La Città

Ruga, o Platha de Cotinas

 

Era così chiamata la nostra via principale, attuale Corso Vittorio Emanuele, che pure ha conservato fino ad oggi l’antichissima denominazione di Piazza, come volgarmente è chiamata dai sassaresi, con meraviglia dei viaggiatori stranieri che si sono di noi occupati, fra cui Valery e Lamarmora. Al tempo della Repubblica era appellata Platha, ed anche Ruga de Cotinas, perché era spianata sulla viva roccia (in sardo cotina, o cuddina). Più tardi ebbe pure la denominazione La Maggioria.
Questa Platha si estendeva dalla Porta de Capu de Villa (Porta Castello) sino alla Porta de Sanctu Flasiu (Porta Sant’Antonio) e i nostri antichi ci tenevano molto.
Un lungo tratto, specialmente, di questa Piazza, si voleva dai cittadini nobilitare, tenendolo sgombro e pulito, e destinandolo alla passeggiata, e come un punto centrale di riunione della parte colta e civile della popolazione. Questo tratto di strada nobile pare fosse dall’imbocco della Via delle Monache Cappuccine, sino allo sbocco della Via al Carmelo, o poco più sopra, alla metà dell’attuale Largo Cavour.
L’articolo 60, per esempio, dice: che tutte le cose bisognevoli al corpo umano, fra cui erbaggi e pane, si potevano vendere dappertutto per la città, tranne però in quel tratto della Ruga de Cotinas che trovasi fra la casa del fu donno Albònito de Massa, che è nel Cantone, e l’altro Cantone della casa del fu Gualtiero di Volterra, che trovasi a levante. E per la sorveglianza erano incaricati i due bottegai che stavano vicino alle dette due case, i quali dovevano giurare sul Vangelo di eseguire fedelmente il loro dovere e di accusare i Contravventori.
A quanto pare la casa di Gualtiero di Volterra doveva essere verso il Largo Azuni, o all’imbocco della Piazzetta Azuni venendo da Piazza Castello; e la casa di Albònito de Massa, allo sbocco della Via alle Cappuccine, il cui sito ha conservato sino ad oggi il nome di Lu Cantoni (il Cantone).
E che questa via fosse la più frequentata ce lo dimostra pure lo stesso articolo 60. Pare che i venditori dei cuoi che venivano da fuori di Sassari, non fossero troppo di buona fede, e che qualche volta avessero ingannato i poveri compratori nei quartieri più remoti della città. Il Codice perciò ordinava che i cuoi non si potessero comprare o vendere in altro luogo, tranne nella Ruga de Cotinas, cioè, dalla Porta di Capu de Villa alla Porta de Sanctu Flasiu – e ciò perché si potessero vendere palesimente daue nanti de plus testimognos (palesemente alla presenza di più testimoni).
L’articolo 73 poi, proibisce assolutamente, contro multa di lire 10, di fabbricare alcun forno nelle botteghe de Cotinas, cioè da Porta Sanctu Flasiu a Porta Capu de Villa – e ciò non per altro, che per la decenza della stessa via.
A titolo di curiosità, possiamo qui fare osservare, che quel tratto della Piazza che ai tempi della Repubblica si voleva tener mondo dalle botteghe di erbaggi, pane ed altri commestibili, si mantenne sempre tale sino ai nostri giorni. Mentre in ogni tempo abbiamo avuto erbivendole ed altre botteguccie di commestibili nel principio del Corso, cioè verso Piazza Castello, ed anche all’estremità opposta, cioè verso Campu di Carra – il centro della Via Maestra, (e propriamente dalla Piazzetta Santa Catterina (oggi Azuni) sino alla chiesa di Sant’Andrea) fu sempre rispettato, né sorse mai colà nessun bottegaio.
A quanto pare, la nostra Piazza era divisa in tre diverse categorie. La prima prendeva tutta la sua lunghezza, e allora si dice nel Codice, da Porta de Capu de Villa sino a Porta de Sanctu Flasiu; la seconda era la parte in generale più frequentata, e allora si diceva dal cantone della casa del fu Albònito Di Massa, al cantone della casa di Gualtiero di Volterra; la terza era un’altra parte che io non saprei veramente precisare, e la trovo all’articolo 126, dov’è detto: « – nessuno può comprare la lana o il formaggio che si porterà a vendere da fuori, se non nella Platha de Cotinas fra questi confini, cioè: dalla casa di Guglielmuccio De Vare, fino alla casa di Arrighetto Del Mare, – » signori rispettabilissimi, che noi non abbiamo il bene di conoscere.
Ma, qual’era il motivo che spingeva a far vendere questi due generi in quel tratto di via così popolato? – Niente altro che la frode che si usava di frequente, di vendere cioè la lana umida e di mischiare la terra al formaggio, come ci dice l’articolo 59 che punisce l’adulteratore del formaggio e della lana. – Ed è principalmente in questa terza parte della Via Maestra, che Tola crede si parli di Piazza Castello.
Anche parlando di macellare la carne porcina, l’art. 69 vieta di gettare il sangue od altra bruttura nelle pubbliche vie, e specialmente in Cotinas, che qui il Tola crede erroneamente abbreviatura di cantinas o cortinas.
Il nostro Corso principale al tempo della Repubblica si chiamava dunque la Platha de Cotinas, come più volte si trova menzionata nel Codice; bastava però, per designarla, anche la semplice parola Platha, come vediamo nell’intestazione dell’articolo 60; oppure la semplice parola Cotinas, come vediamo all’articolo suddetto e all’art. 73, in cui parlando delle botteghe del Corso si dice: sas botegas de Cotinas.
Dirò ora, che il Tola confuse questa strada per un abbaglio preso nel trascrivere il Codice originale; e se io correggo alcuni errori ben poco onore me ne può venire; inquantochè tutto il merito è della Copia autentica degli Statuti, dal Tola invano cercata nel 1840, e da me rinvenuta negli Archivi del Comune nel 1879.
Tanto all’art. 60, quanto all’art. 73, il Tola si ostina a leggere Connas, invece di Cotinas, com’è scritto; e notate che questo valente scrittore, negli altri articoli, ha sempre letto bene questa parola, che pur è sempre scritta allo stesso modo. Da questo errore egli fa nascere molte confusioni nella mente del lettore, e finisce per imbrogliarsi anche lui. Volendo dar ragione di questa ruga de Connas, designata fra Porta Capu de Villa e Porta San Flasiu, il Tola dice, che l’origine non era onesta, e che i nostri maggiori lo riconobbero, perché le tolsero un’N e la ridussero a Conas, l’attuale La Cona, un tempo abitata donne dalle di mal affare. Restava a dar ragione della Porta de Capu de Villa, e qui il Tola cade da errore in errore. In una nota apposta all’art. 60 dice, che la Porta de Capu de Villa faceva capo alla contrada ancora oggi appellata Pozzu de Villa, e che era la stessa che Porta d’Uzzeri. Ma, santo Dio! che avea da fare La Cona con Pozzu de Villa? – Egli però viene all’art.73, dove le due Porte sono distintamente nominate; e allora appone un’altra nota in cui dice, che gli pare che la Porta Capu de Villa esistesse nella parte superiore della città. Ma come mai La Cona doveva aver rapporto con tutte le Porte di Sassari? – Gli errori, pur troppo, sono come le ciriegie: 1’uno tira l’altro! Eppure, lo stesso Fara aveva scritto addirittura verso il 1570, che la Porta Castello era chiamata anticamente Porta Capu de Villa. E Fara non aveva letto gli Statuti!
Ad ogni modo, io sono lietissimo di aver dato questa bella notizia ai miei concittadini, non tanto per aver rimesso un po’ d’ordine nella topografia della città, né per aver illustrato la nostra Piazza, quanto per aver rilevato i nostri antichi padri da quella sconcia parola che stava tanto male nei nostri Statuti. Mi pareva ben strano che quella parola venisse adottata o scritta dai nostri vecchi repubblicani, i quali, in fatto di pudore erano così tenaci da stabilire nel loro Codice pene severissime contro chi offendeva il buon costume – ciò che vedremo a suo luogo.
E questo è quanto mi fu dato rilevare sulla nostra Piazza. Ché se qualche studioso mi dimostrasse che in qualche punto ho avuto torto, io glie ne sarò grato. Per una, o due piazze in più, non val la pena di crearsi dei nemici!


Dal libro “Sassari” di Enrico Costa.