuori Consiglio, alcuna provvigione, o beni del Comune; e se ciò accadesse, senz’altro parlamento o sentenza, siano tolte dal salario del Podestà lire 200 per ogni volta – e il Cavalleri, Notaio, o alcun di loro famiglia, paghino lire 100. E che nessun uomo di Sassari o del distretto, chierico o laico che sia, debba nel Consiglio Maggiore, o privatamente, far parola di questa provvigione da accordare in più del salario, dai beni del Comune; e chi a ciò contravvenisse, se chierico si scacci da Sassari e dal distretto – se laico sia condannato a pagare lire 200, e alla privazione di ogni ufficio e benefizio del Comune.
– E qualunque Consigliere non prenda la parola in Consiglio, o voterà in favore, oppure non saprà lasciar la sala quando si trattasse di tal provvigione o grazia dei beni del Comune, se sarà Sindaco paghi lire 200, se semplice Giurato lire 100. E queste multe vadano in favore del molo di Genova. Si faccia eccezione per il Podestà che ha finito il suo tempo e deposto il comando; al quale, ove il Consiglio creda che abbia disimpegnato il suo ufficio bene e lealmente, si potrà dare beni del Comune o provvigione in lire 200, et non plus. Chi decreta somma maggiore di questa, paghi le suddette multe.
A quanto risulta da questo articolo, pare che i Chierici sotto la Repubblica non godessero tutte le franchigie ed i privilegi che ebbero “più tardi dagli Spagnoli. Sembra, d’altra parte, che fra i 28 Podestà che precedettero Cavallino de Honestis (dei quali non si conosce che il nome di uno solo, cioè di un Rolando di Castiglione, nell’anno 1313) oppure fra i Podestà antecedentemente mandati dalla Repubblica di Pisa, fosse invalso l’uso di estorcere dal Comune la provvigione o le terre, oltre lo stipendio; e ciò si desume dall’introduzione del suddetto articolo 131, che io traduco alla lettera, e qui trascrivo: «Desiderando schivare il gran danno e la vergogna, il quale e la quale sopportavano gli uomini di Sassari – delle provvigioni cioè delle Podesterie e loro famiglie, alle quali erano usi provvedere, non al termine del loro reggimento aspettando le buone opere che avrebbero fatto, ma per lusinghe e preghiere fatte dallo stesso Podestà e da altri suoi amici durante il suo ufficio, mentre cioè teneva in mano il bastone della signoria, lasciando molte volte di far ragione in giovamento di quelli per i quali nel provvedimento potevano essere favoriti, ordiniamo il presente capitolo: che ecc, ecc.».
A quanto pare, prima di ritornarsene a Pisa od a Genova, i Podestà cercavano di beccare qualche soldo, in vista forse della miseria dello stipendio che percepivano.
Il Podestà, come consta dalla Convenzione, aveva lire 600 annue di stipendio; cioè: lire 300 il 28 Ottobre, giorno in cui entrava in carica; lire 150 al 1° Marzo, e le altre 150 al 1° Luglio dell’anno della sua podesteria. II Tola dice: «Non si creda troppo meschino siffatto stipendio, avuto riguardo al luogo ed al tempo in cui si fissava; perocché nel 1303 il Podestà di Genova (da non paragonarsi con quello di Sassari!) non aveva che sole lire 1200. – Dunque la metà!».