Erano otto buoni uomini nati nella terra di Sassari; e se ne sceglievano due per quartiere. Si dava loro il nome di Sindicos, oppure defensores dessu Cumone. Essi erano incombenzati dell’amministrazione, (spese ed entrate) del pubblico tesoro e dell’ispezione segreta della Cassetta che esisteva nella pubblica Loggia del Palazzo del Comune. – In questa Cassetta era lecito ad ognuno, non di depositare quelle scritture di criminale denunzia (come dice il Manno) per le quali sì famose furono altrove le buche destinate ad accogliere le imputazioni della calunnia o le querele della timida verità, ma solamente era permesso d’introdurre le polizze che ammaestravano il Comune dell’abbandono e dell’occupazione fatta di qualcuno dei suoi dritti o di qualche parte delle sue entrate.
Essi giuravano pure di mantenere e difendere sollecitamente i beni mobili e immobili, le entrate e le uscite, le ragioni e le giurisdizioni del Comune, curando l’entrata del Tesoriere di Sassari e di Romagna, e costringendo i morosi al pagamento. – «E siccome (dice l’articolo 29 con bellissima sentenza) è maggior virtù il conservare
le cose acquistate, che l’acquistarle, così ordiniamo che delle entrate del Comune nessuna cosa si debba concedere o donare, né accordare per grazia e favori, né consentire per amore».
I Sindaci dovevano pur vigilare acciò si stesse alla Convenzione. Loro incarico era inoltre sindacare periodicamente il Podestà, ed applicare le pene. Se essi operavano con frode o malizia, tanto in pubblico, quanto in privato, erano condannati dall’art. 29 ad essere infamati pubblicamente, e privati in perpetuo di onore e officio del Comune.
Si eleggevano nel mese di Febbraio, entravano in carica il 1° Marzo, e duravano in ufficio un anno. Se qualcuno di loro era negligente o non voleva sindacare, pagava lire 25 di multa.
Dal libro “Sassari” di Enrico Costa