Le carni di qualunque specie, non si potevano vendere che nel Macello, il quale era in Porta Gurusele, e propriamente nella cortina delle mura che si trovano di fronte alla chiesa della Trinità, dove continuò la vendita quasi fino al 1848.
Le carni erano sorvegliate col massimo rigore, e primo pensiero degli Amministratori era la pubblica igiene.
Le corna, a quei tempi, non erano commerciabili; era prescritto dagli Statuti di gettarle nell’immondezzaio.
La carne di bue e di maiale si vendeva a libre; il castrato, il montone, l’agnello e la pecora si tagliavano in quattro parti e si vendevano a quarti.
Eccovi, per curiosità, il prezzo delle carni nel 1300: un quarto di castrato, denari 10; un quarto di montone, danari 8; un quarto d’agnello di Primavera, 6 denari; un quarto di capro castrato, denari 8; un quarto di capro, capra, o montone, denari 6; un quarto di pecora, denari 6.
Carne di porco, ogni sei oncie, un denaro; carne di troia, ogni otto oncie, un danaro; carne di bue, ogni diciotto oncie, un danaro; carne di vacca, ogni dodici oncie, un danaro.
Come vedete, si mangiava a buon mercato. Una libra di carne di vacca costava un danaro; e con un danaro si comprava una libra e mezza di carne di bue. Si vede dunque da questi prezzi, che il Podestà percependo 600 lire all’anno aveva un lauto stipendio!
Lo stesso art. 62 aggiunge: «E ciascuno venda la carne nel Macello, e mai in casa. Non si possa mai vendere una carne per l’altra; è proibito severamente di mettere in vendita carne di bestia morta di malattia, o morta da tre giorni in su; si venda la carne tanto in molta quanto in poca quantità, talché i poveri possano sempre averne.
Il Consiglio Maggiore può a suo piacere aumentare o diminuire il prezzo delle carni».
Vedete dunque che la nostra Repubblichetta pensava molto ai poveri!
I macellai erano chiamati Taverrargios, da Taverna, luogo della vendita delle carni. Difatti all’art. 52 è detto: «Nessun tavernaio, o che venda carne, possa gonfiarla col soffio (per mezzo d’un cannello)». E da ciò si deprende che questa malizia era molto in uso a quei tempi.
Per sorvegliare il Mercato della carne si nominava il Maiore de Taverna, il quale giurava dinanzi al Podestà di accusare i contravventori.
L’art. 69 ci dice: «che, chi faceva carnatu di carne porcina (macellava) non doveva servirsi della testa del maiale; di più non si poteva far carnatu in Piazza, cioè né in Cotinas, né in altra pubblica via, dove non era lecito gettar sangue, intestina, od altra bruttura del maiale.»
I Sassaresi, per proprio uso, potevano comprare nella Taverna fino a cinque maiali, e non più. Per l’uso della famiglia, cinque maiali non erano certo pochi!